Tempo di lettura: 6 minuti
Ariva i barbari a cavaeo: inizia così una famosa canzone del 1973 di Alberto D’Amico, dove l’autore immagina due profughi romani mentre fuggono attraverso la laguna con la loro barca verso la città di Venezia, costruita da un gruppo di pirati per scappare dai barbari che stanno distruggendo l’Impero. La canzone divenne in poco tempo un grande successo, non solo per il testo in dialetto e per i parallelismi con un presente ancora segnato dai moti del ’68, ma anche perché a tutti i nati a Venezia o dintorni è stato insegnato che la città venne fondata dai profughi delle città romane vicine distrutte dagli Unni, dai Visigoti e dai Vandali. Ma fu davvero così? Le imminenti celebrazioni per i 1600 anni dalla fondazione di Venezia hanno riacceso il dibattito su queste tematiche, che ha visto opposti vari schieramenti di storici e di appassionati del settore: chi accetta la fondazione nel 421, chi la rifiuta urlando alla bugia plurisecolare, i venetisti pronti a gridare che è giusto ridare alla città la sua indipendenza, e altri pronti a dare la propria opinione sul tema. In questo articolo cercherò di presentarvi quella che è la mia idea su questo anniversario, il mio modesto parere di laureando in storia medievale a Ca’ Foscari e di grande amante della nostra città.
Il primo che colloca la fondazione della città al 25 marzo 421 è l’onnipresente cronista quattro-cinquecentesco Marin Sanudo, che nei suoi Diarii scrive come il Chronicon Altinate in suo possesso collocasse in questo giorno la consacrazione (alcuni dicono su ordine di Padova) della chiesa di San Giacomo a Rialto: in un articolo della rubrica Venezia e il Divino abbiamo visto come la chiesa sia in realtà più tarda e abbiamo ricordato altre fonti che parlano della più antica chiesa di San Teodoro a Rivus Altus. Quindi, da dove viene questa data? Non è chiaro il ruolo del Sanudo nella sua invenzione, ma non è difficile capire come la collocazione della fondazione della città il giorno dell’Annunciazione possa apparire come “pilotata”: quale giorno migliore per la nascita di una città di quello in cui si ricorda l’annuncio da parte dell’Arcangelo Gabriele a Maria della nascita del Salvatore del mondo? Forse quindi si può pensare che un qualche scrittore medievale abbia insistito su questa data per legittimare la grandezza della città dei Dogi.
L’anno riserva invece più dubbi. Nel 421 si erano effettivamente già visti i barbari compiere scorribande nella penisola, tanto che nel 410 i Visigoti avevano saccheggiato Roma. Quelli erano però anni in cui l’Impero, nonostante le molteplici difficoltà, riusciva ancora a resistere sconfiggendo gli invasori sotto il comando di generali come Stilicone e stringendo accordi con i vari popoli che premevano ai confini, come accadde con gli stessi Visigoti, assurti a socii foederati nel 418. Nel 421 poi era asceso al trono imperiale Flavio Costanzo, brillante stratega romano che, da semplice generale qual era, riuscì poi a sposare la principessa Galla Placidia e ad essere associato al trono che aveva contribuito a difendere riportando l’ordine nelle provincie occidentali. Il 421 è quindi un anno che forse venne preso a simbolo di un Impero completamente alla deriva e in preda ai barbari, un impero che certo non era più quello di Traiano, ma che, come abbiamo visto, ancora si reggeva in piedi: le città che secondo la tradizione avrebbero dato origine a Venezia, come Aquileia e Altino, non sarebbero cadute che nel giro di cinquant’anni.

Ma anche qui i problemi non smettono di sorgere, perché le urbes del Veneto vennero sì assediate dai barbari, ma questi ultimi vi desideravano abitare per godere delle comodità romane, quindi l’idea dei cittadini romani che abbandonano in massa rovine fumanti è da rivalutare. Un’idea che si è fatta strada negli ultimi anni, e che io mi sento qui di riproporre, è che sì, il primo nucleo di Venezia venne fondato dai cittadini delle città romane che circondavano la laguna, abbandonate però più tardi del 421 non perché distrutte, ma perché ormai divenute luoghi poveri, senza prospettive, vasti complessi pensati per rispondere alle logiche di un Impero che non esisteva più. A cosa serviva ormai uno snodo viario come Aquileia, ex centro di commerci con un nord Europa ormai in mano ai barbari? Che prospettive c’erano a Iulia Concordia, dove la fabbrica imperiale di frecce (per cui era chiamata Concordia Sagittaria) era ormai inattiva? Perché restare nell’ormai vuoto porto fluviale di Oderzo? Più allettante poteva apparire la laguna, perché poteva offrire una maggiore sicurezza in un tempo in cui l’Italia veniva attraversata da popoli che certo volevano insediarvisi ma che comunque facevano largo uso della spada; la barena però era anche un luogo economicamente più attivo, dal momento che si configurava come un grande insieme di piccoli porti naturali che avvantaggiavano il commercio con l’impero d’Oriente e di luoghi dove produrre il sale che ormai non arrivava più sulle navi romane. Del resto anche le fonti scritte parlano di Venezia solo a partire dal 537, quando Cassiodoro scrisse ai tribuni della città di lasciar passare le navi bizantine provenienti dall’Istria. Più tardi l’imperatore Costantino Porfirogenito scriverà nel suo De administrando imperio (950 ca.) di quello strano luogo sulla laguna fondato dai profughi romani scampati ai massacri dei barbari. Probabilmente fu quello il periodo in cui si originò questa leggenda, volta a colmare un vuoto cronologico ed eziologico a cui si rispose secondo una modalità utilizzata anche per città come Spalato o Dubrovnik, su cui, come a Venezia, incombono minacciose le montagne che per secoli sono state indicate come il luogo da dove arrivarono quegli uomini cornuti che distrussero l’impero.

Quindi ha senso festeggiare questi 1600 anni? A mio avviso assolutamente sì. Prima di tutto perché è giusto ricordare che Venezia ha una storia millenaria che prende le mosse dal suo entroterra e dall’Europa latina, poi che gli anni non siano davvero milleseicento non ha grande importanza, dal momento che gli anniversari plurisecolari che la storia può confermare in modo indiscutibile non esistono, o forse si contano sulle dita d’una mano. Inoltre la celebrazione può essere, come già avviene, l’occasione di una nuova pagina di studi non solo sulle origini della città, ma anche su quello che è il modo di vivere la sua storia, la sua memoria e le sue tradizioni, poiché una persona che lavora, studia o visita Venezia entra, volente o nolente, in una dimensione unica al mondo. Infine personalmente sostengo che questi festeggiamenti debbano essere valorizzati perché è necessario riportare l’attenzione sulla nostra città: forse il fatto che il 25 marzo sia anche il Dantedì non ci è d’aiuto, ma è importante per ricordare che nella città, dalla punta del campanile di San Marco alla base dei pali delle fondamenta, c’è un mondo terracqueo che tornerà a vivere, ma dovrà farlo con l’obiettivo di condurre un’esistenza più sostenibile (in senso umano e ambientale), più attenta alla valorizzazione delle sue ricchezze e più deciso nel ricordare le sue origini.
Quindi non mi resta che dire: tanti auguri Venezia!