Eadweard Muybridge sicuramente non è un nome comune, soprattutto considerando che è grazie a quest’uomo che dobbiamo la dimostrazione scientifica del fatto che i cavalli “volano”.
Sebbene quanto a nome si sia dato un aiutino (nato Edward James Muggeridge, optò poi per quella che riteneva la filologica versione Old English del proprio nome), per rimanere impresso nella memoria collettiva gli sarebbero bastati i suoi lavori. Parliamo di studi fotografici sulla locomozione, di fatto eseguiti in time-lapse, che permisero di capire non solo il movimento animale, ma anche quello umano.
Muybridge (1830-1904) era un tipo un po’ particolare. A vent’anni emigrò dal Regno Unito agli Stati Uniti, stabilendosi a San Francisco, dove divenne venditore di libri e agente letterario per la London Printing and Publishing Company. Ebbe successo in pochi anni, ma le cose erano destinate a cambiare. Deciso a tornare in Inghilterra per procurarsi dei libri rari, perse il traghetto, e fu costretto ad affrontare invece un viaggio in diligenza diretto a Saint Louis, dove avrebbe preso il treno per New York, e lì si sarebbe imbarcato. In Texas, però, la diligenza andò fuori controllo, Muybridge venne sbalzato fuori e sbatté violentemente la testa su una roccia. Rimase in cura per un anno, prima in Arkansas poi a New York, affetto da problemi ai sensi, diplopia, e altro, prima di salpare effettivamente per l’Inghilterra. Qui dimenticò i libri.
Ancora in cura per la brutta caduta presso un medico londinese (Sir William Gull), tra il 1861 e il 1866 cominciò a dedicarsi alla fotografia professionale. Apprese la tecnica del collodio umido e ottenne già due brevetti, per un otturatore e un timer elettrici. Quando nel 1867 tornò negli Stati Uniti non era più un libraio, ma un fotografo professionista che padroneggiava la tecnica e aveva buon occhio. Divenne rapidamente famoso in particolare per i suoi lavori paesaggistici: riuscì a restituire la vastità e la maestosità del panorama del West, anche con scatti piuttosto rischiosi, come quello in cui siede con nonchalance su una roccia a strapiombo nella Yosemite Valley (1872). C’è chi sostiene che la caduta dalla diligenza abbia influito su questo atteggiamento spericolato e disinibito: il colpo avrebbe danneggiato parti consistenti della corteccia cerebrale, causando in parte il comportamento eccentrico, mutevole e socialmente molto disinibito di cui riportano le persone a lui vicine. Possiamo dire con certezza che non aveva paura di sforzi o rischi: viaggiava con un calesse riconvertito in camera oscura, e usava una macchina fotografica da paesaggio (che all’epoca non era esattamente l’aggeggino digitale da tasca cui siamo abituati noi) per la quale doveva trasportare anche delle lastre fotografiche di vetro (i negativi). Il tutto in mezzo al nulla, e, spesso, da solo. Nel deserto.
È nel 1872 che Muybridge viene ingaggiato dall’ex-governatore della California Leland Stanford. Stanford aveva preso parte a un dibattito in voga all’epoca riguardo i cavalli: al trotto o al galoppo, quante zampe in aria? e come? Potendoselo permettere, Stanford assunse Muybridge per dimostrare scientificamente di avere ragione. Nel 1872 ci fu un primo tentativo, ma il vero lavoro determinante fu una serie di scatti del 1878 che dimostravano inconfutabilmente che il cavallo raccoglieva in aria tutte e quattro le zampe mentre correva.
La serie di scatti riporta però non semplicemente i momenti in cui il cavallo solleva le zampe da terra, ma l’intera sequenza del movimento. Per ottenere il risultato per cui oggi è sufficiente un cellulare, Muybridge dovette usare numerose macchine fotografiche posizionate lungo il percorso del cavallo. L’otturatore di ciascuna veniva attivato da un filo quando il cavallo passava (poi perfezionò il sistema usando degli otturatori regolati da un timer), scattando la foto. Riprodusse attraverso lo stesso metodo la locomozione di numerosi altri animali, per esempio i bisonti, e scattò sequenze anche dei movimenti umani. Non si limitò poi alle semplici foto in successione: riportò le silhouette degli animali su dischi che dovevano essere usati in una macchina di sua invenzione, lo Zoöpraxiscope, che le proiettava in una sequenza animata, anticipando quasi il cinematografo.
Il quantitativo di foto prodotte da Muybridge fu impressionante, ma non per questo il successo di cui godeva presso il pubblico diminuì, tutt’altro. Alcuni sostengono che il fascino dei lavori di Muybridge fosse dovuto a due fattori: da una parte, permetteva di catturare il movimento e quindi di rappresentare una modernità – quella del XIX secolo – che sentiva sempre più propria la frenesia della velocità, degli spostamenti, dei ritmi di vita, della produzione; dall’altra, permetteva di intrappolare e di sezionare il movimento, dando la rassicurante sensazione che ne si potesse fornire una spiegazione, e che quindi fosse qualcosa di razionalmente comprensibile, meno spaventoso, gestibile.