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Mai come in questi giorni Venezia ci appare deserta, vuota e spettrale. A rifletterci bene, però, nell’ultimo periodo la città non è stata sempre ricolma di turisti (senza considerare gli abitanti), soprattutto in momenti come quello a seguito dell’Acqua Granda del 2019. C’è però un luogo dove, quale che fosse la presenza in città, si andava sempre a sbattere contro qualcuno o non si riusciva proprio a passare per la calca, vuoi per la sua piccolezza, vuoi per la sua fama: non si tratta di piazza San Marco, ma di Rialto.
Rivo Altus, dove un antico rio acquisiva un’insolita profondità rispetto al resto del proprio corso, venne scelto sin dagli albori di Venezia come luogo di insediamento e di transito proprio in virtù della sua conformazione geologica, ma rimase per vari secoli un po’ nell’ombra rispetto a Torcello, Metamauco o Eraclea, mete ora poco note ma originariamente sedi privilegiate del potere. La fama di Rialto deriva ovviamente dal suo ponte, immortalato in fotografie, incluso in pellicole cinematografiche e ritratto in celebri dipinti: non sono però le sue caratteristiche ad interessarci in questa sede, bensì le motivazioni dietro alla sua costruzione. Perché erigere un ponte in questo luogo, quando nella gran parte della città si usavano semplici passerelle o piccole zattere? La risposta risiede ovviamente nella potenza commerciale dell’area: decaduti gli antichi centri di controllo, nella vicina Olivolo (oggi Castello) si installò un vescovado e molte famiglie da Metamauco si trasferirono qui per la protezione che questa zona interna poteva offrire dalle incursioni nemiche. La concentrazione della popolazione e soprattutto la presenza del vescovo, che nell’Europa altomedievale comportava quella di uno dei pochi centri di ricchezza e di quindi di domanda commerciale, aumentarono notevolmente il giro d’affari e di commerci che qui avvenivano. Di conseguenza, fu necessario approntare un modo veloce ed efficace per far passare le merci da una parte all’altra della città. Nacque così la vocazione commerciale di Rialto, mai abbandonata fino ad oggi (anche se molto ridimensionata), che rese il luogo importante nell’economia, nella politica e nella simbologia della città.
Quest’area florida e protetta venne presto a essere ritenuta il centro originario dell’abitato veneziano (poteva non esserlo, vista la bravura nei commerci di cui i Veneziani ancora si vantano?) e come tale si disse che qui, il 25 marzo del 421, era nata Venezia. Nel non casuale giorno dell’Annunciazione, ovvero della comunicazione a Maria di essere in attesa del figlio di Dio, sarebbe infatti stata fondata la primitiva chiesa di San Giacomo di Rialto, detta San Giacometo. Dal punto di vista storiografico si tratta certamente di una bella favola, ma è interessante notare come la tradizionale nascita di Venezia sia collegata ad un luogo dove religione e denaro si mescolano e si amalgamano.
San Giacomo infatti, chiesa piccola e a tratti angusta, sembra quasi essere sorta con fatica, dopo essersi fatta spazio a suon di spintoni in mezzo a tutti gli edifici commerciali che la sovrastano. La sua struttura, però, è molto più antica: la prima testimonianza risale al 1152, in un documento che ne cita il parroco titolare, ma la chiesa, dopo essere stata danneggiata da un incendio, venne fatta ricostruire nel 1513 con un interno in stile rinascimentale ed un esterno strettamente legato alle attività che vi svolgevano davanti. Il campo su cui si affaccia è dominato dai portici della sede della Magistratura, del palazzo del Banco Giro, banca istituita nel 1619 per regolare il mercato finanziario, e della ruga degli orefici, le cui bancarelle ospitano ora i negozietti di souvenir. Tutto intorno sono luoghi che rimandano ad attività commerciali: il campo delle becarie (macellerie), il cortile della pescheria, la piazzetta dell’erbaria, la calle della naranzeria (vendita degli agrumi), il palazzo dei Camerlenghi (sede dei magistrati finanziari della città), i magazzini del vino e, dall’altra parte del ponte, i magazzini del ferro e il Fondaco dei Tedeschi. Per una città che non poteva produrre nient’altro che sale, la zona dove arrivavano tutti i beni di prima necessità che consentivano alla città di sopravvivere era fondamentale. Poteva la struttura, in questo contesto di scambio e di lavoro, rimanervi estranea? Ovviamente no, come si vede dall’elemento più visibile della facciata, l’orologio, dove un sole splendente, da cui parte un raggio dorato, indica l’ora su un quadrante di ventiquattro ore. L’orologio era infatti un elemento essenziale per tutti i commercianti e cambiavalute che animavano la piazza e necessitavano di essere sempre in orario. Il prospetto posteriore della facciata esterna, poi, indirizzava con due iscrizioni un particolare messaggio a chi proveniva dal ponte: una, inserita in una croce, invocava la protezione di Cristo sui mercanti; la seconda li invitava al rispetto dell’onestà dei prezzi e alla lealtà nelle contrattazioni, cui ammoniva anche la statua del gobbo sotto i portici del Banco Giro da cui il rappresentante del governo della Serenissima leggeva le condanne a morte.
La stessa dedicazione della chiesa a San Giacomo si collega alla vocazione economica e commerciale della zona. Fratello di Giovanni e testimone della Trasfigurazione, secondo Isidoro di Siviglia venne fatto decapitare da re Erode dopo aver predicato il Vangelo in Spagna. Probabilmente si tratta di un’invenzione dell’intellettuale spagnolo creata per “giustificare” il grande culto dell’apostolo che nella penisola iberica ebbe sempre una grande fama e un centro di culto a Compostela, tappa ultima di un famosissimo pellegrinaggio praticato negli ultimi anni da molte persone. Oltre ad essere il patrono dei cristiani spagnoli e dei pellegrini, il santo è però anche il protettore dei calzettai, dei cappellai, dei droghieri, dei farmacisti e dei profumieri, personaggi che a Rialto non mancavano mai, così come i viaggiatori: durante il Medioevo, ogni centro commerciale è sempre stato anche un luogo di scalo per i viaggi. Non era ovviamente da meno Venezia, luogo di partenza per l’Oriente e per le crociate.
Molti sarebbero ancora gli elementi da citare per evidenziare l’importanza di questa struttura e il suo stretto legame con l’area in cui sorge: è sufficiente però limitarsi a sottolineare il grande numero di iscrizioni che popolano l’interno ma soprattutto l’esterno della chiesa. Le scritture epigrafiche erano infatti i cartelloni pubblicitari e le pubblicazioni ufficiali del Medioevo, e come tali dovevano quindi essere esposte nelle zone più frequentate e visibili della città, ovvero chiese e mercati. Quale luogo migliore per Venezia di una chiesa che si affaccia su uno dei mercati più frequentati del Mediterraneo, avranno pensato le autorità della Serenissima.
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