Sì, è vero: corriamo il rischio di essere monotoni. Certe volte sembra d’essere come quelle band da tormentone estivo che dopo la loro hit di ferragosto non riescono più ad andare avanti, ma fanno solo brutte copie del loro unico successo.
Parlare di turismo a Venezia equivale letteralmente a sparare sulla Croce Rossa. La letteratura sull’argomento ha raggiunto proporzioni elefantiache e di recente persino il New York Times si è reso conto delle conseguenze colossali di un turismo d’assalto che non accenna a mollare la presa sulla città.
Impressioni sparse
Ora che la primavera si inaridisce e le giornate diventano sempre più calde, la città si fa soffocante. Non si riesce a capire se la colpa è del surriscaldamento globale o dell’entropia umana che, per mera frizione di corpi, trasforma le calli in serre a cielo aperto.
Quando la via terrestre è otturata dai turisti, il povero veneziano tenta la fortuna sulle rotte acquatiche. Ma prendere un vaporetto che orbita attorno alla città è un’esperienza sempre più angosciante. La plancia dell’Uno e del Due non fa che ingozzarsi e vomitare persone come un cannibale anfibio delle profondità lagunari.
Uno dopo l’altro, migliaia di turisti si susseguono al nostro fianco; sono lì, fisicamente appiccicati ai loro bagagli, ma con la testa altrove, magari alla prossima story da pubblicare su Instagram o al post sicuramente originale da piazzare su Facebook alle 18.
Epifania
Proprio oggi, mentre prendevo l’ennesimo Due per raggiungere Santa Lucia, ho cominciato a riflettere sui comportamenti sociali del turista. Dopotutto, Venezia offre un campionario antropologico senza eguali in tutto l’emisfero boreale, e qui no che non corriamo il rischio d’essere noiosi.
Il comportamento del turista medio in relazione al vaporetto, infatti, segue uno schema ben preciso, con variabili cronologiche e spaziali osservabili empiricamente ogni santo giorno.
Il turista appena arrivato vuole vivere l’esperienza autentica, vuole respirare l’aria di Venezia, sentire il sole mediterraneo sulla pelle e annusare il salso della laguna. Quindi si accalca sulla plancia esterna, ingorgando senza alcun motivo la via d’entrata e d’uscita.
Il turista navigato, invece, deve assolutamente distinguersi dalle versioni precedenti di sé che incrocia in ogni dove. Lui è a Venezia da ben cinque giorni, ha capito come funzionano le cose, non è più quel visitatore sprovveduto che era finito al Lido scambiandolo per Burano; quei tempi sono definitivamente passati, basta, siamo cresciuti. Quindi, egli raggiunge il ventre del vaporetto con ostentata sicurezza, trascinandosi dietro i valigioni e gli zaini da venticinque chili come uno che sa qual è il suo posto nel mondo.
L’eruzione matematica
All’improvviso, la rivelazione: dietro al coloratissimo turista – che comincia anche ad odorare vagamente di crema solare – si cela un universo matematico. Il turista è un fascio di punti e rette, un insieme di variabili che noi poveri locali possiamo addirittura quantificare.
Il turismo, quindi, è calcolabile. Le conseguenze fioccano. Se è calcolabile, un problema può essere risolto. Se è fatto di variabili, significa che qualcuno un giorno troverà una geniale soluzione: magari un dottorando in fisica, o un matematico impietosito dallo stato delle cose veneziane.
Qualcuno allora inventerà l’algoritmo capace di liberarci da questo dramma umano mascherato, di volta in volta, da riqualificazione urbana, opportunità economica, e quant’altro ancora. Qualcuno romperà il loop di deficienza urbanistica che candida Venezia a diventare la prima Disneyland d’Italia, dove poter godere di attrazioni turistiche uniche al mondo, senza più preoccuparsi dei fastidiosi veneziani che reclamano una vita normale.
Lasciateci divertire
Magari, questo nostro fantomatico esperto in materia riceverà l’ispirazione proprio mentre se ne sta appollaiato sul seggiolino verde-laguna di un vaporetto. Osservando il comportamento sociale del branco turistico, troverà una serie di passaggi matematici con cui risolvere il problema dell’affluenza sul 2; a quel punto, basterà estendere le variabili all’intera città e d’un tratto sistemeremo l’asfissia demografica che caratterizza i nostri sestieri.
Se le soluzioni tradizionali non funzionano, se i tornelli scatenano reazioni contrastanti, se le bestemmie si rivelano inefficaci, forse dobbiamo fare come tutti e affidarci al futuro. La tecnologia ha già migliorato la nostra vita e uno smanettone del pc forse riuscirà a inventare un’app capace di trasformare Venezia in una città più vivibile. Del tipo che davanti a un ingorgo schiacci il magico tasto libera spazio e magicamente la città torna ad essere tranquilla.
Non occorre eliminare i turisti: basterebbe ridistribuirli, allocarli sul terreno in maniera più intelligente. Pilotarli senza lasciarli alla deriva, come troppo spesso accade ai nostri giorni.
E tutto partirà da un vaporetto. Me lo sento.