chernobyl

Parola per parola: i testimoni di Chernobyl; dopo il disastro, ignoti eroi parlano di radiazioni, dovere e vodka

Traduzione dell’articolo del “The New York Times”, 21 Aprile 1996. 

La sicurezza del nucleare era in cima all’agenda la settimana scorsa, quando il Presidente Clinton ed altri leader si sono riuniti a Mosca per un summit sul nucleare. L’incontro è coinciso con le commemorazioni per il 10º anniversario dal disastro di Chernobyl, che uccise un numero non meglio precisato di persone e sparse radiazioni su gran parte dell’Europa.

Probabilmente, i partecipanti non hanno avuto bisogno di riportare alla memoria i limiti del programma nucleare sovietico, ma per una nuova e profonda analisi potevano consultare l’ultimo Bollettino degli Scienziati Atomici. Include dettagliate interviste con un gruppo di lavoratori vicini all’incidente di Chernobyl, che avvenne 10 anni fa di questo venerdì. Ora, ci sono piani per chiudere il reattore. E tutti i lavoratori sono di mezza età ed hanno acciacchi dovuti presumibilmente dalle radiazioni. Sono stati intervistati da Sergei Kiselyov, corrispondente per la Literaturnaya Gazeta. Segue un estratto.

Yuri Korneev era un operatore delle turbine presso la sventurata Unità 4 di Chernobyl nelle prime ore del mattino del 26 Aprile 1986. Il suo compito era di spegnere una turbina durante un test dei sistemi energetici di emergenza – il test che ha provocato l’esplosione e l’incendio del reattore:

di solito completavo la procedura senza alcun problema, ma quella volta qualcosa andò storto. Nel momento in cui la turbine smise di funzionare, ci fu un’improvvisa esplosione nell’area del corridoio delle condutture. L’ho vista con i miei occhi, l’ho udita con le mie orecchie. Ho visto pezzi del muro di cemento armato cominciare a sbriciolarsi ed il tetto in cemento armato della nostra Turbina 7 ha iniziato a cadere.

In pochi secondo l’apparato diesel è entrato in azione e le luci di emergenza sono partite. Ho immediatamente guardato verso il tetto della sala motori che si stava sgretolando in strati. Pezzi cadenti di cemento si stavano lentamente avvicinando alla mia turbina.

Un momento fortunato

E’ stato tutto così inaspettato. Era difficile immaginare cosa stesse accadendo. Tra l’esplosione e lo sgretolamento del tetto ci fu un solo minuto, forse meno. Subito dopo, un capoturno, Boris Rogoshin, e [l’ora] deceduto vice ingegnere capo sono corsi nella sala turbine dal centro di controllo. Mi fu ordinato di controllare la turbina 8 e di non prestare attenzione ad altro.

Non scenderò in dettagli tecnici. Lasciami soltanto dire che sono stato fortunato quando, a causa dell’esplosione, pezzi di soffitto sono caduti dal reattore sopra la stanza della turbina 7 – che era spenta – e non sulla mia turbina 8. Inoltre, sono stato fortunato quando, pochi minuti dopo l’esplosione, una presa di piombo da varie tonnellate che chiudeva un canale del reattore è caduta a meno di un metro da dove stavo.

Ero completamente nell’ombra… Mentre ero impegnato con la mia turbina, un elettricista, Baranov – che è successivamente deceduto in un ospitale di Mosca – è corso dentro ed ha cominciato a pompare fuori l’idrogeno che raffreddava il generatore della turbina. La sua azione ha prevenuto una nuova esplosione.

Dopo che tutto venne svolto, un silenzio angoscioso cadde nella sala turbine. C’era un piccolo balcone; io e Baranov siamo usciti a fumare.

Sotto di noi, sulla strada, abbiamo visto pezzi dell’Unità 4 e tocchi di grafite scagliati là dall’esplosione. Solo più tardi abbiamo realizzato quale livello di radiazioni ci fosse in quel balcone ed a quanti roentgens eravamo stati esposti durante quella sigaretta.

Nikolai Gorbachenko era un supervisore di radiazioni alla centrale:

Il mio turno cominciò a mezzanotte del 26 aprile. Dovevo prendere misurazioni nelle stanze dei reattori delle Unità 3 e 4 e controllare i dati. Ho controllato l’Unità 3, ma, sulla via verso l’Unità 4, mi sono ricordato che era in programma di spegnerla, perciò decisi che non ci fosse nulla da fare per me là. Sono stato veramente fortunato a non essere al reattore quando esplose.

Sono tornato nella mia stanza di servizio per prendermi un the. Poi abbiamo sentito un tonfo piatto e potente. Io ed il mio collega pensammo che l’operatore delle turbine avesse causato un blocco idraulico, che talvolta succedeva durante lo spegnimento di una turbina. In quel momento, udimmo un altro tonfo. Le luci si spensero; anche la luce del pannello di controllo dell’Unità 4 si spense. Come in un film horror, l’esplosione spazzò via le doppie porte che erano state chiuse con il chiavistello. Una polvere nera e rossa cominciò a fuoriuscire dallo sfiato di ventilazione. In pochi secondi, le luci di emergenza si accesero. Indossammo le nostre maschere anti-gas.

Il mio capo mi spedì all’Unità 4 per scoprire quale fosse la situazione con le radiazioni… Con il mio dosimetro a bassa potenza non fui capace di misurare il livello delle radiazioni. Sono ritornato ed ho riferito ai miei superiori cosa avessi visto.

Quindi due persone sono entrate. Hanno detto: “Hey, ragazzi, aiutateci a trovare un nostro compagno, Vladimir Shoshunok. Se n’è andato da 30 minuti e non lo sentiamo da allora. Dovrebbe essere nel pianerottolo superiore di fianco alla sala turbine.”

Una scottatura da una mano

Così sono andato con i due uomini a cercare il loro compagno. Nell’oscurità ci siamo fatti spazio tra cumuli di macerie e siamo saliti al pianerottolo.

Era il caos più totale, vapore stava uscendo a raffica ed avevamo l’acqua alle caviglia. Siamo arrivati alla struttura dove l’uomo che stavano cercando sarebbe dovuto essere…

Improvvisamente, l’abbiamo visto svenuto su un fianco, con una schiuma sanguinante che gli usciva dalla bocca gorgogliando. L’abbiamo preso per le ascelle e l’abbiamo portato di spot. Nella parte della schiena su cui stava la sua mano destra, ho subito una bruciatura da radiazione. E’ morto alle 6 A.M. all’ospedale di Chernobyl senza riprendere conoscenza. I due ragazzi che lo avevano cercato con me sono morti più tardi in un ospedale di Mosca…

Ho cominciato a sentirmi terribilmente debole e nauseato. Sono stato portato in ospedale. Un mio amico, che lavorava al pronto soccorso, mi vide nella sala d’attesa. Mi prese da parte, mi diede 500 grammi di alcol puro e mi disse di berli. Li buttai giù mescolati all’acqua. Poi ho chiamato mia moglie e le ho detto che stavo bene. Più tardi, i dottori mi dissero che l’alcol, che avevo bevuto a stomaco vuoto, mi aveva molto aiutato [che potrebbe essere vero, ma non ci sono prove che l’alcol limiti gli effetti delle radiazioni, dicono i redattori del Bulletin].

Leonid Shavrej, membro di una vicina squadra di vigili del fuoco assegnata al complesso di Chernobyl, era in pausa notturna durante un turno di 24 ore alla centrale:

Poco dopo essermi sdraiati nella guardiola, ci fu un forte tonfo che fece tremare le finestre. Mi misi subito in piedi. Il segnale di emergenza si attivò quasi nello stesso istante. Siamo usciti in strada, abbiamo corso verso i nostri mezzi ed abbiamo sentito il dispatcher gridare che c’era stato un incendio alla centrale atomica. Abbiamo alzato lo sguardo ed abbiamo visto una nuvola a forma di fungo; inoltre, sembrava che il camino sopra l’Unità 4 fosse per metà andato…

Non eravamo mai stati addestrati a lavorare in condizioni radioattive, sebbene la stazione fosse attaccata ad una centrale nucleare.

Prima abbiamo condotto le indagini di routine… siamo entrati nella sala turbine dell’Unità 4. Abbiamo visto vetri rotti e pezzi di cemento. C’erano così tante vibrazioni che i muri stavano tremando…

Sono corso fuori, girato i camion e, con quattro vigili della mia squadra, abbiamo scalato le scale esterne fino al tetto della sala turbine. Abbiamo attivato le manichette e spento i piccoli fuochi. La copertura del tetto era così calda che i nostri stivali vi rimanevano appiccicati.

Mentre scendevo per prendere un’altra manichetta, ho visto il comandante della nostra divisione, Maj. Leonid Teliatnikov… Teliatnikov ci diede l’ordine di stare di guardia sul tetto della sala turbine. Eseguimmo l’ordine. Così, spendemmo alcune insensate ore sopra il tetto con pezzi di grafite dal reattore attorno a noi. Abbiamo appresso solo successivamente quanto alto fosse il livello di radiazione là a quel tempo.

Più tardi, Teliatnikov fu premiato con il più importante riconoscimento nell’Unione Sovietica per le sue abilità di vigile del fuoco nelle prime ore dopo l’esplosione dell’Unità 4. Gli venne conferita la Stella d’Oro di Eroe dell’Unione Sovietica. Successivamente, venne inoltre promosso maggiore generale.

Col. Anatoli Kushnin, capo dell’unità di difesa chimica dell’aviazione sovietica assegnata a combattere l’incendio del reattore. arrivò a Chernobyl alle 2.30 A.M.:

Ci siamo messi immediatamente al lavoro. Per spegnere l’incendio, la decisione fu di scaricare sabbia dall’alto. Era necessario formare team per riempire i sacchi di sabbia, che avremmo più tardi lasciato cadere sopra il cuore del reattore. Poi calammo del piombo. C’era una scorta di acido borico alla centrale. Abbiamo calato pure l’acido borico. Poiché le barre usate per fermare una reazione nucleare a catena sono fatte di puro boro, l’acido borico poteva aiutare a ritardare la reazione…

Tutto questo lavoro ricadde sui piloti militari. Al tempo, c’erano 80 tra elicotteri ed aeroplani di vario genere dispiegati a Chernobyl… Come capo del settore chimico, ero responsabile per la sicurezza dalle radiazioni dello staff… Per esempio, raccomandai ai piloti degli elicotteri di coprire i pavimenti delle macchine con lastre di piombo…

Esposizione ripetuta

I nostri piloti militari lavorarono con zelo. Non ricordo un singolo caso in cui qualcuno mostrò paura, mancanza di disciplina o disobbedì agli ordini. Al 4 maggio, i piloti avevamo sepolto di sabbia il cuore del reattore nonostante le condizioni difficili e pericolose. I dispositivi dosimetrici dei loro elicotteri misurarono livelli di radiazioni superiori a 500 roentgens all’ora. Nei primi giorno dopo l’incidente, questi dosimetri andarono fuori scala. Gli equipaggi vennero esposti ad un’enorme dose di radiazioni durante i loro voli sopra il reattore… Recentemente, il pilota collaudatore militare Anatoly Grishchenko è morto negli Stati Uniti. E’ stato uno di quelli che ha provato a sollevare un’enorme cupola sopra il reattore esploso con uno dei più grandi elicotteri al mondo, il MI-26. Non ha avuto successo, ma è stato esposto più volte ad immense dosi di radiazioni. Non gli è neanche stato detto per un certo lasso di tempo.

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