Se quel turco di Shiraz…

Divan of Hafez, Persian miniature, 1585
Divan of Hafez, Persian miniature, 1585

Mashhad, dormitorio dell’Università Ferdowsi. Dopo un’intensa giornata di lezioni io e altre due ragazze ci ritroviamo alle otto e mezza di sera a stomaco vuoto. E la cucina è impraticabile e poco attrezzata. E abbiamo finito le scorte di cibo. E manca mezz’ora al coprifuoco imposto alle ragazze, e per giunta è pure venerdì ed è tutto chiuso. Ci rassegniamo quindi a cenare con un tè, dei biscotti Farkhonde al cocco e alcuni datteri. Ma la leggendaria ospitalità persiana è spesso accompagnata da una buona dose di telepatia o empatia o semplicemente fortuna: infatti, mentre ci accingiamo a preparare il tè le nostre vicine di stanza bussano alla nostra porta, per venire a invitarci a cena, dato che una di loro ha appena preparato una squisita zuppa alla menta. Sollevate e felici, sediamo con loro, a condividere cibo e chiacchiere. È proprio a metà della cena che Zeynab, una di loro, ci annuncia il suo imminente matrimonio e alle nostre domande sul suo futuro marito, come prima cosa di dice ridendo che “gliel’ha confermato Hafez, che è l’uomo giusto”.

Ancora più perplesse la vediamo tirar fuori dal cassetto un mazzo di tarocchi risalenti ai tempi dello shah, dove su ogni carta è riportato un differente verso tratto dalle poesie di Hafez. Ci spiega quindi come funziona: bisogna pensare a una domanda e, concentrandosi su di essa, scegliere alcune carte nelle quali nascosta tra i versi di Hafez sarà presente la risposta. Incuriosite, non perdiamo l’occasione e ad ognuna di noi viene data la risposta di Hafez a un nostro quesito (peraltro azzeccata). Assieme ai tarocchi esiste anche un’altra variante molto più famosa e antica legata ai vaticini hafeziani, che è chiamata faal e consiste nel porsi una domanda e nel contempo aprire una pagina a caso del Canzoniere di Hafez, e trovare nei versi la propria risposta. Il luogo legato ai faal per eccellenza è l’aramgah (tomba) di Hafez, che si trova nella città di Shiraz. Questo mausoleo, collocato in un grande giardino, è frequentato tutto l’anno, da persone che vi si recano per rendergli omaggio, per leggere le sue poesie, ma anche solo per passaggiare, sedersi indisturbati nel giardino o fare piccole gita di famiglia fuori porta.

Hafez è un nome parlante, significa infatti “Colui che ha memorizzato il Corano”, ed è il soprannome con cui è conosciuto Khāje Shams al-Dīn Moḥammad Shīrāzī, poeta, mistico e uomo di cultura persiano vissuto a Shiraz dal 1315-21 (la data di nascita è incerta) al 1390, nel periodo quindi della caduta degli Ikhanidi e dell’ascesa di Tamerlano.

Le sue poesie sono pressoché universalmente conosciute nel mondo persianofono, e molto spesso memorizzate per intero, divenendo così un trait d’union tra tutte le classi sociali. Nella poetica di Hafez i temi sono variegati, ma spiccano senza dubbio le immagini legate all’amore e al vino. Ciò non deve stupire; le sue poesie sono ricche di anfibologie per eccellenza, e si prestano a diversi livelli di interpretazione che partono da quello prettamente letterale, per passare a quello simbolico-metaforico, fino ad arrivare a quello mistico-allegorico, dove la figura dell’amato diventa allegoria del divino.

Un’altra peculiarità stilistica, in realtà tipica di un certo tipo di poesia persiana, ma particolarmente rilevante in Hafez, è l’apparente incoerenza interna dei versi che compongono i suoi ghazal[1], che ad una prima lettura paiono appunto totalmente slegati tra loro. Questa apparente contraddizione è facilmente spiegabile se si leggono le sue poesie come strutture composte di più moduli autonomi, completi e indipendenti. La coerenza quindi, non è da ricercarsi nella struttura, bensì nel contenuto: le immagini che ci presenta infatti, vengono dal repertorio tematico unico e omogeneo del canone.

Hafez ha avuto fortuna anche in Europa. Le prime traduzioni dal persiano risalgono al primo Ottocento, e sono dell’austriaco Joseph Freiherr von Hammer-Purgstall.

[1] Componimento poetico sviluppatosi nel VI secolo in ambito persiano, caratterizzato da una struttura in cinque o più distici che segue un rima di tipo AA BA CA… e un metro uniforme. Solitamente tratta tematiche amorose, legate a situazioni di festa e vino o naturalistiche.

Agar aan torke shirazi…

testo_persiano_beatrice_originale

Se quel turco di Shiraz prendesse in mano il mio cuore

Per il suo neo nero[1] darei Bukhara e Samarcanda

Versa, o coppiere[2], il vino[3] rimasto, ché in Paradiso non troverai

Né le rive del Rakanabad[4], né i prati fioriti di Mosalla

Ah, questi zingarelli vezzosi che scombussolano la città!

Così hanno portato via la pazienza dal mio cuore come i Turchi con la mensa del bottino[5]

Dal nostro amore imperfetto la bellezza dell’amico è indipendente

Di belletto, colore, nei e linee che bisogno ha il bel viso?

Raccontaci la storia del menestrello e del vino, e cerca meno i misteri del mondo

Ché persona mai non sciolse con la saggezza questo enigma

Io da quella bellezza che cresce di giorno in giorno che Giuseppe aveva, ho imparato

Come l’amore strappò fuori Zuleika[6] dal velo del pudore

Se mi rivolgi insulti o mi maledici, io ti lodo

Una risposta amara rende ancora più dolci le labbra di rubino mangia zucchero

Ascolta il consiglio mio caro, che più prezioso dell’anima

hanno i giovani fortunati i consigli dei vecchi sapienti

Hai recitato il ghazal e hai perforato le perle[7]

Vieni e canta bene, Hafez

Cosicché sulla tua collana di perle, gli astri spargono la collana di Soraya[8]

[1] Letteralmente: “indiano”, inteso come scuro

[2] La coppa e il coppiere sono veri e propri leitmotiv nella poesia hafeziana. La coppa, in particolare, è legata al vino ma è anche in gradi di riflettere i misteri del cosmo.

[3] Il vino è un altro topos letterario molto presente nella letteratura persiana. È legato a una duplice tradizione: quella araba pre-islamica, e quella prettamente iranica, sempre pre-islamica, zoroastriana. Anche in questo caso il vino presenta un doppio significato: un riferimento alle antiche feste alle corti persiane, e un mezzo utilizzato per svelare i misteri più profondi.

[4] Rakanabad e Mosalla, rispettivamente un fiume ed un prato, tipici loci amoeni

[5] Qui l’autore fa riferimento a una tipica usanza, da lui attribuita ai turchi, che consisteva nel portare via gli avanzi del cibo dopo un banchetto, ironicamente chiamata “mensa del bottino”

[6]Giuseppe nella letteratura persiana incarna il prototipo dell’amato per via di un episodio raccontato nel Corano, sura XII. La sura inizia con un sogno di Giuseppe, nel quale egli vede undici stelle, il sole e la luna prostrarsi dinnanzi a lui. Questo sogno viene interpretato dal padre come un segno di grande fortuna e di conseguenza scatena l’invidia nei fratelli di Giuseppe che decidono di gettarlo in un pozzo, sporcano quindi di sangue la sua camicia e fanno credere al padre che un lupo abbia ucciso Giuseppe. Nel frattempo questi viene salvato da un gruppo di carovanieri che lo rivendono in Egitto come schiavo a un tale la cui moglie, Zoleika, si innamora perdutamente di lui. Ci sono due episodi in particolare che riguardano Zoleika: nel primo ella cerca di trattenere Giuseppe e in tal modo strappa la sua camicia da dietro, ma all’arrivo del marito, incolpa Giuseppe di aver tentato di sedurla. Il marito però, notando che la camicia è strappata sul retro, capisce subito che la colpa è di Zoleika. Questa sentendosi umiliata organizza un ricevimento a casa sua, dove invita le medesime donne che malignavano su di lei, le quali vedendo Giuseppe e rimanendo colpite dalla sua bellezza, iniziano a tagliuzzarsi le mani invece del cibo che avevano nel piatto. Ad ogni modo, seppur innocente, Giuseppe viene imprigionato per diverso tempo. Qui, iniziando a interpretare i sogni, in breve tempo non solo riesce ad uscire di prigione, ma viene nominato pubblico ufficiale dopo aver interpretato un sogno del faraone. Dopo svariati anni che Giuseppe passa al servizio del faraone,un giorno arrivano presso di lui i suoi fratelli che,non riconoscendolo, gli chiedono aiuto. Dopo svariati episodi è lui stesso a svelare la sua identità, consegnando loro una camicia che, una volta che viene presa in mano dal padre (nel frattempo divenuto cieco) gli rende la vista.

[7]Le perle sono una metafora indicante i versi poetici, e l’azione del “perforare le perle” corrisponde all’arte di poetare.

[8] Ossia le Pleiadi

Per saperne di più:

Approfondimenti su Hafez e sulla letteratura persiana in generale:

http://www.iranicaonline.org/articles/hafez la voce “Hafez” dell’Enciclopedia Iranica Online è completa ed è un preziosissimo strumento per chiunque voglia conoscere più da vicino Hafez e la sua poetica ma anche qualsiasi altro aspetto della cultura e letteratura persiana.

Imprescindibile, anche se purtroppo non di facile reperibilità, il libro “Storia della letteratura persiana” di A. Bausani e A. Pagliaro, Nuova Accademia, Milano, 1960.

Per leggere Hafez in italiano:

http://www.lerotte.net/download/article/articolo-53.pdf alcune poesie di Hafez con ottime traduzioni (sia letterali che libere, sia in prosa che in poesia) in italiano e con testo originale a fronte

Ottanta Canzoni – Testo Persiano a Fronte, a cura di Stefano Pellò e Gianroberto Scarcia, Einaudi, 2008.

Canzoniere, a cura di Stefano Pellò e Gianroberto Scarcia, Edizioni Ariele, 2005.

Il Libro del Coppiere, a cura di Carlo Saccone, Carocci, 2003.

Versi sul Vino – Antologia del canzoniere di Shams od-din Mohammad Hafez, a cura di Riccardo Zipoli, L’Artistica Editrice, 2006.

Maria Beatrice Grossa

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