Nessuna polemica, con questo articolo sono soltanto alla ricerca di pareri, pensieri, punti di vista. Cerco confronto. Lo stesso che per troppo poco tempo ha impegnato una singola lezione durante un corso all’università. Si parlava di economia, di valorizzazione dei beni culturali, di eventuali abusi di questi termini, di cosa è vecchio e cosa è nuovo, di cosa è polveroso e cosa è innovativo.
Il primo caso fa riferimento ad aprile 2013, quando a Palazzo Pitti a Firenze viene organizzata una festa di benvenuto per più di 600 invitati alle nozze indiane tra Aradhana Lohia, figlia del magnate Aloke Lohia (Indorama Ventures PCL), e Kevin Sharma. Tre giorni di festa all’insegna del lusso nella città fiorentina. Resoconto.
Il secondo caso, invece, risale a giugno 2013, quando il Ponte Vecchio a Firenze viene chiuso al passaggio per una cena privata della casa automobilistica italiana Ferrari. Resoconto.
CASO 1.
Se un uomo è capace di comprare un costoso vestito Versace a più di €7000 alla propria costosa fidanzata, o se quello stesso uomo è pronto a spenderne altrettanti per un orologio Rolex, allora credo che una cena nel cortile dell’Ammannati a Palazzo Pitti a Firenze possa costare molto, molto di più. Quando si prende una decisione, bisogna avere ben chiaro in mente l’obiettivo che si vuole raggiungere. Se questo è rendere più vivo, vivibile e vissuto possibile un palazzo storico dall’invidiabile valore artistico come Palazzo Pitti, è chiaro che esseri viventi, preferibilmente (o esclusivamente?) persone, debbano potervi avere accesso. Si possono allargare gli orari delle visite o si può pensare a vie alternative.
Questo è quanto stato pensato a Firenze. Nessuna vendita del palazzo, come è stata tacciata da certi critici: fruizione semmai. Se poi non si vuole sminuire o svalutare l’evento che viene reso possibile, bisogna dedicare tempo alla giusta valutazione dell’oggetto e dell’esperienza proposta. Ma soprattutto, prima di un qualsiasi tariffario, è opportuno stilare una chiara lista di penali in caso di danneggiamento, dalle statue alle scale, dalle pareti alle singole tende. Per trasparenza. Non si è capaci di una stima esatta? Non si ha idea dello spessore dei portafogli dei possibili fruitori? Per il primo anno, si scelgono tre date in conformità al calendario cittadino per evitare sovrapposizioni con altri eventi e si pubblicizza capillarmente la possibile esperienza, permettendo ai tre pronti a offrire di più di aggiudicarsi le tre date per quell’anno, scelta una base minima per coprire i costi fissi. In questo modo, in base al primo anno, si può ricavare un’idea di quanto il maharaja di turno o il ricco ereditiere giapponese siano pronti a spendere.
CASO 2.
Personalmente, ho appoggiato il piano di chiusura del Ponte Vecchio per la Ferrari come evento eccezionale. Non l’avrei fatto per la Volkswagen. Mi spiego: se il ponte della mia città dovesse essere chiuso per dare visibilità a una casa automobilistica del mio Paese, fiore all’occhiello della qualità italiana, sarei stata orgogliosa. Certo, è chiaro che la Ferrari non avesse bisogno di visibilità o che potesse scegliersi anche tutto un altro posto meno invasivo. Ma di fronte alla richiesta, avrei colto l’occasione al volo per guadagnare visibilità e diciamolo pure, ricchezza, per la mia città. Non solo avrei scelto una cifra alta, chiarendo anche dove sarebbero andati a finire quei soldi, ma avrei anche chiesto alla Ferrari di organizzare un servizio navette a loro spese con mezzi Ferrari, perché no, in modo che per quelle tre ore – e parliamo di tre ore, non di tre giorni – il passaggio alternativo da una parte all’altra di Firenze fosse possibile e non causasse disagio alla popolazione.
CASO DISPERATO?
È inutile demonizzare le iniziative, il problema focale a mio parere è sempre l’organizzazione e il vecchio detto dei nonni, cioè di non fare il passo più lungo della gamba, rischiando poi di inciampare.
Credo che la valorizzazione del bene pubblico debba prima di tutto passare da un chiarimento del termine. Non di valorizzazione, ma di bene pubblico. Invece che chiamarlo di tutti, potremmo iniziare a responsabilizzarci dandoci un nome, come il bene di Alice Rossi, di Anna Bianchi, della mia famiglia, dei miei amici, del mio vicino di casa. E poi anche il mio. Ma MAI tenerlo a mente come il bene di una macchia indistinta e improbabile di umanità o nazione, perché quegli insiemi sono prima di tutto composti da noi. Anche da me. Non pensiamo mai all’enorme e determinante valore che hanno le nostre azioni, le nostre scelte quotidiane. Che abbiamo noi! Dunque non facciamo tanto gli scandalizzati di fronte a un ricco indiano che vuole venire a gustarsi una cena a Palazzo Pitti, probabilmente molto più educato e accorto di noi nella cura degli spazi. Troppo comodo puntare sempre il dito contro gli altri e uscire dall’ufficio e buttare la cartaccia per terra o nel bidone della plastica.
Come possiamo lamentarci di possibili violentatori di Palazzo Pitti se nel cortile dell’università non siamo capaci, anzi no, siamo proprio cafoni e lasciamo la sigaretta tramortita, ma ancora fumante e puzzolente per terra, voltando le spalle all’apposito raccoglitore?
Elisabetta Negroni
Un articolo che andrebbe fatto leggere a tanti! A quei tanti che davanti alle opportunità come quelle sopra citate vedono solo il danno, che davanti a una possibilità di valorizzazione e alla novità, come unico modo di reagire cadono nella facile, e oggi così in voga, lamentela con il giornalista di passaggio(per esempio) che ben sa quanto questa attirerà i facili consensi di molti!
Complimenti ancora Elisabetta!
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Grazie mille, questi riscontri sono preziosissimi!
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Concordo in pieno, hai esposto perfettamente la questione sempre spinosa della valorizzazione dei beni culturali. E’ stata una lettura interessante, grazie!
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Grazie mille!
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