24. ‘Tis “the witching time of night”

’Tis the “witching time of night”. Così comincia la ninnananna che John Keats (1795-1821) compose nel 1818 per il nipote, l’appena nato figlio di George e Georgiana Keats. Le intenzioni del poeta erano sicuramente delle migliori, ma il risultato finale non è certo comparabile a Twinkle, twinkle, little star. La ninnananna di Keats, infatti, fin da subito si connota come qualcosa di molto più vicino al significato etimologico di awesome: qualcosa di tanto grandioso e potente da suscitare timore reverenziale.

Lo stesso primo verso introduce un immaginario molto specifico. “The witching time of night” è un riferimento ad Amleto, III, 2: ‘Tis now the very witching time of night, / When churchyards yawn and hell itself breathes out / Contagion to this world. Now could I drink hot blood / And do such bitter business as the bitter day / Would quake to look on (378-384¹). L’immagine di apertura è quindi quella di un momento della notte in cui il soprannaturale, l’oscuro, le potenze recondite e inquietanti del creato arrivano a diffondersi nel mondo dei vivi come un’epidemia. La Terra si trova in un momento di sospensione delle regole della razionalità, e viene permeata da un contagio che rende possibili le cose più tremende, proibite e condannate alla luce del giorno, tanto che è solo ora che Amleto potrebbe bere sangue caldo impunemente.

Non è un caso che la luna sia orbed, piena, e luminosa, e che le stelle sembrino ascoltare with bright eyes. C’è un senso di anticipazione e aspettativa – come nelle primissime sequenze di Night On Bald Mountain/Ave Maria di Fantasia (1941) – per un canto e un incantesimo; le stelle brillano in allarme e la luna crescente (waxing) diventa sempre più calda, quasi come cera pronta a sciogliersi (come sembra suggerire l’associazione waxing warm). Ciò per cui l’intero cosmo  (Moon, keep wide thy golden ears / Hearken, stars, and hearken, spheres; / Hearken, thou eternal sky -) si prepara in soggezione ad ascoltare sono le parole del poeta: I sing an infant’s lullaby, / A pretty lullaby! La ninnananna ha tuttavia una forma molto particolare. Listen, listen, listen, listen, / Glisten, glisten, glisten glisten, / And hear my lullaby! Il ritmo già di per sé incalzante della poesia, strutturata in versi brevi, ricca di asindeti ed epanalessi e movimentata da interrogativi, ordini, pause improvvise, diventa in questo passaggio una sorta di vero e proprio incantesimo.

Il poeta, in quanto essere superiore, è in grado di vedere ciò che sarà, come i giunchi che formeranno la culla del bimbo, il tessuto di cui saranno fatte le sue fasce, la lana che lo terrà caldo, ma soprattutto sa quale sarà il destino del neonato. Child, I see thee! Child, I’ve found thee […] Child, I see thee! Child, I spy thee esclama il poeta, quasi avesse cercato e trovato il bambino attraverso una sfera di cristallo, un calderone, una facoltà conoscitiva superiore. E, nella sua visione, scoprirà quale sia la vera natura di questo bimbo. Child, I know thee! Child no more, / but a Poet evermore: si tratta di un suo simile, un’altra creatura potente, in grado di osare ciò che nessuno osa: guardare dritto alla terribile potenza della poesia, alla lira circondata da fiamme di un bagliore accecante (Flaring, flaring flaring / Past the eyesight’s bearing), afferrare unharm’d, senza ferirsi, lo strumento e suonarne le corde incandescenti.

La visione del Little child chiude il componimento lasciandoci in sospeso. Una piccola ma potentissima creatura è venuta al mondo, viene dal western wild, dalla lontananza selvaggia dell’occidente, ed è dotata di quelle facoltà soprannaturali che, se per gli altri mortali sono esperibili soltanto alla witching hour of night, in lui saranno sempre vive, capaci di far pendere l’intero universo dalle sue labbra. A chi leggerà – e canterà al bimbo – la ninnananna non è dato sapere, come invece al poeta, quali grandezze egli potrà compiere, ma la visione si è interrotta e l’incantesimo compiuto.

‘Tis ” the witching time of night”,
Orbed is the moon and bright,
And the stars they glisten, glisten,
Seeming with bright eyes to listen —
For what listen they?
For a song and for a charm,
See they glisten in alarm,
And the moon is waxing warm
To hear what I shall say.
Moon! keep wide thy golden ears —
Hearken, stars! and hearken, spheres!
Hearken, thou eternal sky!
I sing an infant’s lullaby,
A pretty lullaby.
Listen, listen, listen, listen,
Glisten, glisten, glisten, glisten,
And hear my lullaby!
Though the rushes that will make
Its cradle still are in the lake;
Though the linen then that will be
Its swathe, is on the cotton tree;
Though the woollen that will keep
It warm is on the silly sheep —
Listen, stars’ light, listen, listen,
Glisten, glisten, glisten, glisten,
And hear my lullaby!
Child, I see thee! Child, I’ve found thee
Midst of the quiet all around thee!
Child, I see thee! Child, I spy thee!
And thy mother sweet is nigh thee!
Child, I know thee! Child no more,
But a Poet evermore!
See, see, the lyre, the lyre,
In a flame of fire,
Upon the little cradle’s top
Flaring, flaring, flaring,
Past the eyesight’s bearing.
Awake it from its sleep,
And see if it can keep
Its eyes upon the blaze —
Amaze, amaze!
It stares, it stares, it stares,
It dares what no one dares!
It lifts its little hand into the flame
Unharmed, and on the strings
Paddles a little tune, and sings,
With dumb endeavour sweetly —
Bard art thou completely!
Little child
O’ th’ western wild,
Bard art thou completely!
Sweetly with dumb endeavour,
A Poet now or never,
Little child
O’ the western wild,
A Poet now or never!

¹  Hamlet, a cura di Ann Thompson e Neil Taylor. London: Arden Shakespeare (2016)

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