Sant’Elena: nel segno della croce

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La laguna veneziana è un luogo che è sempre stato in movimento, se così si può dire: nel corso dei secoli ha perennemente subito da un lato le variazioni croniche dell’ecosistema della gronda lagunare, dall’altro gli uomini che l’hanno abitata l’hanno trasformata in molteplici modi. Se è risaputo che furono numerosi i monasteri delle varie isole o delle propaggini lagunari costretti a trasferirsi dall’avanzare delle onde del mare, è poco noto che nell’Età Moderna si sviluppò nelle gerarchie di potere veneziane un dibattito sull’interramento della laguna: favorire che i depositi fluviali pian piano interrassero le acque per ottenere nuove terre coltivabili o deviare i letti dei grandi corsi d’acqua veneti per far sì che Venezia rimanesse protetta dalle sue mura d’acqua? Vinse, com’è intuibile, la seconda opzione e il Brenta, il Bacchiglione, l’Adige e il Piave vennero modificati nel loro corso con tagli e nuovi percorsi. 

L’isola di Sant’Elena subì nella sua evoluzione le scelte umane di modificazione dell’ambiente: inizialmente piccola formazione insulare, vide negli anni ’20 del XX secolo un’opera di bonifica che ne aumentò notevolmente l’estensione, rendendola capace di ospitare molte grandi costruzioni della Venezia contemporanea come l’Accademia Navale Francesco Morosini, le sedi della Biennale e diverse aree verdi. Una “corona” di strutture moderne che attornia un’antica chiesa e il monastero ad esso collegato, da secoli votato al ricordo di una donna e della sua vocazione spirituale. 

Elena è una figura difficilmente inquadrabile dagli storici per molti motivi, come la sua origine o il rapporto con quello che solitamente viene identificato come suo marito, Costanzo Cloro, uno dei quattro imperatori della tetrarchia istituita da Diocleziano. Quest’ultimo, tra il III e il IV d.C., divenuto imperatore dopo una vita da brillante generale, associò al trono il collega Massimiano, decidendo dopo alcuni anni di dividere un impero ormai troppo vasto in quattro parti, una delle quali, costituita dalla Gallia e dalla Britannia, venne assegnata a Costanzo. Si trattava di un progetto ambizioso, volto ad assicurare la sicurezza dei confini con un migliore controllo e una successione organizzata tra le coppie di imperatori (i due Cesari e i due Augusti). È un’idea che tradizionalmente si può vedere sintetizzata nel gruppo statuario dei Tetrarchi, in piazza San Marco. Non si sa quando e come il cesare Costanzo incontrò Elena, né tantomeno chi fosse la donna; non mancano del resto le voci che la indicarono come nata da famiglia umile e come prostituta, come sembra fare Ambrogio, che la chiama “donna di taverna” (stabularia). Fatto sta che la donna, moglie o concubina che fosse, nel 274, quando il marito non era ancora imperatore, diede alla luce un figlio che venne chiamato Costantino, in quanto figlio di Costantius. Costantino sarebbe poi divenuto a sua volta imperatore, ma in maniera “illegale” rispetto lo schema appena introdotto: le legioni di stanza a York di cui era generale lo acclamarono alla morte del padre, abituate all’uso tradizionale dell’acclamatio e non a quello innovativo della successione programmata della tetrarchia: quello che viene ricordato come il primo imperatore cristiano, che si definì come il trionfatore degli usurpatori, lo era in realtà lui stesso. Seppe però far dimenticare questa particolarità e in ciò lo aiutò proprio la madre. Nonostante Eusebio di Cesarea le imputasse un ruolo “troppo presente” nella vita politica dell’impero, in particolare per alcune scelte del figlio a suo dire non troppo corrette, Elena divenne parte della vita pubblica di Costantino e della sua campagna ideologica e propagandistica. Nel 326 la seconda moglie di Costantino, Fausta, venne messa a morte per aver tramato contro il figliastro Crispo e successivamente subì la damnatio memoriae: era necessaria una nuova figura che esemplificasse e simboleggiasse la salute e la prosperità, oltre a tutte le altre virtù femminili, della casa imperiale; chi meglio della madre del sovrano poteva assumere a questi compiti? Elena iniziò ad essere identificata nelle iscrizioni e nelle monete come mater, genitrix e procreatrix della dinastia dei nuovi cesari, una famiglia che, è bene ricordarlo, sedeva sul trono dell’impero dopo assassinii, usurpazioni, congiure e atti illegali. Niente di strano, si potrebbe pensare; questo è vero, ma è vero anche che dopo un colpo di stato è sempre necessaria una politica che legittimi chi lo ha organizzato. La successiva conversione di Elena e gli atti di evergetismo che seguirono proseguirono l’opera iniziata dal figlio. 

La santità della figura è legata principalmente alla sua attività di pellegrina dei luoghi della nuova fede, cui lo stesso Costatino l’avrebbe convertita. Elena iniziò a viaggiare nelle regioni in cui abitò Gesù, come Nazareth, Betlemme e Gerusalemme, o in cui si svolsero grandi eventi dell’Antico e del Nuovo testamento, spesso facendovi erigere chiese e santuari, come quello sul Monte Sinai, il luogo della consegna delle tavole della legge. Fu proprio in uno di questi pellegrinaggi che, secondo le agiografie, l’elevazione a figura mistica culminò nel ritrovamento della più importante delle reliquie, quella della vera croce. Decisa a rintracciare lo strumento della morte del Cristo, fece attuare degli scavi sul Golgota, dove secondo i Vangeli avvenne la crocifissione, rinvenendo presto quella che venne indicata come l’autentica croce di Gesù. Nella nostra consapevolezza moderna e secondo l’attuale punto di vista, non è escludibile che in realtà vennero trovati pezzi di legni utilizzati per la stessa pena capitale, riservata agli schiavi e a chi non era cittadino romano, ma, calandoci nella mentalità dell’epoca, si può provare a capire l’importanza simbolica del ritrovamento. Generalmente si pensa che la croce sia stata la protagonista della conversione di Costantino, il quale, alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio avrebbe visto in cielo il segno prodigioso, poi posto, dietro consiglio divino, sulle sue insegne in modo da ottenere la vittoria contro il pagano Massenzio. Tralasciando il dibattito sulla veridicità della narrazione, secondo alcuni troppo simile al modello della lotta di Mosè contro il Faraone al momento della fuga dall’Egitto, le fonti riportano che in realtà il simbolo scelto dal primo imperatore cristiano fu il chrismon, il monogramma di Cristo, che si configurava come l’unione di due lettere della parola greca christos, la chi e la ro

Costantino seppe sfruttare anche altri elementi con una forte valenza metaforica e di origine pagana, come per esempio il Sole. Fu però dal IV secolo d.C. che il simbolo della croce si legò saldamente alla corona e alla regalità stessa, intesa sempre più come potere derivato da Dio. La reliquia trovata da Santa Elena iniziò ad essere esposta e venerata a Costantinopoli e Gerusalemme, come racconta la pellegrina del V d.C. Egeria, in relazione al suo sacro itinerarium in Terra Santa, ma nei secoli successivi la sua connotazione “regale” si intensificò, soprattutto nel contesto bizantino. Nel VII secolo l’augusto Eraclio sconfisse i persiani penetrati fino a Gerusalemme, uccidendo il re Cosroe II e riconquistando la reliquia in questione, che scelse di riportare fino alla Città Santa in spalla e a piedi, emulando Cristo. Nel secolo successivo furono gli imperatori iconoclasti, Leone III l’Isaurico in primis, a fare della croce il loro simbolo: oramai divenuto parte del patrimonio figurativo imperiale, la elevarono in contrapposizione al culto delle icone, che venne proibito insieme ad ogni raffigurazione del Divino. Con ogni probabilità, la decisione mirava non solo a potenziare l’autorità e la figura imperiale in un momento di debolezza grazie al nesso croce-corona, ma anche minare il crescente potere economico dei monasteri, soprattutto quelli della capitale, il cui peso politico era basato sulle entrate dovute proprio alla venerazione delle icone. 

In Occidente il ritrovamento della vera croce venne veicolato dalla narrazione della Legenda Aurea di Iacopo da Varagine, utilizzata da Piero della Francesca nella realizzazione delle Storie della vera croce per la chiesa dei francescani di Arezzo. Due punti sono in particolare da notare: in primo luogo, l’immaginario filo rosso che unisce Adamo, la cui morte fa nascere l’albero da cui verrà ricavato il legno per la crocifissione, Gesù, Eraclio e Costantino, in una linea che congiunge l’Antico e il Nuovo Testamento tramite la storia della reliquia. L’altro punto è il profondo e visibile legame costituito tra Elena e la regina di Saba, la sovrana pagana di un regno ad est di Israele che volle ammirare di persona la saggezza di Salomone; durante il viaggio la regina miracolosamente riconobbe in una trave abbandonata quella usata per la messa a morte del Cristo. Si tratta di due donne che non sono seguaci della vera fede, se non finché la sapienza divina ne illumina lo spirito rendendole capaci di cogliere il mistero cristiano indicato dal simbolo della crocifissione. Anche in Europa non mancarono però riflessioni e accostamenti in relazione al nesso croce-regalità. Per quanto evocativo possa essere citare i globi cruciferi con cui i sovrani medievali si fecero ritrarre, o le croci rosse e nere portate dai cavalieri europei durante le crociate, o ancora le variazioni del simbolo nei diversi contesti (per esempio la croce celtica, secondo gli studiosi fusa al simbolo pagano dell’antico culto solare irlandese), è forse più interessante ricordare che Sant’Ambrogio scrisse che Elena trovò insieme alla croce due chiodi della crocifissione, di cui uno venne fuso nel diadema del figlio e l’altro nel morso per il suo cavallo: per il vescovo di Milano le collocazioni stesse sono simboli del ruolo che la Chiesa deve avere nei confronti del sovrano, di guida della mente e di alleato in battaglia, ma anche di freno dell’intemperanza. 

Tutto questo excursus ha in qualche modo lasciato da parte la chiesa di Venezia: l’obiettivo di questo articolo è stato questa volta infatti il tentativo di ricostruire in modo molto sintetico una particolarità della figura della sua santa protettrice, cioè quella che potremmo definire la sua “variabilità”. Sant’Elena imperatrice infatti venne identificata come un donna diversa nel coso dei secoli. La donna di strada ricordata da Ambrogio lasciò presto il posto alla regina citata da Eusebio, alla donna descritta con qualche difetto o legata all’ebraismo o all’eresia ariana da altri; tutte memorie che certo cozzavano contro l’immagine di augusta genitrice veicolata dal figlio Costantino. La donna più “terrena” venne presto sostituita dalla santa regina, modello per molte donne che su di lei basarono la propria rappresentazione di madri, mogli, monache, o in generale donne di Dio devote alla divina augusta e, ovviamente, alla croce. Non è un caso che l’imperatrice Galla Placidia dedicò ad Elena la cappella del suo palazzo, arricchito da uno splendido mosaico raffigurante la croce; oppure che Atenaide Eudocia, moglie di Teodosio II, si recò in pellegrinaggio nei luoghi della Terra Santa, dove si trasferì definitivamente dopo essere caduta in disgrazia presso il marito, scegliendo di dedicarsi alla costruzione di monasteri sul modello di Elena. Ancora, Pulcheria nel 451 è acclamata nuova Elena al concilio di Calcedonia insieme con il marito Marciano, nuovo Costantino, mentre Gregorio Magno propone Elena come esempio di vita alla regina inglese Berta. Nell’Alto Medioevo è poi la regina dei franchi Radegonda a dedicare alla santa croce il suo monastero di Poitiers, dove viene acclamata come nuova Elena. La figura di Elena venne addirittura ripresa da cronisti inglesi, per esempio Goffredo di Monmouth, che la indicavano come figlia di un re britannico che la diede in sposa al cesare Costanzo Cloro presente sull’isola per sedare delle ribellioni. 

È facile comprendere quindi come Sant’Elena porti con sé una molteplicità di significati, legati non solo all’idea stessa della santità celeste, ma anche alla regalità femminile, al culto della croce simbolo del cristianesimo tardo-antico e medievale, alla pratica del pellegrinaggio in Terra Santa. Custodire il corpo di questa santa significava richiamarsi ad ognuno di questi valori capitali della fede cristiana: lo sapevano sicuramente bene gli agostiniani del convento veneziano, che durante il XIII secolo portarono in città proprio le presunte spoglie mortali della regina, tuttora ospitate nella omonima chiesa. Un edificio che pur essendo ai confini della maggiore isola della laguna, è in qualche modo al centro della simbologia religiosa e della vita spirituale europea.  

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