Danimarca Dal Divano: salvare il salvabile

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È il 14 gennaio e l’Ufficio Internazionale dell’Aarhus Universitet mi informa che il Primo Ministro danese, Mette Frederiksen, ha comunicato che le restrizioni previste fino al 17 verranno prolungate fino al 7 febbraio (spoiler alert: lo saranno fino al 21 aprile), nel tentativo di contenere la diffusione del Coronavirus e delle sue varianti.

Detto fatto: in piena sessione e nel bel mezzo dei preparativi, annullo la partenza prevista da qui a una settimana, amareggiata e in realtà anche un po’ arrabbiata. Ma, in fondo, che altro si può fare? Nel tentativo di salvare il salvabile, il mio Erasmus in Danimarca si trasforma nell’ennesima esperienza di DaD, nella vaga speranza di poter raggiungere prima o poi Aarhus (chissà).

Tutte le attività della Introduction Week vengono ovviamente svolte online, così come le lezioni e le esercitazioni in classe. Nomi di persone che presumibilmente non incontrerò mai si sostituiscono ai volti mano a mano che le telecamere si spengono.

Ma è tutto perduto? Il famoso incontro-scontro culturale non può avvenire? Non mi potrò mai confondere né restare perplessa davanti a comportamenti e atteggiamenti diversi dal mio? Non era questo il senso dell’Erasmus? Ripeto, cerchiamo di salvare il salvabile.

Dal mio comodo divano a casa e poi dalla scrivania della camera di San Servolo, mi affaccio su Aarhus dalla finestra di Zoom, unica possibilità per dare un’occhiata a questa cittadina nel cuore dello Jutland. Il caso ha voluto (una delle poche cose positive che mi abbia concesso in quest’esperienza virtuale) che sia stata costretta a iscrivermi a un corso di Danish Society: Culture, Institution and Markets. Quindi, che dire, immaginiamo di partire lo stesso, per questo viaggio in Danimarca dal divano.

Immaginate come me di salire su un aereo e di arrivare, dall’aeroporto Marco Polo, all’aeroporto di Copenaghen, dopo aver volato sulle Alpi e sorvolato tutta la Germania (in realtà, con la attuale situazione pandemica ci vorrebbe almeno uno scalo ad Amsterdam o Parigi, e pure di diverse ore, ma insomma, è un viaggio immaginario e possiamo anche permetterci la prima classe, se vogliamo).

La capitale della Danimarca è una città di 602.000 abitanti, che magari a noi italiani potrebbero non sembrare molti (corrispondono a 3 volte quelli di Padova), ma che rappresentano invece una concentrazione considerevole, che rappresenta il 10,4% del Paese. Certo, c’è da dire che i danesi sono poco meno di sei milioni in totale, ma, per fare un confronto, Roma e Berlino rappresentano solo il 4% dell’Italia e della Germania, Parigi solamente il 3,2% della Francia. La cosa pazzesca è che tutta questa gente si muove quasi esclusivamente in bicicletta; ovviamente scordatevi l’andazzo da gita domenicale in campagna, la bicicletta è qui utilizzata come quel veicolo che dovrebbe essere e ha la stessa dignità di un’automobile, con tanto di corsie e semafori dedicati. Ma è più apprezzata, perché più green.

Tutte queste biciclette, che possiamo immaginare dal finestrino immaginario del nostro bus immaginario che ci sta portando al centro di Copenaghen (esatto, anch’esso immaginario; ma per fortuna c’è Google Street View), sono lo stereotipo dei Paesi Nordici e il risultato più evidente di quello che è l’impegno del Paese nelle politiche ambientali, di cui la Danimarca si definisce (molto modestamente, ma non a torto) front-runner in Europa (e nel mondo). 

La Danimarca è infatti leader globale nella lotta contro i cambiamenti climatici: con la più ambiziosa legge sul cambiamento climatico, ha infatti l’obiettivo di ridurre le emissioni del 70% per il 2030. Neanche a farlo apposta, il Paese è indipendente dal punto di vista energetico (per aver trovato il petrolio nel Mar Baltico e) per il sapiente uso di energie rinnovabili e alternative, delle quali si vorrebbe servire in modo esclusivo entro il 2050. Se fossimo giunti in automobile attraverso la Germania, avremmo incontrato all’ingresso della città gli impianti che producono energia dalle biomasse, dopo aver superato chilometri e chilometri di campi invasi da pale eoliche, il vero vanto del green-tech danese. Circa il 47% dell’energia consumata nel 2019 proveniva infatti dal vento, secondo quanto riportato da Energinet, l’operatore danese per elettricità e gas. La maggior parte di queste pale eoliche (alcune sono alte anche oltre 100 metri) sono fornite da Vestas, che ha sede proprio a Aarhus. Si tratta del più grande produttore al mondo, operante in circa ottanta Paesi, tra cui gli Stati Uniti, dove è il terzo fornitore per capacità. Non a caso, il settore delle energie rinnovabili è tra i più rilevanti per l’industria danese, insieme alle spedizioni marittime (esatto: fin dall’era dei Vichinghi i danesi sono affezionati al mare e ciò comporta che oggi un Paese così piccolo sia incaricato del trasporto via mare per il 10% del commercio globale), i prodotti farmaceutici (in particolare per quanto riguarda l’insulina, la Novo Nordisk è leader mondiale insieme alla francese Sanofi e alla statunitense Eli Lilly) e la trasformazione degli alimenti (in particolare della carne di maiale, protagonista di almeno un episodio della serie televisiva danese Borgen… di cui però riparleremo più avanti).

Prendiamoci il pomeriggio per passeggiare, o magari pedalare anche noi su una bella bicicletta, e assaporare questa nuova aria di mare, più fredda e penetrante della dolciastra sorella veneziana che ci siamo lasciati idealmente alle spalle per un po’.

Penso che mi dirigerò verso il molo. Voi non avete voglia di vedere la Sirenetta?

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