Alla scoperta di un’avanguardia da repertorio nel mondo della danza (e non solo)

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Quanto è cambiato il modo di muoversi su un palcoscenico dalla grande stagione del balletto classico a oggi? Come si è evoluta la rappresentazione dell’essere umano, della sua psicologia sulla scena e quali sono stati i paradigmi che si sono via via affermati nell’interpretazione a teatro dei ruoli di genere? È vero: sono domande che possono sembrare estremamente teoriche, intrise di nozionismo accademico, ma che, a ben guardare, possono essere utili indicazioni per decifrare la complessa varietà delle performance da cui siamo quotidianamente bombardati, non solo sui palcoscenici, ma anche in televisione e nelle pubblicità.

Si pensi ad esempio ad Achille Lauro che, dopo il suo indelebile show alla scorsa edizione del Festival di Sanremo, è ritornato a solcare il palco dell’Ariston come guest artist per tutte le serate esasperando, nel bene e nel male, molti dei moduli sperimentando l’anno precedente. Il gran finale di questa settantunesima edizione, infatti, ha visto il cantautore-performer in smoking che, a poco a poco, si spoglia mostrando un trucco veramente ardito: da delle rose conficcate nel costato sgorga del sangue, come in un moderno martirio. Questo finto supplizio, tuttavia, è venato di allusioni sensuali ed erotiche, rimandanti al mito dell’androgino, che pare difficile ignorare.

Ebbene, tutti questi spunti di riflessione possono trovare un comune denominatore nell’esperienza artistica dei Ballets Russes, compagnia di danza classica che si fa portavoce dell’avanguardia modernista all’interno della tecnica accademica. La loro esperienza, di durata ventennale, offrì sin da subito produzioni innovative agli spettatori francesi, grazie a tre protagonisti di eccezione: Djaghilev, Fokine e Nijinski.

Il primo fu l’impresario di questa complessa macchina teatrale. Sergheij Djaghilev lavorò come consigliere artistico ai teatri imperiali di San Pietroburgo, ma, a causa delle sue mal celate simpatie per la Rivoluzione russa del 1905, dovette presto abbandonare la Russia, trasferendosi in Francia come promotore della cultura del Paese degli zar. Nel 1909 propose agli spettatori parigini la prima “Saison Russes”, organizzata come un vero e proprio gala animato da brevi esibizioni molto innovative. Va inoltre evidenziato che siamo di fronte a uno dei primi esempi di imprenditoria teatrale: i Ballets Russes non saranno mai legati a un teatro specifico come compagnia stabile, ma inaugureranno un nuovo format teatrale, che vede nell’impresario una figura centrale, deputata a rintracciare gli sponsor, scenografi e costumisti indispensabili per l’allestimento della performance.

Le prime innovazioni coreografiche si devono a Fokine, grande conoscitore della danza accademica, ma simpatizzante vero le nuove proposte artistiche di Isadora Duncan, ballerina statunitense che per prima proporrà uno stile più morbido, non più costretto nei rigidi limiti dei passi della danse d’école: ad esempio, fu lei la prima a mettere da parte tutù e scarpette a punta, prediligendo coreografie a piedi nudi, indossando soltanto tuniche ariose e leggere. Si tratta di una trasformazione repentina, se si pensa che tali innovazioni risalgono intorno al 1903, solo tredici anni dopo la première di un grande classico del repertorio come “La bella addormentata” di Tchaikowski e Petipa. Fokine rimase incantato da questi nuovi suggerimenti: propose quindi un nuovo concept coreografico, che, pur attingendo a piene mani dalla tecnica accademica, potesse essere al passo con i tempi. La struttura narrativa che caratterizzava i grandi spettacoli dell’Ottocento venne notevolmente sfoltita, attuando tagli considerevoli per quanto riguarda sia il numero di personaggi sul palco, sia la durata complessiva dell’esibizione. Centro di questa nuova indagine era invece l’emozione, che doveva sgorgare, quasi come un flusso, dall’ascolto della musica.

L’opera che forse meglio riassume questo nuovo paradigma artistico è Le spectre de la rose. La pièce è costituita da un pas de deux, lungo una decina di minuti, che raffigura una ragazza che, dopo essersi addormentata, sogna un di ballare con questo misterioso spettro, vestito di petali di rosa. A questa impostazione narrativa così scarna si oppone, invece, il virtuosismo del protagonista maschile. In modo del tutto eccezionale rispetto al balletto classico, la vera star sul palco è ora il ballerino, che si libera dal ruolo di porteur a cui è stato relegato per tutta la tradizione ottocentesca. L’interprete si lancia in grandi salti, cadenzando i propri movimenti con movimenti e port-de-bras estremamente aggraziati, quasi femminei, che paiono giustificare l’allusione alla rosa, menzionata nel titolo. Un fiore che, forse non del tutto a caso, accomuna quest’esibizione dei primi anni Dieci con il grandioso epilogo di Lauro sul palco sanremese.

La vera svolta, tuttavia, si ha con il terzo dei nostri protagonisti: Vaslav Nijinski, protagonista della première de Le spectre de la rose. Questo ballerino si fece interprete di una grande rivoluzione coreografica, visibile sin dalla sua prima creazione del 1912: L’après-midi d’un faune. L’opera è basata sul testo di Mallarmé: un fauno, dopo aver incontrato una ninfa, cerca di ghermirla, ma lei riesce a fuggire, lasciando dietro di sé un velo, che il protagonista raccoglierà per poi simulare un amplesso sul tessuto. Il “passo a due rovesciato”, suggerito da Fokine, viene ora esasperato. In questa brevissima pièce: “men act, woman appear”. Il palco è quasi del tutto dominato dal ballerino, vero protagonista dell’esibizione: la controparte femminile, al contrario, si muove in maniera lineare sullo sfondo, come in un bassorilievo.

Al personaggio maschile è quindi concessa una centralità inedita, che consente di inscenare sentimenti fino all’epoca censurati. L’uomo, la sua dimensione psicologica e sessuale irrompono sulla scena: non a caso, secondo lo spartito coreografico della première, nella conclusione il fauno doveva masturbarsi sul velo sottratto alla ninfa, finale poi censurato nelle repliche per il troppo scalpore che sollevò. Al di là delle numerose critiche, la via esplorata dai Ballets Russes fu quella vincente. Infatti, proponendo un nuovo modello coreografico, mai in totale opposizione alla danse d’école, riuscirono ad aprire una breccia nel repertorio ottocentesco, consacrando la danza a strumento principe per rappresentare la psicologia degli interpreti e per registrare cambiamenti sociali radicali: insomma, escamotage artistici in cui Achille Lauro (volontariamente?) “è cascato di nuovo”.


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