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21 maggio 1571, Famagosta (Cipro)
Venite, seguitemi verso le scale e iniziate a osservare la città in cui ci troviamo. Probabilmente non la conoscete: l’ultima volta che siamo stati a Cipro siamo scesi sul lato opposto dell’isola, nella città di Baffo. Questa invece è Famagosta, una città altrettanto ricca e fiorente; o che almeno lo era, fino a pochi mesi fa. Lo vedete anche voi, com’è ridotta: le strade, un tempo affollate di viaggiatori e mercanti, oggi sono quasi deserte; le abitazioni, le chiese e i palazzi sono tutti danneggiati, se non distrutti; e tutto è ricoperto di polvere, sporcizia e cenere, come se la città fosse stata abbandonata. In realtà qualcuno le dà ancora vita. Tutta Famagosta riverbera di suoni: le urla, gli spari, il rombo dei cannoni, il clangore dell’acciaio che sbatte contro la pietra o contro altro acciaio. Sono i suoni di poche migliaia di uomini, che abitano ancora questa città durante uno degli assedi più famosi della Storia. Quel che vi voglio mostrare oggi, allora, è cosa significhi vivere un evento del genere.
Ora saliamo. Ci troviamo sopra il bastione Martinengo, uno dei principali baluardi delle mura di Famagosta. Come potete vedere, sono mura un po’ diverse da quelle che ci immaginiamo di solito attorno a una città: queste non sono alte e sottili, come quelle medievali, ma basse e spesse. Il motivo lo vedete sopra di esse: sono i cannoni. Dalla fine del ‘400, quando queste nuove armi hanno iniziato ad essere più moderne ed efficaci, tutti gli Stati d’Europa sono dovuti correre ai ripari: tutti erano spaventati da questi cannoni, capaci di distruggere in pochissimo tempo delle mura che un assedio medievale ci avrebbe messo mesi ad espugnare. Bisogna studiare dei nuovi tipi di fortificazioni, capaci di resistere alle cannonate più potenti: le prime idee si sviluppano in Italia, le cui Signorie sono forse più preoccupate degli altri Stati, soprattutto dopo che il re di Francia Carlo VIII è riuscito ad attraversare tutta la penisola in meno di un anno, distruggendo tutte le mura che si trovava davanti. Architetti e ingegneri vengono messi al lavoro ovunque e quel che ne risulta è la cosiddetta trace italienne: fortezze e mura nuove, basse e spesse appunto, per poter assorbire meglio i colpi dei cannoni, e non più rettilinee, ma tracciate come i denti di una sega, per deviare e rendere meno efficaci i tiri del nemico. A queste si aggiungono poi tutta una serie di opere supplementari e di fossati, costruiti per difendere le basi delle mura, per tenere distante il nemico o per rendergli la vita più difficile durante gli assalti.
Ecco, in questo caso qual è il nemico che ci troviamo davanti? Sono i turchi del Sultano Selim II, figlio di Solimano il Magnifico, che l’anno scorso ha iniziato l’invasione di Cipro. L’ha fatto approfittando del fatto che l’isola si trova a circa duemila chilometri da Venezia, e a meno di un centinaio dalla costa anatolica. Cipro in effetti è caduta molto velocemente nelle sue mani, anche grazie a delle incomprensioni tra i comandanti veneziani: è rimasta solo Famagosta a resistere, imperterrita, anche se sovrastata da un rapporto di quindici uomini a uno. Per capire quanto sia difficile una resistenza del genere, guardate oltre gli spalti, verso l’orizzonte: vedrete una rete di trincee, palizzate e terrapieni persino più complessa delle fortificazioni cittadine. E non è tutto, perché una parte di questo immenso apparato, costruito per prendere la città, viaggia anche sotto di noi: è la cosiddetta guerra di mina, fatta di gallerie che cercano di arrivare sotto le mura, per farle crollare. Tutto ciò è parte del cosiddetto assedio scientifico, cioè delle nuove tecniche di assedio sviluppate per sconfiggere la trace italienne: è una continua rincorsa, tra attaccanti e difensori, nel cercare dei metodi per sconfiggere il proprio avversario, e andrà avanti ancora per secoli, con nuove armi da una parte e nuove fortificazioni dall’altra.
Ma in cosa consiste, per la precisione, un assedio scientifico, e quali sono queste sue armi? Al centro di questi nuovi cambiamenti sta chiaramente il cannone: esso non ha solo costretto i difensori a costruire mura diverse, ma nelle loro mani è diventato un’arma capace di rallentare gli attaccanti, che hanno dovuto a loro volta trovare un modo per difendere le proprie artiglierie dal tiro proveniente dalle mura. Qui entra in gioco la vera arma più importante per gli assedianti: la zappa, usata per costruire tutto il sistema di trinceramenti che vi mostravo prima, a difesa dei cannoni e per essere meno esposti nell’avvicinamento alle mura. Queste opere sono tanto importanti che gli operai destinati a costruirle sono circa la metà dell’intero esercito assediante (e quindi, nel caso di Famagosta, dai 40’000 ai 100’000 uomini, a seconda delle stime). Esse, ovviamente, servono anche per circondare la città, in modo da poterla eventualmente prendere per fame, e poi per fare quella guerra di mina di cui vi parlavo prima: quest’ultima esiste già da secoli, ma con l’avvento della polvere da sparo le sue potenzialità sono aumentate notevolmente. Prima si scavava un tunnel sotto le mura e lo si faceva semplicemente crollare, bruciandone i sostegni: ora quel tunnel può essere fatto esplodere, se gli assediati non lo scoprono prima tramite le proprie gallerie di contromina.
Insomma, questi assedi, l’avrete capito, sono tornati ad essere delle imprese estremamente complicate: niente di comparabile ai bombardamenti di pochi giorni che aveva potuto fare Carlo VIII, ottant’anni fa. Essi possono finire in vari modi: l’esercito assediante può decidere di lasciare perdere, com’è successo ai Turchi a Malta nel 1565, o essere proprio sconfitto con l’arrivo di rinforzi nemici, come succederà a Vienna nel 1683; oppure può vincere assaltando e conquistando la città (anche se probabilmente gli costerà grandissime perdite); oppure, infine, può ricevere la resa degli assediati, che spesso include un trattamento più favorevole nei confronti di chi è sopravvissuto in città. Quest’ultima sarà la sorte di Famagosta, che il 1 agosto consegnerà le chiavi della città al generale nemico Mustafà Pascià. Ma in questo caso il trattamento nei confronti dei difensori, che da accordo sarebbe dovuto essere molto di favore, sarà invece particolarmente duro per decisione di Mustafà. I sopravvissuti verranno presi prigionieri, la città lasciata in balia degli assedianti e molti dei generali verranno uccisi in modo esemplare (è famoso lo scorticamento del generale veneziano Bragadin, la cui pelle verrà poi utilizzata per fare un fantoccio che girerà per l’Impero, prima di essere trafugato e riportato a Venezia).
La vendetta veneziana arriverà solo a ottobre, con la strepitosa vittoria di Lepanto. Ma questa è un’altra storia (che potete rivivere con noi qui).