2 giugno 1546, Mar Egeo
Su, alzatevi da quelle tavole, siamo di nuovo in mare! Lo sentite il profumo della salsedine, il rumore delle onde, il fruscio del vento? “Perché siamo qui e non al sicuro in terraferma, lontani da pirati, naufragi e tempeste?” Lo so che ve lo state chiedendo, e ve lo spiego subito. Guardatevi intorno: non siamo su una nave qualunque, ma facciamo parte di un piccolo convoglio di galee, per la precisione diretto a Costantinopoli per portarvi il nuovo bailo (cioè il nuovo ambasciatore presso l’Impero Ottomano). Questa parte del discorso in realtà mi importa meno, ve ne parlerò nel dettaglio la prossima volta; ciò su cui mi voglio concentrare, invece, è sul mezzo di trasporto che stiamo utilizzando: la galea.
Vi siete mai chiesti come abbia fatto (e come faccia ancora) Venezia a controllare così tante basi in giro per il Mediterraneo, pur essendo un piccolo stato tutto spezzettato? Be’, un grosso ruolo ce l’ha sicuramente il suo modo di organizzare e gestire le sue colonie, attraverso forme più o meno autonome di governo come i feudi, per esempio, ma lo strumento fondamentale è questo, la flotta. È stata l’enorme capacità dei veneziani di viaggiare per mare (insieme a quella di fare affari) a permettere loro di creare questo impero commerciale: ora questo talento nella navigazione e nella marineria li aiuta a mantenerlo, anche affrontando potenze molto più ricche di risorse (anche umane) e pur avendone perso dei pezzi di fronte all’avanzata turca.
Quindi, elemento base della marineria veneziana è la flotta intorno alla quale si costruisce; a sua volta, ancora oggi a metà ‘500, essa si fonda intorno a delle navi tipiche del Mediterraneo da ormai molti secoli: le galee, appunto, come quella su cui ci troviamo. Allora seguitemi, che provo a mostrarvi come fossero queste imbarcazioni. Innanzitutto, state stretti, in fila per uno: parliamo di navi non solo abbastanza piccole (considerando quante persone vi sono stipate) ma anche molto strette, larghe solo cinque metri, in buona parte occupati dai banchi dei rematori. Essi sono, in questi anni, quattro o cinque per banco, che gestiscono tutti insieme un unico, lungo remo, in un sistema di remeggio chiamato a scaloccio; come vedete, ovviamente i rematori sono la parte più consistente dell’equipaggio, a cui poi si aggiungono i marinai, i soldati (spesso schiavoni, cioè provenienti dalla Dalmazia), i sottoufficiali, un cerusico (un chirurgo), un cappellano, uno scrivano e tre operai provenienti dall’Arsenale: un remaio, un calafato (esperto nell’impermeabilizzazione dello scafo) e un carpentiere.
Al comando di questa ciurma ci sono i tre uomini che vedete là, sotto quella tenda a poppa: sono il sopracomito, cioè il comandante della nave, e due giovani patrizi suoi allievi. Neanche loro alloggiano in locali chiusi: gli unici presenti nella nave sono alcune dispense, l’infermeria, l’ufficio dello scrivano, la camera delle maestranze dell’Arsenale e il deposito delle munizioni, e non sono poi così confortevoli, perché bassi e poco arieggiati. Di fatto, tutti dormono sopra coperta (allo scoperto se non c’è brutto tempo e quindi non si tira un tendone chiamato tiemo) e in questo piccolo spazio devono pure mangiare e provvedere ai loro bisogni: una vita dura, che però non è ancora usata sistematicamente come punizione (come invece accade in altri stati, tanto da portare il termine galera non più ad indicare la nave, ma la prigione). A Venezia i galeotti (come vengono chiamati i rematori) sono in buona parte liberi, volontari che, nonostante facciano un lavoro durissimo, possono avere la possibilità di scendere a terra nei porti o di svolgere dei lavoretti quando non devono remare (spesso lavori a maglia). È vero anche, però, che spesso sono costretti ad indebitarsi durante il viaggio con i loro datori di lavoro, e ciò può portarli in un ciclo che termina con la loro “liberazione” solo dopo anni, quando finalmente riescono a pagare il proprio conto.
E se dovesse esserci uno scontro, come ci si difenderebbe? Le galee in questi anni sono dotate di varie armi, in primis il cannone di corsia che spara da prua, in linea con la chiglia; poi ci sono vari pezzi d’artiglieria minori, come i petrieri e i falconi, posti tra prua e poppa, a cui si aggiungono le armi personali (come archibugi e coltellacci) dei soldati, dei marinai e dei galeotti volontari (che dovevano combattere con il resto dell’equipaggio quando necessario). Infine, vi è lo sperone posto a prua della nave, della lunghezza di circa cinque o sei metri: esso non serve solo ad infliggere più danno possibile, al momento dell’impatto, a una nave nemica, ma anche ad agganciarla con la propria galea, per poterla poi abbordare e catturare insieme all’equipaggio sopravvissuto.
BOOM!
L’avete sentito? È stata una delle navi della nostra flottiglia, davanti alla galea su cui ci troviamo: i marinai in effetti stavano parlottando già da un po’, dicono sia stata avvistata una fusta corsara e che la stiamo inseguendo per provare a catturarla. I galeotti adesso sono tutti al lavoro ai remi, perché il vento (solitamente mezzo di propulsione principale della nave) non ci basta per raggiungere l’altra nave. Forse avremo presto l’occasione di vedere all’opera la potenza di queste galee, tenetevi forte!