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“Per ogni persona che parte c’è sempre qualcuno che rimane”.
È una frase che mi sono ripetuta un sacco di volte, in ogni mio viaggio, ma questa volta il distacco è stato cento volte più difficile. Passare un anno all’estero, lontani da casa, è tanto entusiasmante e avventuroso quanto carico di ansia e panico. Dove andrò? Mi piacerà? Ce la farò? Riuscirò a farmi nuovi amici? Le domande sono sempre un miliardo e si ripetono in un circolo continuo, ogniqualvolta si riempie la valigia di vestiti e oggetti che ci potranno far sentire a casa, ma fino al momento del distacco non ce ne rendiamo conto: la paura c’è, ma è latente, pronta ad esplodere una volta arrivati, dove le insicurezze e le mancanze si fanno sentire sempre più forti.
Sono arrivata a Sendai ancora in uno stato di incoscienza. Mi guardavo intorno e mi sembrava di vivere una realtà parallela, pronta a riaprire gli occhi e a trovarmi davanti un enorme piatto di carbonara. Ma così non è stato, e di giorni già ne sono passati un po’.
Sendai è diversa da Tokyo. Sendai ti fa sentire a casa. È piccola, poco affollata, tanto verde, tanti parchi, tanto da essere soprannominata “Mori no Miyako” (“la città degli alberi”). A Sendai piove spesso ed è spesso grigio, specie in questo periodo, quello dei tifoni che non lasciano pace ai poveri abitanti, costretti a rimanere chiusi in casa nei giorni più intensi. Il primo tifone che ho vissuto è arrivato proprio il primo giorno di lezioni, inaugurando in maniera perfetta l’inizio dell’anno accademico.
A Sendai le persone non hanno poi così tanta fretta. Se ti vedono smarrita o in cerca di un’indicazione non esitano a fermarsi e ad aiutarti. Addirittura non si tirano indietro nemmeno dall’accompagnarti a destinazione, riempiendo il tragitto sia di racconti quotidiani sia di consigli per la cena. Il giorno del mio arrivo sono stata accompagnata da un simpatico tassista di circa 75 anni, che, pur di lasciarmi all’ingresso esatto dell’hotel in cui ho alloggiato i primi due giorni, si è fermato esattamente sopra una pozzanghera di circa mezzo metro di diametro, affondando e inzuppando in maniera quasi fantozziana i suoi pantaloni nel piccolo laghetto. Il tutto si è concluso con una risata sguaiata da parte mia e sua e uno dei primi ricordi in questa città.
A Sendai è facile trovare il proprio posto. Qui ci sono quasi duemila ragazzi come me, che hanno lasciato tutto quello che avevano a casa per buttarsi in un’esperienza del tutto nuova, spesso lontana dal proprio sistema di riferimento. Ragazzi internazionali che però mi fanno sentire a casa, qualunque sia il loro Stato di provenienza – Italia, Francia, Polonia, Croazia, Germania o Indonesia.
Insieme, sosteniamo il peso di essere lontani da “coloro che sono rimasti” e di dover trovare il nostro posto in questa piccola e verde città. Insomma, il peso di doverci ambientare.
di Irene Melinu