Gianfranco Reverberi ebbe un ruolo fondamentale nella nascita della scuola genovese, movimento artistico e culturale che rivoluzionò profondamente la tradizione musicale italiana. Della scuola genovese fecero parte Luigi Tenco, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Fabrizio De André, Umberto Bindi: il primo nucleo, però, era un gruppetto di sedicenni che si ritrovava nell’appartamento dei Reverberi, al settimo piano di un condominio nel quartiere della Foce a Genova. Una banda di amici che nei primi anni ’50 teneva allegri i vicini alle quattro di mattina: è questo il quadro che dipinge Reverberi, e che ci sembra uno splendido ritratto delle origini del cantautorato italiano.
I rapporti tra noi erano di grande amicizia. Ci siamo conosciuti che io ero il più grande di tutti, a parte Gino (Paoli): c’ha sei mesi più di me, tanto che a guardarci si vede che è molto più vecchio! Luigi (Tenco) aveva due o tre anni meno di me, mio fratello 4 e mezzo, Bruno Lauzi un paio di anni in meno…avevamo 15, 16, 17 anni quando abbiamo cominciato. Ci trovavamo tutti a casa mia, perché era l’unico posto dove c’era un pianoforte: è nato tutto dall’amicizia e dalla voglia di fare musica. Casa mia era al settimo piano senza ascensore, e lì ho riconosciuto i veri amici: quelli che mi portavano su il vibrafono! Una volta si sono trovati sul mio terrazzo alle quattro di mattina Bruno Martinoli, che poi è diventato un ingegnere formidabile, e Luigi Tenco, uno con la tromba e uno con il clarinetto, a fare la gara a chi prendeva la nota più alta. Mio padre ogni tanto andava a scusarsi con i vicini e loro rispondevano “Ma no! Ci tengono allegri”. E meno male che la prendevano così, se no avremmo dovuto traslocare.
Luigi conobbe Gino a scuola: la maestra l’aveva chiamato per l’interrogazione e Gino non sapeva niente, così per scamparsela si era inginocchiato e le aveva fatto una dichiarazione d’amore. La maestra allora l’aveva cacciato fuori, e così lui se l’era cavata dall’interrogazione. Allora Luigi lo notò e me lo presentò: “Questo qui dice che sa suonare: secondo me dovremmo metterlo alla prova, perché è uno simpatico.”. Allora l’ha portato a casa. Al piano era negato, alla tromba era negato, alla chitarra era negato, alla batteria era negato…a un certo punto gli chiediamo, ma cosa sai fare? E lui: “Mah io…canto anche”. Cantava un pezzo di Johnnie Ray e somigliava anche un po’ a Johnnie Ray. Allora abbiamo deciso di prenderlo come cantante. Quello che poi è diventato Paoli si vedeva già allora: stava con il muso giù, le mani in tasca. Quando andavamo a fare le serate teneva le mani in tasca e la gente lo criticava, allora noi suonavamo sempre con una mano sola e l’altra in tasca, per far vedere che eravamo un complesso… un complesso così, che suonava con la mano in tasca. Il nome del complesso è nato da un’idea di Ruggero Coppola, che a volte suonava con noi la batteria. Avevamo comprato uno ionizzatore, gli ioni erano una cosa all’avanguardia: allora noi essendo un complesso all’avanguardia abbiamo deciso di chiamarci “Gli Ioni”. Si prestava ai giochi di parole: divertitevi con gli Ioni, divertitevi coglioni… cose così. Bruno Martinoli, che era uno precisissimo, ingegnere elettronico, suonava perfettamente, non andava tanto d’accordo con Gino Paoli che era esattamente il contrario: venivano fuori di quelle discussioni… Da una di queste discussioni è nata una frase che ricorderò sempre, e che tiro fuori ogni tanto quando parlo con dei cantanti: “I cantanti hanno una bella voce perché al posto del cervello hanno una cassa armonica”
I pezzi più influenti per noi venivano dall’America, naturalmente il jazz: siamo partiti tutti dal jazz. Dalla Francia i grandi poeti francesi: allora i parolieri erano veramente dei poeti. Le foglie morte sono state scritte da un poeta vero. Lo conoscete Brassens? Era il nostro idolo, simpaticissimo. Avete presente “Il Gorilla” di Brassens? A quel tempo eravamo tutti in quella direzione, eravamo tutti anarchici. Una volta Brassens disse che lui era talmente anarchico che attraversava sulle strisce per non dover discutere col vigile. Uno così simpatico non poteva non influenzare tutti noi. Dalla musica americana e dai testi francesi sono venuti fuori i cantautori italiani.
Di Chiara Caporuscio e Federica Biscardi