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Se si chiede a qualcuno, abitante a Venezia oppure no, quale sia la porta della città, questi probabilmente risponderà la stazione di Santa Lucia: l’imponente costruzione fascista, andata a sostituire la precedente struttura in stile liberty voluta dagli austriaci, è sì l’ingresso principale a Venezia, così come possono esserlo anche Piazzale Roma o il Ponte della Libertà in generale, ma possiede questo ruolo solo dall’arrivo della ferrovia nel 1846. Per secoli, ed è cosa risaputa, l’ingresso di Venezia fu il bacino di San Marco, con l’omonima piazza, monumentale e magnifica. Questa caratteristica è quanto mai affascinante: se si pensa che nel Medioevo o nell’Età Moderna per entrare in un centro abitato era necessario attraversare squallidi sobborghi e malsane periferie: in laguna, invece, si poteva sbarcare direttamente nel cuore cittadino, nel salotto della città decorato dalle costruzioni civili e religiose che ne testimoniavano la ricchezza e la prosperità. Ed è proprio dall’entrata tradizionale, dall’ingresso segnato dalle due colonne, che parte questo itinerario volto a riscoprire piazza San Marco come piazza degli imperatori. Su di essa si affacciano opere e costruzioni che testimoniano i poteri imperiali del passato, che alla città sono rimasti, volenti o nolenti, legati o che qui soggiornarono.

Si parlava delle colonne. Ebbene, anche i pilastri del leone e di Todaro hanno una storia nascosta; innanzitutto la loro presenza non è casuale, poiché richiama i simili pilastri che marcavano l’entrata in città dal porto di Costantinopoli. Non solo Venezia deve gran parte delle sue origini al mondo bizantino, ma tentò sempre di porsi come sua diretta erede, come Terza Roma, titolo che andrà poi alla Mosca degli czar, dei cesari delle steppe. La stessa presenza delle colonne testimonia quindi una velleità imperiale, un’idea di potere sovranazionale che si richiama alle radici romane e latine dell’Europa. Va però aggiunto un altro particolare, cioè che la statua di San Teodoro (vulgo, Todaro) si compone dei resti delle effigi di due imperatori romani: la testa infatti proviene da una raffigurazione di Costantino (il che risulta ben visibile se si confronta il suo profilo con altri dello stesso sovrano), mentre il corpo faceva parte di una statua di Adriano, come si può notare dalla raffigurazione sulla corazza di un trofeo incoronato da due personificazioni della Vittoria, motivo tipico dell’età adrianea. Va tenuto presente, infatti, che la laguna veneta era un tempo circondata da importanti e floridi centri romani come Aquileia, Oderzo, Altino e Concordia Sagittaria, luoghi che nel corso del Medioevo divennero cave per materiali da costruzione da cui vennero asportate anche due parti delle numerosissime statue dei cesari che ne ornavano i fori e le basiliche.

L’imperatore Costantino ritorna anche in altri luoghi della piazza. Prima di tutto, ci sono i cavalli della sua quadriga bronzea a sormontare la loggia della Basilica di San Marco ed il motivo di ciò è più che noto: nel 1204 i Veneziani e i crociati loro alleati saccheggiarono la città di Bisanzio, asportandone ori, statue, reliquie e marmi per decorare la loro città e la chiesa del Doge (perché il vescovo fino all’Ottocento sarà a Castello), vasta ma spoglia sia all’interno che all’esterno, come testimonia un piccolo spiraglio coperto da soli mattoni visibile nel lato che dà verso la laguna. In questo generale ed indiscriminato saccheggio i Veneziani presero anche i cavalli di bronzo che ornavano l’ippodromo di Costantinopoli, fatto restaurare proprio da questo imperatore, che aveva scelto l’antica colonia greca di Bisanzio come sua capitale. Quest’ultima precisazione ci introduce all’altra testimonianza costantiniana con una domanda: perché Costantino si scelse una nuova capitale imperale, quando Roma lo era da tre secoli senza mai essere caduta?

La risposta ce la restituisce il piccolo gruppo scultoreo dei tetrarchi, posto nei pressi della Porta della Carta del Palazzo Ducale. Questo altorilievo potrebbe sembrare una tra le migliaia di opere d’arte giunte fino a noi dal mondo antico, ma la pietra di cui è fatta ci deve convincere del contrario: il porfido, era infatti il materiale usato per le raffigurazioni dei soli imperatori (che ne possedevano le cave), vista la sua somiglianza con la porpora. Il gruppo dei tetrarchi presenta quattro imperatori ben identificabili: Diocleziano, Massimiano, Costanzo Cloro e Galerio, tutti e quattro collegabili al periodo noto come Tetrarchia. Tutto era partito con il primo di questi sovrani che, salito al potere dopo l’ennesimo scontro tra generali in lotta per il trono imperiale, cercò di trovare una soluzione ai due maggiori problemi dell’impero, cioè le sanguinose successioni al potere e la pressione dei barbari ai confini. Il sistema creato da Diocleziano divideva l’impero in quattro grandi province, due dominate dagli Augusti Diocleziano e Massimiano, raffigurati con la barba per simboleggiare la loro maggioranza di età e i due dai giovani Cesari, Costanzo Cloro e Galerio, che sarebbero dovuti succedere ai primi due al momento della loro morte, scegliendo due nuovi Cesari, al fine di garantire una pacifica successione.

Questi quattro sovrani, militari illirici di bassissima estrazione sociale, scelsero poi delle nuove capitali, più vicine ai confini dell’impero e strategiche nella difesa dalle incursioni barbariche: Milano, Treviri, Sirmio e Nicomedia divennero i nuovi centri del potere politico e militare di un progetto di governo che non diede i risultati sperati. Ritiratisi i primi due Augusti, vennero eletti due nuovi Cesari, ma quando Costanzo Cloro morì nel 306 d.C. le sue legioni tornarono all’antico uso di acclamare da sé il nuovo imperatore e scelsero il figlio del sovrano defunto: Costantino. Quest’ultimo, da usurpatore che era, sconfisse gli altri sovrani insieme al suo alleato Licinio con cui nel 311 d.C. si spartì l’impero. Il figlio di Costanzo divenne allora il signore dell’impero romano d’Oriente e spostò la capitale da Nicomedia all’ancor più strategica Bisanzio, che ridedicò a sé stesso e adornò con i grandi monumenti che tutti conosciamo; tra questi vi era il Piladelphion, il monumento all’amore fraterno decorato da questo gruppo scultoreo. Come lo sappiamo? Perché non molti anni fa è stato scoperto nei suoi pressi il piede in porfido che mancava al Cesare del lato est.