Numero Primo: fiducia, speranza e tecnologia secondo Marco Paolini

“Perché voi umani sperate sempre nella tecnologia, ma vi fidate solo della natura?” È la domanda più che legittima che l’intelligenza artificiale Arca Rerum rivolge al protagonista, e con lui a tutto il pubblico, in una delle ultime battute de “Le Avventure di Numero Primo”, il nuovo monologo di Marco Paolini andato in scena al Teatro Goldoni di Venezia dal 26 al 29 ottobre. Definito “un esperimento di fantascienza a teatro” dagli autori, lo spettacolo introduce il pubblico a un futuro in cui un’intelligenza artificiale (chiamata, appunto, Arca Rerum) vince, per la prima volta, il premio Nobel. “E dove può trovarsi quest’intelligenza artificiale? Qual è la città più tecnologica al mondo? Ma Venezia, ovviamente” sancisce l’attore, indicando che non mancheranno nella storia riferimenti e strizzate d’occhio al pubblico di casa, che sarà, fra le altre cose, portato a scoprire una Mestre ribattezzata “Veneland” e un Porto Marghera trasformato in “fabbrica di neve”, un meccanismo che ha permesso all’ex-Serenissima di salvarsi in un’epoca di cambiamenti climatici.

La scelta dell’attore di portare a teatro la fantascienza sotto forma di monologo è coraggiosa a dir poco. Per mettere il pubblico a proprio agio mentre s’immagina un futuro prossimo-ma-non-troppo, Paolini sceglie di raccontare la storia di una famiglia decisamente atipica. Il protagonista, Ettore, è un fotografo freelance, che, forse in una reazione contro i rapidi mutamenti nella sua professione, si ostina a lavorare con rullini e diapositive. La sua vita è stravolta quando, in seguito a una platonica relazione via internet con una donna della quale il protagonista sa poco o nulla, gli viene da lei affidato un bambino di sei anni, chiamato “Numero Primo” (“il nome se l’è scelto lui”, assicura la madre all’attonito fotografo), che all’anagrafe diventerà a tutti gli effetti suo figlio. Ben presto Ettore si rende conto delle straordinarie doti del bambino, che con destrezza risolve problemi matematici, impara lingue in un batter d’occhio, e, nel pericolo, dà prova di una forza fisica fuori dal comune. Lo spettatore non è sorpreso quando, poco prima della fine, è finalmente rivelato che Numero Primo non è altro che un cyborg, figlio di un’intelligenza artificiale.

L’impareggiabile narrazione del monologhista Paolini rende la vicenda scorrevole e soprattutto credibile. Nonostante le peculiarità della situazione, il rapporto fra Ettore e il misterioso figlio arrivato via internet si sviluppa attraverso quei momenti di orgoglio, stupore, apprensione e felicità che sono universali ai padri di tutto il mondo, facilitando l’empatia dello spettatore verso un protagonista che si trova in una situazione per la quale non si sente preparato (“si dice che i padri non lo siano mai”, riflette Paolini).

Con la storia di Ettore e Numero Primo, Paolini non vuole tuttavia portare a teatro le sfide della paternità. Le perplessità del protagonista verso le capacità fuori dal comune del figlio servono invece all’attore per parlare del nostro difficile rapporto con la tecnologia in un mondo in rapido sviluppo. Questo tema non è certo una novità nei lavori di Paolini. Il contrasto fra l’ammirazione per la ricerca scientifica, così come la fiducia nella tecnica come veicolo per il miglioramento della società, e la diffidenza e mala fede tipiche anch’esse della natura umana che finiscono per intralciare o rendere tragica la storia del progresso, è alla base di spettacoli come il celeberrimo “Racconto del Vajont” (1997) o il più recente “ITIS Galileo” (2012).

“Le Avventure di Numero Primo” può considerarsi quindi il primo punto d’arrivo di una riflessione sviluppatasi nel corso degli anni. Lo scetticismo dell’uomo di fronte a nuove tecnologie che promettono (leggi: minacciano) di cambiare radicalmente la sua vita non è specifico alla nostra epoca. Eppure, in un periodo storico in cui è sempre più faticoso tenersi al passo della tecnica, in cui riesce difficile persino immaginare quali implicazioni avranno le nuove frontiere della scienza per la società, è quanto mai essenziale un approccio aperto ma soprattutto coscienzioso di fronte al cambiamento. “La tecnologia – scherza Paolini alla fine dello spettacolo – è tutto ciò che è nato dopo di noi”. Con la domanda sulla speranza e la fiducia che Arca Rerum rivolge a Ettore alla fine dello spettacolo, l’attore si mostra pienamente consapevole del fatto che la fiducia incondizionata con cui l’uomo si volge alla natura non potrà mai essere applicata alla scienza né, con essa, alla tecnologia. Il suo appello è quindi per un rapporto con la tecnologia che prenda la forma di una paternità responsabile. Ne emerge, infatti, che se la Natura può vantare un illustre passato come Madre nelle religioni pagane di tutto il mondo, la tecnologia non può essere vista in altro modo che non come figlia dell’intera umanità.

di Arturo Gorup De Besanez

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