Le fiamme danzavano come flessuosi ballerini sulla catasta di legno. Il fuoco sembrava riflettersi nei suoi occhi inondati di lacrime come un caldo presagio di un destino interrotto. Come in preda alla febbre malarica, si contorceva e divincolava in modo compulsivo. Le gelide correnti parevano lame affilate che si divertivano a ghermire la sua pelle grondante di sudore. L’intera comunità la osservava impassibile. Fanciulli, giullari, dame e nobiluomini erano tutti intenti a non perdersi neanche un attimo di quello spettacolo improvvisato. Il disprezzo sembrava spargersi dalle loro bocche come una malattia epidemica. Una tragicommedia ad atto unico avrebbe allietato gli animi di lì a poco. Tutto era pronto. Il pubblico era in fibrillazione.
Lei si sentiva intrappolata in un ruolo che non la rispecchiava affatto.
Tutto ad un tratto un viso emerse dalla folla inquieta che la circondava. L’unico volto contratto da un pianto straziante non osava volgere lo sguardo verso il bagliore della pira. Era l’unico uomo che non provava una sensazione di piacere ingiustificato nel vedere soffrire un altro essere umano. Poteva risparmiarle quella farsa derisoria? La risposta non la conosceva, eppure non poteva fare a meno di riavvolgere il rocchetto del ricordo e tornare indietro nel tempo.
Due fanciulli spensierati riposavano adagiati su giacigli erbosi. Due fiori sbocciavano timidamente per rubare la prematura luce del sole mattutino. Un incrocio di sguardi bastava a sciogliere i loro cuori ancora intatti. Dopo aver recuperato le forze, ripresero la loro corsa sfrenata alla ricerca di nuove terre da conquistare. Radure incontaminate e vallate senza confine si profilavano oltre l’orizzonte. Lo sguardo correva assieme ai loro piedi instancabili. Lungo il loro tragitto senza meta, lei si divertiva a canticchiare melodie che ricordavano il cinguettio degli usignoli. Lui si dilettava a fischiettare una cantilena che accompagnava la voce ipnotica dell’amata. I loro corpi fiorivano contemporaneamente, seguendo lo stesso ritmo naturale. Un tale duetto era capace di destare la natura assopita dal gelo invernale. Continuavano ad incespicare su tele di rami caduti, mentre cercavano di scovare i fiori dai colori più vistosi che avrebbero potuto cogliere come pegni del loro amore acerbo.
Le ore trascinavano fardelli pieni di minuti trascorsi e secondi impercettibili. Il crepuscolo avanzava in maniera furtiva, impaziente di appropriarsi del sole rubicondo e nasconderlo nel suo sacco punteggiato di stelle. I loro passi strascicati erano in unisono con le onde che si infrangevano sulle dune sabbiose. I gabbiani si smarrivano nelle profondità del cielo terso. La loro voce scemava e le ultime note venivano spazzate via dalle brezze serali. Il sole non era riuscito a scampare all’ignobile furto. Ormai si era lasciato avvolgere dalle increspature del manto color smeraldo, verso il quale amava indirizzare le sue ultime lance arroventate. Raggi di luce smorzata scivolavano lungo le loro membra divenute adolescenti.
Ecco che un urlo straziante lo riportò all’amaro presente da cui cercava di fuggire. Sembrava quasi provare sulla sua pelle virile tutte le pene che la sua amata doveva soffrire.
Anche quella notte, le stelle avevano seminato la fiammante madre. Un passo seguiva un altro nel fatidico corteo. Avanzando, lei abbassò la testa in segno di sottomissione. Sentiva il peso di braccia massicce che la sorreggevano. Esse come cunei taglienti sembravano scavare nelle profondità della sua cute. Ogni insulto che veniva riversato su di lei era una goccia di veleno che lentamente deteriorava le viscere di lui. Ogni urlo di disperazione non riusciva a trovare la via di uscita dalla prigione diroccata che ormai era diventato il suo corpo sfiancato, che non riusciva a sopportare più quello spettacolo agghiacciante.
Intanto, lacrime scendevano dalle guance dei due amanti. Se solo i fiumi lacrimosi fossero sfociati in un mare di dolore così profondo da soffocare il fuoco minaccioso. Se solo i torrenti piangenti si fossero incontrati per un’ultima volta.
Se solo avessero potuto fiorire ancora, rinvigoriti dal tepore primaverile dei loro cuori in fiore. Chiedevano solo di inebriarsi ancora una volta dell’effluvio vitale che madre natura amava donare loro.
Quegli stessi capelli tempestati d’oro che avevano fatto breccia nel suo cuore, ora animavano le fiamme infaticabili che continuavano a danzare sul suo corpo inerte. Le folle gridavano a squarciagola, compiaciuti che l’eretica fosse arsa dal rogo, che giustiziava come lei altre povere innocenti, incolpate di giacere con il Diavolo in ogni loro fantomatico rituale oscuro.
Un’altra anima pura non era scampata al rogo maledetto che mieteva più vite della Morte Nera.
Con un mero sguardo lei si era congedata dall’unica vittima ammaliata dal suo fascino incantatore.
Meritava dunque la morte solo per averlo conquistato con il suo amore, senza ricorrere a formule magiche o riti profetici?
Meritava dunque quella crudele punizione che rendeva giustizia soltanto all’ignoranza volgare di un popolo assuefatto da credenze ingiustificate?
Il processo volgeva al termine.
Lo spettacolo era concluso.
La pena era stata scontata.
Il presunto incantesimo… era ormai svanito.
Di Italo Ferrante