A Venezia il 25 aprile è festa granda: si festeggia, infatti, il patrono (principale) della città, San Marco evangelista. L’importanza del patrono era tale per la città che in tutto il tessuto urbano si può trovare il suo simbolo, il leone alato: scolpito e incastonato nei muri, in cima a colonne, raffigurato nei quadri, sulle monete della Serenissima.
Perché proprio San Marco? Perché l’evangelista, pare, mentre rischiava il naufragio nella laguna (era stato inviato ad evangelizzare Aquileia) avrebbe ricevuto l’apparizione di un leone alato, che gli avrebbe preannunciato che proprio in quell’area il suo corpo avrebbe trovato un giorno riposo: Pax tibi, Marce, evangelista meus. Hic requiescet corpus tuum. La prima parte del messaggio è quella che si trova nel libro con cui di solito il leone viene rappresentato a Venezia (comunemente si ritiene che il libro sia aperto se la raffigurazione era realizzata in tempo di pace, chiuso e accompagnato da una spada se invece si era in tempo di guerra).
La profezia del leone si avverò: tradizione vuole che nel 828, Buono da Malamocco e Rustico da Torcello si imbarcassero alla volta di Alessandria d’Egitto, di cui Marco era stato il primo vescovo, per portare a Venezia le spoglie del santo secondo il volere del doge Giustiniano I Partecipazio. Una volta ritrovato il corpo dell’evangelista, per riuscire a superare i controlli degli ufficiali mussulmani Buono e Rustico nascosero la salma in una cassa con quarti di maiale e cavolfiori. Gli ufficiali evitarono il contatto con le carni impure e le spoglie arrivarono a Venezia. A San Marco sono dedicate la Basilica e la Piazza (l’unica piazza di Venezia) dove questa si trova, ma anche la Biblioteca Marciana e il sestiere (quartiere) in cui queste sono situate. Tra le varie opere d’arte che riprendono questo soggetto, merita menzione il ciclo di teleri di Tintoretto dedicato al “recupero” delle spoglie del santo.
Ma alla Festa di San Marco è legata anche un’altra tradizione veneziana.
A quanto pare, il doge Orso I Partecipazio aveva una figlia, Maria, dagli occhi tanto luminosi da essere soprannominata Vulcana. Purtroppo, questi begli occhi avevano fatto innamorare, di tutti i veneziani, Tancredi, di umili origini. Anche Maria lo amava follemente, ma sapeva che il padre non avrebbe mai permesso un matrimonio del genere. Così consigliò all’amato di andare a coprirsi di gloria combattendo contro i Mori nell’esercito di Carlo Magno, prima minaccia per Venezia, e tornare degno della sua mano. Tancredi partì pieno d’amore, e le notizie delle sue gesta valorose arrivavano fino in patria, dove Maria aspettava il suo ritorno con trepidazione. Ma un giorno si presentò dal doge il paladino Orlando: portava un bocciolo di rosa, affidatogli da Tancredi. Il giovane era morto, e prima di spirare era caduto su un roseto, macchiandone i boccioli del proprio sangue. Aveva chiesto a Orlando di portarne uno al suo grande amore rimasto in patria. Ricevuto il bocciolo, Maria si ritirò nelle proprie stanze. Venne trovata la mattina dopo, il giorno della festa di San Marco, con il bocciolo stretto al petto. Era morta di dolore.
Da allora, è tradizione a Venezia che gli uomini regalino alle proprie fidanzate, in occasione della festa del Santo, un bòcolo, un bocciolo di rosa, rigorosamente rosso. È un bocciolo a simboleggiare un amore che nasce, ancora pieno di speranze e pronto a sbocciare in un’opulenta rosa.