La profezia dell’armadillo

tempo di lettura: 4 minuti

La mia vita fuori dai fumetti incrocia un sacco di altre storie molto più significative, di cui io per scelta poi non parlo perché penso che abbiano bisogno di uno spazio più collettivo per essere restituite pienamente. Questo è un po’ il motivo per cui penso che il mio blog non possa essere preso come un manifesto generazionale, perché credo che la mia generazione non sia soltanto il piumino e il plum-cake di cui parlo io là dentro, ma tutte quelle altre storie che hanno un peso più grosso”.  

Questo è quanto dichiarava Michele Rech, in arte Zerocalcare, in un breve documentario girato per Wired qualche anno fa. Ne è passato di tempo, e ad oggi il fumettista ha già pubblicato 9 volumi, 4 storie brevi e porta avanti un blog personale in continuo aggiornamento. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio fenomeno, forse la punta di quell’immenso iceberg di autori che hanno portato al revival del fumetto italiano – o graphic novel – di quest’ultimo decennio. La profezia dell’armadillo ha visto la luce nel 2011 ed è stato il primo e riuscitissimo tentativo, da parte dell’autore, di legare in un’unica raccolta quel magma episodico e sconnesso che erano le tavole del suo blog. Leggerlo è stato per me una rivelazione: sagace, profondo, nettamente politico e talmente imbottito di cultura pop da risultare tanto impegnato quanto beffardamente divertente.

Partendo da queste premesse si capisce quanto sia stata rischiosa la scelta di Emanuele Scaringi: trasporre un best-seller su pellicola non è facile, e lo è ancor meno con una graphic novel di culto. È dunque inevitabile che i lettori più appassionati (e io mi inserisco in questa categoria) possano giudicare il film un fantoccio malriuscito del fumetto se non addirittura una sua sacrilega profanazione, ma La profezia dell’armadillo va visto per quello che è: un film “tratto da”, al quale Zerocalcare non ha collaborato e alla cui prima al Festival di Venezia non ha partecipato, ma che, in quanto tale, mi ha piacevolmente sorpreso.

Zero (Simone Liberati) ha quasi superato la soglia critica dei trenta e si arrabatta come può in una Roma caotica e inospitale, compilando questionari in aeroporto (lodevole, a questo proposito, il cammeo di Adriano Panatta, un vero e proprio scontro generazionale), dando ripetizioni al piccolo Blanka (una strizzatina d’occhio ai fan del fumetto) e cercando di far fruttare in qualche modo la sua passione per il disegno, nell’attesa che possa trasformarsi in un vero e proprio impiego. La sua coscienza critica, con la quale intrattiene discussioni caustiche e surreali, è impersonata da Valerio Aprea, che calza un costume decisamente poco credibile da armadillo, sul quale addirittura si scherza in una delle ultime scene del film, con consapevole autoironia. Il suo unico amico, faro tra le nebbie e i miasmi del centro città, dei festini radical chic e degli apericena, è Secco (il simpaticissimo Pietro Castellitto), che campa giocando a poker online e ancora tenta di superare il trauma del G8 di Genova.

La profezia dell’armadillo racconta l’elaborazione di un lutto, quello per Camille, amica d’infanzia nonché primo e mai dichiarato amore di Zero, e lo fa con un mezzo, quello cinematografico, che, sebbene non possa risultare brillante quanto il suo omonimo cartaceo, tuttavia ne riporta il messaggio con precisione, riuscendo a conferire integrità e profondità alle tematiche di cui tratta, anche se talvolta in modo poco fluido. Se la graphic novel è stata l’opera prima di un autore il cui messaggio si chiarifica con l’avanzare del tempo e il migliorarsi dello stile (leggete Macerie Prime, se non l’avete ancora fatto), il film è un lavoro compiuto, autoconclusivo, che comunque non semplifica né banalizza il testo da cui è tratto e, anzi, gli rende giustizia. Ciò è possibile grazie a una sceneggiatura mai banale, forte di vividi scambi di battute (spesso decisamente simili ai balloon di Zerocalcare) e capace di divertire e insieme sorprendere, affrontando in modo chiaro, mai patetico o melenso, tematiche importanti quali il precariato, la condizione delle periferie, il quotidiano scontro fra l’etica personale e le concrete necessità della vita. A quanto detto finora si sommino la presenza di Laura Morante e Kasia Smutniak che, insieme alla coppia Liberati-Castellitto, bilanciano le ingenuità attoriali dei membri più giovani del cast, e una colonna sonora decisamente azzeccata.

L’opera firmata da Scaringi è dunque un esperimento riuscito, coraggioso e forte, ed è un ritratto della precarietà della nostra generazione: una generazione che tenta di rimanere a galla barcamenandosi tra un lavoro e l’altro, che ancora cerca di dare un nome e una direzione alla propria identità politica, una generazione che talvolta non ce la fa e affoga, come Camille, nei liquami della depressione e dell’anoressia.

Per concludere torno a Zerocalcare che rifiuta categoricamente che la sua opera possa assurgere a manifesto generazionale, e cito dal film: “Si chiama Profezia dell’Armadillo ogni previsione ottimistica, fondata su elementi soggettivi e irrazionali, spacciati per oggettivi e logici, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti”. Ammesso e non concesso che ci sia qualcosa che ci rappresenti, trovo che questo non possa essere molto diverso da quanto raccontano Zerocalcare e Scaringi, con i loro limiti, con la loro schiettezza, con la loro ironia, spesso capace di andare ben oltre all’apparente insignificanza di “piumino e plum-cake”.

Di Alice Pittoritti

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