La vede per la prima volta quando si trasferisce a Roma. Lui ha ventitré anni, lei dieci in più. Anche se di famiglia benestante, lui viene da Verona, dalla provincia, ed è appena maggiorenne per gli standard latini. Lei, invece, è una delle donne più in vista di Roma, sposata al proconsole Quinto Metello Celere, bella, colta, elegante, affascinante.
Catullo perde la testa. Un uomo che possa parlare con Clodia gli sembra un dio, anzi al di sopra di un dio, e lui non capisce più niente, poveretto, gli si attorciglia la lingua, si sente in fiamme, sente un tintinnio nelle orecchie e… Beh, ha una bella cotta. Di un’intensità così giovane, nuova, totale.
Catullo avrà anche un atteggiamento da bad boy, sprezzante del potere, pronto a insultare pesantemente l’uno e l’altro politico dell’epoca (dà a Giulio Cesare del frocio, nonostante fosse amico di famiglia) e a narrare delle sue prodezze sessuali con maschi e femmine, ma questa donna gli fa proprio girare la testa. Se le dedica poesie chiamandola Lesbia perché è sposata, nella realtà inizia con lei una relazione, e non si fa troppi problemi a deridere il marito che non si accorge di come lei bruci per Catullo. Dammi mille baci, poi cento, poi altri mille, poi di nuovo cento, e poi ancora mille, poi cento. È intossicato, non può averne abbastanza: sono sufficienti tanti baci quanti sono i granelli di sabbia, quante le stelle. Viviamo, mia Lesbia, e amiamo, e non importa cosa pensino gli altri di noi, perché abbiamo solo questa breve vita, e voglio amarti fino in fondo. E Lesbia promette un amore eterno e felice. Catullo la ama tanto che definisce il loro legame un foedus amoris, un patto sacro, quasi come quello matrimoniale. Nessuna donna può dire di essere stata amata tanto sinceramente quanto la mia Lesbia è stata amata da me.
Ma le cose si incrinano.
Clodia non vive la loro relazione come vorrebbe Catullo. Il patto sacro che Catullo credeva di aver stipulato è inviolabile solo per lui. Clodia diceva di avere solo lui come amante, e che non avrebbe voluto neanche Giove in persona, ma… Adesso ti ho capita. Lo ha tradito, e la cosa peggiore è che lui non riesce a smettere di amarla. Una tale offesa costringe un amante ad amare di più, ma a voler bene di meno. Catullo rimane straziato, tanto che non potrebbe volerle più bene come prima anche se diventasse una donna diversa, e allo stesso tempo non può smettere di amarla, qualunque cosa faccia. Odio e amo.
Sembrerebbe quasi che le cose cambino per un momento, quando Clodia torna da lui: Ti restituisci a me che ti volevo ma non ci speravo più, tu stessa ti restituisci a me. Benché la gioia di riaverla si impossessi di lui, ormai qualcosa si è spezzato. Le illusioni che Catullo aveva costruito sul proprio affetto si sono infrante, ed è difficile vivere come se non fosse accaduto nulla. L’attimo di entusiasmo dura poco. Clodia comincia a parlare male di lui, Catullo fa la stessa cosa. Come ha deriso altri, adesso insulta lei, pieno di rancore. Brutta puttana, restituisci[m]i le lettere. Rendi i pegni del mio amore. Odio e amo.
A Catullo non rimane che cercare di liberarsi di questa passione che lo consuma. Misero Catullo, smetti di dar di matto, e ciò che vedi che è perso, consideralo perduto. Guardare al passato lo riempie di amarezza, perché i ricordi felici ora sono filtrati attraverso la consapevolezza di aver vissuto la loro relazione ingenuamente. Un tempo per te i soli splendevano luminosi. Un tempo il tuo amore sembrava ricambiato, lei non ti diceva di no, risplendevano i soli luminosi. Ora, invece, dato che lei non ne vuole più sapere, non potendo farci nulla è solo doloroso continuare a desiderare. Non continuare a inseguire chi fugge, non vivere miseramente, ma con animo risoluto sopporta, resisti. Sembra convinto che senza di lui lei non possa vivere – Sciagurata, guai a te, che vita ti rimane? Chi ti avvicinerà? A chi sembrerai bella? – ma si rende anche conto di come lei possa facilmente avere con altri quello che ha avuto con lui, e anche qualcosa di più, quel qualcosa che lui si era illuso di avere. Chi amerai ora? Di chi si dirà che sei? Chi bacerai? A chi morderai le labbra? Deve impedirsi di continuare a pensarci per poter resistere alla tentazione di tornare da lei. Basta, deve smettere di pensarci. È difficile lasciar andare all’improvviso un lungo amore, è difficile, ma fallo in qualunque modo.
Ci riesce, alla fine, il misero Catullo: Viva, e se la goda con i suoi amanti, che tutti e trecento in contemporanea si tiene stretta, non amandone davvero nessuno, ma ugualmente fiaccando le reni di tutti, e non si aspetti, come prima, il mio amore, che per colpa sua è caduto come un fiore al margine del prato, dopo che è stato falciato dall’aratro. La sua amarezza però non avrà il tempo di sopire. Morirà a circa trent’anni – la sua storia con Clodia ne era durati cinque.
In questi cinque anni Catullo ci restituisce tutto un amore, e lo fa attraverso alcuni dei testi più significativi della letteratura occidentale. Tutta la tradizione poetica precedente viene rielaborata in un linguaggio che possiede una naturalezza espressiva sempre fresca, ma che allo stesso tempo è il risultato di un lungo processo di labor limae. Da quando la insultano dandole della puttana a quando cantano celebrando il loro amore, i canti di Catullo a Lesbia sono finissime architetture poetiche, con cui la poesia odierna è ancora in debito.

![Street games lava360, "Street Games" V. Vivamus, mea Lesbia, atque amemus | Rumoresque senum severiorum | Omnes unius aestimemus assis. | Soles occidere et redire possunt: | nobis cum semel occidit brevis lux, | nox est perpetua una dormienda. | Da mihi basia mille, deinde centum, | dein mille altera, dein secunda centum | deinde usque altera mille, deinde centum. | Dein, cum milia multa fecerimus, | conturbabimus illa, ne sciamus, | aut nequis malus invidere possit, | cum tantum sciat esse basiorum. Viviamo, mia Lesbia, e amiamoci, e i brontolii dei vecchi troppo severi valutiamoli tutti un soldo! I soli possono tramontare e risorgere: ma noi, una volta che la (nostra) breve luce tramonta, dobbiamo dormire un’unica eterna notte. Dammi mille baci, poi cento, poi mille altri, poi ancora cento, poi di seguito altri mille, poi cento. Poi, quando ne avremo fatti molte migliaia, li mescoleremo, per non sapere [quanti sono], o perché nessun malvagio possa farci il malocchio, sapendo che sono così tanti. (Trad. Annamaria De Simone)](https://lineaventi20.files.wordpress.com/2016/03/street-games-ii.jpg?w=356&resize=356%2C356&h=356#038;h=356&crop=1)

