Breve viaggio attraverso la poesia di Tomas Tranströmer
Resan
På tunnelbanestationen.
En trängsel bland plakat
i ett stirrande dött ljus.
Tåget kom och hämtade
ansikten och portföljer.
Mörkret nästa. Vi satt
som stoder i vagnarna
som halades i hålorna.
Tvång, drömmar, tvång.
På stationer under havsnivån
sålde man mörkrets nyheter.
Folk var i rörelse, sorgset,
tyst under urtavlorna.
Tåget förde med sig
ytterkläder och själar.
Blickar i alla riktningar
på resan genom berget.
Ingen förändring ännu.
Men närmare ytan började
frihetens humlor surra.
Vi steg ur jorden.
Landet slog med vingarna
en gång och blev stilla
under oss, vidsträckt och grönt.
Sädesax blåste in
över perrongerna.
Slutstationen! Jag följde
med bortom slutstationen.
Hur många var med? Fyra,
fem, knappast flera.
Hus, vägar, skyar,
blå fjärdar, berg
öppnade sina fönster.
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Il viaggio
Alla stazione della metro.
Una folla fra i manifesti
In una fissa luce morta.
Il treno è arrivato e
Ha prelevato volti e borse.
Prossima fermata: l’oscurità. Eravamo seduti
Come statue nei vagoni
Che vengono trainati dentro i cunicoli.
Obblighi, sogni, obblighi.
Nelle stazioni sotto il livello del mare
Si vendeva il giornale dell’oscurità.
La gente era in movimento, triste,
silenziosa sotto i quadranti.
Il treno conduceva con sé
Soprabiti e anime.
Sguardi in tutte le direzioni
Durante il viaggio attraverso la montagna.
Ancora nessun cambiamento.
Ma più vicino alla superficie hanno iniziato
A ronzare calabroni della libertà.
Siamo scesi dalla terra.
La campagna ha sbattuto le ali
Una volta e si è fatta immobile
Sotto di noi, vasta e verde.
Il vento piegava le spighe in avanti
Sopra le pensiline.
Capolinea! Ho proseguito
Oltre il capolinea.
Quanti erano lì? Quattro,
Cinque, non di più.
Case, vie, nuvole,
insenature azzurre, montagne
hanno aperto le proprie finestre.
(“Den halvfärdiga himlen”, Il cielo incompiuto, 1962)
Ci sono poeti che dal dettaglio apparentemente più insignificante traggono pagine e pagine di parole e riflessioni; e altri che in poche frasi sono in grado di condensare il senso dell’esistenza. Poi c’è Tomas Tranströmer, poeta svedese premio Nobel per la Letteratura nel 2011, che scavalca entrambe le categorie e riesce ad esserne la sintesi: psicologo, musicista e traduttore oltre che poeta, è maestro nel posare il suo occhio (ed orecchio) attento su elementi della nostra quotidianità in apparenza banali, scoprendo in essi una dimensione altra, ponti verso una verità sempre sfuggente e mutevole che non può essere espressa che con il simbolo, la metafora, un’immagine concentrata. Da qui la sua concezione di poesia come ”mötesplats”, “luogo di incontro” fra realtà a prima vista lontane ma in grado di interagire fra loro, creando ispirazioni, dubbi o certezze che conducono l’uomo ad una sorta di momento epifanico; uomo che, tuttavia, deve essere capace di guardare oltre le convenzioni, liberarsi dal paraocchi che è la routine: “Camminavo lungo il muro antipoetico./ Die Mauer. Non vedere oltre./ Esso vuole circondare la nostra vita di adulti/ nella città della routine, nel paesaggio della routine.” (“Klanger och spår”, 1966).
Come nella poesia “Resan”, occasione per questo distacco dalla quotidianità è molto spesso il viaggio, un momento di allontanamento dai contorni conosciuti, di sospensione delle azioni e convenzioni che seguiamo con inerzia giorno dopo giorno; un viaggio che assume dei contorni onirici, in cui il poeta-sognatore, recependo stimoli esterni, è in grado di emanciparsi dalla gabbia della quotidianità e di mettersi in contatto con l’intimità propria e del mondo. Le immagini che colpiscono il poeta appartengono solitamente al paesaggio – spesso tipicamente svedese -, alla natura, considerata un’entità dotata di vita propria (in “Resan” la terra “sbatte le ali”); così come ricorrenti sono gli insetti (“frihetens humlor”, calabroni della libertà), a rappresentare un’anonima molteplicità che ritroviamo anche nella descrizione di una folla senza tratti distintivi; ma al contrario delle moltitudini umane, quelle animali si fanno portatrici di messaggi, di valori positivi. Anche la simbologia legata all’idea di limite, come il capolinea (“slutstationen”), l’orizzonte, o più volte una finestra (“fönstret”), vuole marcare questo confine fra realtà conosciuta e sconosciuta, normalità e conoscenza irrazionale.
Ma la lettura della poesia di Tranströmer non può fermarsi a questa sua veste profondamente metafisica, che negli anni ’60 gli è anche valsa l’accusa di una scrittura troppo individualista e distaccata da parte della scena letteraria svedese, sempre socialmente impegnata; i suoi versi, riprendendo le sue stesse parole, vogliono essere “meditazioni attive” (“aktiva meditationer”): vogliono risvegliare gli animi assorbiti dalla folla che si lasciano trascinare dalla corrente, e attraverso la lingua anticonvenzionale della poesia, che è lingua della natura e della musica, condurli nel viaggio di scoperta, per quanto breve e fuggevole, dei colori, della luce, della Verità.
Si ringrazia per l’aiuto il prof. Massimiliano Bampi