Spinta dalla curiosità dovuta al mio preoccupante bisogno di turbamento psichico, nel noiosissimo mese di aprile di quest’anno, ho avuto la più assurda e allo stesso tempo più geniale idea nella storia dei miei celebri “sconsigliati-metodi-di-distrazione-sotto-sessione-d’esami”: passare al vaglio con sguardo critico e attento (e una buona dose di birra comprata al Billa) l’intera filmografia del demone di Danimarca, nonché bersaglio preferito della critica e della stampa, Lars von Trier.
Prima di cercare di ricostruire questa traumatizzante esperienza, cosa che farò in tre battute (proprio così, dovrete sciropparvi anche la seconda e la terza parte), vorrei fare alcune precisazioni riguardo alle tanto amate controversie che circolano intorno al nome di questo simpatico (?) personaggio: von Trier non è un misogino, è un misantropo; von Trier non è un antisemita, è un antisionista; von Trier non è un esagerato che occasionalmente tira fuori dal cappello qualche idea geniale, bensì un genio indiscusso che ogni tanto esagera. Detto questo, non nego che il suddetto regista sia senza ombra di dubbio quel pazzo scriteriato affetto da numerose ossessioni e fobie, tra cui ricorrono l’ipocondria e la paura di volare (esatto, a Cannes ci va in camper), che tutti conosciamo e che i giornalisti adorano mettere al centro dell’attenzione. Cosa pensare, dopo tutto, di un uomo che si auto-conferisce un tratto distintivo della nobiltà teutonica con l’aggiunta del von nel suo nome di battesimo?

Per farla breve, birre alla mano, mi accingo ad iniziare la mia titanica impresa a partire dall’unica opera aderente al suo manifesto da snob cinefilo con qualche problema di noia, quello del movimento “Dogma 95”, che si prefigge l’obbiettivo di eliminare dal prodotto filmico qualsiasi effetto speciale o “contaminazione” mainstream (per inciso, Von Trier rispettò le regole del gioco solo una volta e poi mandò al diavolo l’intera storiella). Il film di cui parlo è Idioti (Idioterne, 1998) e fa parte della sua “Trilogia del cuore d’oro” insieme a Le onde del destino (Breaking the Waves, 1996) e Dancer in the Dark (2000). L’intera opera (Von Trier va solitamente avanti a trilogie) mi lascia in un profondo stato di confusione e con la voglia inspiegabile di salvare vite innocenti dalla corruzione del cinico mondo d’oggi. Il filo conduttore è sostanzialmente quello di un personaggio (femminile, come quasi in tutti i film di Trier) che affronta la gravità della vita con atteggiamento ingenuo e infantile, ai limiti dell’idiozia, e che nel fare ciò viene raggirato o ostacolato dai più “astuti”. Sembra infatti che il regista voglia definire “Idioti”, appunto, (e forse deboli) queste povere vittime preda degli eventi, ma la verità sta invece nel fatto che Selma, Karen e Bess hanno “un cuore d’oro”, sono speciali, pure e genuine. Per quanto alla fine dei tre film potessi sentirmi distrutta e in procinto di iniziare a fare volontariato, dovetti anche riconoscere l’eccezionale abilità di Von Trier nel dipingere il bene e il vizio nell’uomo moderno, la sopraffazione e l’insensibilità. Non per niente si tratta di film molto riconosciuti (ai francesi stava ancora simpatico) e soprattutto molto sudati: le riprese erano talmente pesanti e Von Trier talmente snervante che Björk (le sue attrici hanno sempre avuto qualche problemino con la sua personalità eccentrica), protagonista dell’”anti-musical” Dancer in the Dark, era solita esordire sul set ogni giorno con la frase “Mr. von Trier, I despise you”.

Pensavate che Lars von Trier fosse solo il regista degli stupri e delle catastrofi? Sbagliavate, spero di avervelo dimostrato. Gli stupri e le catastrofi però ci sono, e anche parecchi, ma sarà meglio affrontare la questione nella seconda parte!
Martina Barnaba
2 pensieri su “L’anticristo del cinema contemporaneo ha un nome: Lars von Trier – I parte: La Trilogia del cuore d’oro”