Così risi e mi accomodai per un momento nel pensiero del ritorno di mio marito. La luna era spuntata in tutto il suo splendore; mi chiamava ferendomi agli occhi. Crogiolati pure, luna insidiosa, mentre sosto tra le macerie che tu mi rischiari. È bello che ti fermi a guardarmi, ma non somiglio a tutta quella rovina.
La felicità degli altri è un romanzo che parla di abbandono, di fantasmi e di ombre ma anche di speranza e della possibilità di trovare la salvezza e il proprio io nelle situazioni più buie.
La protagonista Clotilde, detta Cloe, alla ricerca di una propria identità, cambia nome, diventando Anais e infine Esoluna. Cloe ha vissuto un’infanzia difficile, marchiata dal suicidio del fratello Emanuel, sofferente di una grave forma di depressione infantile, suo unico compagno, tra l’assenza del padre Manfredi e le paranoie e gelosie della madre Beatrice. La morte di Emanuel segna Cloe nel profondo, a tal punto da farle immaginare che sia stata la madre stessa a spingere il figlio dalla finestra e ad abbandonare lei in una stazione del treno. Nell’immaginario di Cloe, Beatrice si trasforma in Medea, che in cerca di vendetta per il tradimento del marito, lo priva della prole. Inizialmente la versione di Cloe è l’unica che ci viene data dall’autrice, che poi, magistralmente, si intreccia con la storia reale, svelata da Madame, donna che ha cresciuto la narratrice a partire dai dieci anni. L’intreccio delle due versioni dona maggiore complessità alle vicende narrate e aiuta il lettore a comprendere meglio l’entità del trauma della protagonista. Allo stesso modo, gli viene data la possibilità di comprendere le infinite sfaccettature, tra luci ed ombre, che la verità porta con sé.
Durante tutta la narrazione Cloe scappa senza sosta dai fantasmi che la rincorrono. Cambia svariate città, si fa chiamare con nomi diversi, in cerca di un’identità che crede di aver perso in un mare di dolore e risentimento nei confronti dei genitori. Nonostante ciò il suo desiderio più profondo è quello di lasciarsi alla spalle le ombre del passato, che la perseguitano e la fanno star male. Fantasmi che non possono essere ignorati.
Sono nata in una casa infestata dai fantasmi. Allampanati, tignosi fantasmi da cui non si poteva fuggire […] A dieci anni fui allontanata dal villaggio per pura crudeltà, ma i fantasmi non rimasero a casa […] Affrancarmi da quel tanto che di ogni famiglia dovrebbe restare nascosto è stata la mia missione, ma ammetto che di quei fantasmi avverto ancora il soffio.
Cloe ha pochi amici, Angela, una donna forte la cui figura non è ben delineata, amica da sempre della protagonista, il Generale e Madame, coloro che l’hanno cresciuta sulla collina nella Casa dei Timidi, luogo in cui Cloe ha vissuto dopo la morte del fratello e dove è rimasta fino ai 18 anni; Jerus, anche lui cresciuto sulla collina, l’unico uomo che lei abbia veramente amato e dal cui amore scappa: “Non fuggo da te, fuggono i miei fantasmi dai tuoi, non dire nulla ora, lascia che i fantasmi si incontrino, se devono, e si scuotano fra loro, bisognerebbe ucciderli, prima che ci uccidano…”. Infine, il professor T., docente di Estetica dell’ombra residente a Venezia, con cui Cloe intesse una profonda amicizia. Fin da subito il professore diventa per lei una guida, è un uomo che ha imparato a vivere tra le ombre, di cui non ha più paura e che la spingerà a tornare al villaggio dove ha vissuto da bambina affinché dia un ultimo saluto al fratello e possa riuscire a lasciarsi alle spalle il ricordo della madre spietata che la tormenta.
Proprio in quel luogo Cloe incontra un bambino dai capelli fulvi, il guardiano del cimitero del villaggio, Elias, figlio di nessuno o come egli stesso si definirà : figlio di Dio. Elias è un simbolo di speranza, è un bambino che è riuscito a salvarsi da solo nonostante la durezza della solitudine. Così come il professor T., anche Elias rappresenta una guida per Cloe, è colui che la conduce alla tomba di Emanuel e riesce a donarle nuova linfa vitale, nuova speranza, mostrandole come si possa attingere forza dallo stretto contatto con il mondo dei morti, con le ombre, insieme alle quali si può convivere e dalla quali è possibile generare nuova luce.
La felicità degli altri, attraverso la storia di Cloe, racconta di dolore, di abbandono, di maternità e, infine, di salvezza ricercata a lungo dalla protagonista. Lei stessa, nelle prime pagine del libro, definisce la sua vicenda come un’anastilosi: così come un antico oggetto, la sua anima deve essere ricostruita, frammento dopo frammento fino a ritrovare la sua forma originaria.
Perché potrebbe vincere?
Carmen Pellegrino con il suo romanzo La felicità degli altri, in maniera elegante e velata, ci guida attraverso le diverse forme della felicità e ci permette di conoscerla meglio: essa spesso viene cercata e riconosciuta solo negli altri, quando in realtà non esiste, o perlomeno, non assume le sembianze che noi crediamo.
Il racconto, fatto dagli incontri tra Cloe e gli altri personaggi, consente all’autrice di dimostrarci come la felicità si possa raggiungere anche attraverso la convivenza con i dolori e le inquietudini che appartengono a ciascuno di noi. Essi non ci spezzano e non ci fanno perdere nella coltre di nebbia che portano con sé.
Il romanzo, con delicatezza e grande rispetto per le emozioni del lettore, ci congeda regalandoci la lucida consapevolezza che la felicità degli altri non è diversa dalla nostra: è una luce che è tale perché ha imparato ad alimentarsi delle sue stesse ombre e a convivere con i propri fantasmi.