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L’impero fondato da Costantino è noto ai più come impero bizantino, famoso per la sua opulenza, le sue congiure di palazzo e il forte interesse dei sovrani in specifiche lotte dottrinali. Il governo di Bisanzio fu questo, ma anche una macchina statale e militare ben organizzata, che nei momenti migliori riuscì a reggere pesanti incursioni dall’esterno e a gettare le basi per la continuazioni della civiltà romana tra l’Asia e l’Europa. Un suo testimone è presente in piazza San Marco, ed è Giustiniano II Rinotmeto. Discendente dal potentissimo imperatore Eraclio I, che aveva sconfitto gli Arabi e riportato a Gerusalemme la vera croce come un novello Cristo. Questo sovrano, detto l’imperatore senza naso, ricevette questo soprannome in quanto nel 695 d.C., dopo dieci anni di regno, venne deposto ed esiliato, ma prima gli fu tagliato il naso, secondo l’antica usanza che nessun mutilato poteva cingere la corona di imperatore. Nonostante i suoi nemici si fossero premuniti che egli non potesse più salire al trono, Giustiniano II sorpassò la tradizionale proibizione ai mutilati e riacquisì il potere nel 706 d.C., ma di lì a cinque anni una nuova sollevazione popolare ne causò la morte insieme al figlio Tiberio, ultimo discendente della casa di Eraclio. Ma dov’è Giustiniano? Basta alzare gli occhi verso l’angolo orientale della balconata della Basilica per vedere, tra la fila di capitelli in pietra bianca, uno in porfido rosso: è la testa dell’imperatore, qui ritratto con il naso e con il diadema imperiale, che volge il suo sguardo severo in direzione del Bacino di San Marco.

Venezia però non è legata solo al potere imperiale dell’Oriente, ma anche a quello occidentale nato, sotto nuove forme e direttrici, dai regni romano-germanici sorti dopo il progressivo crollo di Roma nel V d.C. L’Urbe rimase sempre il punto ideale, come dimostrano le figure di Carlo Magno e dei suoi successori: nella seconda metà dell’X secolo gli Ottoni si installarono sul trono imperiale di Roma, finché Ottone III non morì giovanissimo nel 1002, dopo aver tentato di attuare la renovatio imperii, la rifondazione del potere romano, anche con l’aiuto di Papa Silvestro II e del doge Pietro II Orseolo, che lo volle come padrino di cresima per il figlio.
L’imperatore che però è il più legato a Venezia e alla piazza che stiamo analizzando è Federico I Barbarossa della casata degli Hohenstaufen. Prima della sua salita al trono nel 1155, la Germania e l’Italia, le due anime dell’impero, non avevano avuto un saldo controllo imperiale a causa della debolezza dei sovrani precedenti: ciò aveva favorito una forte crescita di potere e autonomia da parte degli aristocratici nelle terre tedesche e dei comuni italiani; questi ultimi avevano con il tempo assunto tutto le prerogative legislative, politiche, militari e finanziare spettanti all’imperatore, i cosiddetti regalia, e li avevano sfruttati per far fiorire le loro città nella Pianura Padana, allora uno dei centri del commercio europeo. Il Barbarossa, dopo aver annullato le resistenze aristocratiche al suo potere e al suo progetto di maggior controllo imperiale, si diresse verso i comuni dell’Italia, trovando una resistenza salda e potente: nemmeno la totale distruzione di Milano nel 1162 piegò del tutto le velleità autonomistiche dei comuni, che riuscirono a creare la famosa Lega Lombarda e a sconfiggere l’imperatore a Legnano nel 1176. Tra le città aderenti alla coalizione vi era anche Alessandria, città piemontese fondata senza il consenso dell’imperatore Barbarossa e provocatoriamente chiamata come il più potente alleato dei comuni (e quindi nemico di Federico I), papa Alessandro III. È dopo questo scontro che Venezia entra in gioco, poiché fu proprio in questa città che nel 1177 il papa, i comuni e l’imperatore giunsero alla pace grazie alle abilità diplomatiche del doge Sebastiano Ziani, che prudentemente si era mantenuto pressoché neutrale. A ricordare l’evento c’è una lapide posta appena dopo l’entrata alla Basilica di San Marco che segnerebbe il punto dove il Barbarossa si sarebbe inginocchiato per farsi togliere la scomunica dal pontefice e giungere alla pacificazione.

Ad Alessandro III è connesso anche un altro retaggio di potere imperiale; fu lui infatti a concedere a Venezia di praticare il rito dello Sposalizio del Mare, la cerimonia in cui, nel giorno dell’Ascensione, il doge gettava un anello nell’Adriatico pronunciando la formula «Noi ti sposiamo o Mare, in segno di vero e perpetuo dominio». Se non è questa una proclamazione di potere imperiale, di dominazione su territori vasti e differenti, non so cos’altro lo possa essere.
È comunque l’impero d’Oriente a plasmare per la maggior parte le testimonianze imperiali di piazza San Marco. Nella “Sala degli uomini illustri” del Caffè Florian, ad esempio, è presente un ritratto di Enrico Dandolo, il doge immortale. Questo personaggio, eccellente stratega e comandante militare, fu alla guida della quarta crociata e del già ricordato saccheggio di Costantinopoli: accadde che i crociati (soprattutto tedeschi) assoldarono nel 1202 la flotta veneziana per un trasporto marittimo fino a Gerusalemme di una quantità di uomini ben superiori a quelli che effettivamente si presentarono; i crociati erano debitori a Venezia di una cifra enorme, ma la città seppe come farsi ripagare. Innanzitutto obbligò i soldati ad assistere le truppe veneziane nella riconquista di Zara, storico punto d’appoggio in terra dalmata che si era ribellato al dominio della Serenissima; dopodiché Dandolo spinse i crociati ad accettare la richiesta di aiuto che era giunta da Alessio, principe bizantino figlio del deposto Isacco II, che aveva ottenuto l’appoggio dell’armata crociata per essere riportato in città dietro pagamento e distruggere la poca resistenza che si prospettava. In realtà, l’assedio fu molto difficoltoso a causa della resistenza bizantina, ma nel 1204 la città cadde sotto l’ennesimo assalto dei soldati occidentali. Alessio IV era ora sul trono, ma ben presto la situazione degenerò nuovamente: il nuovo sovrano si trovò impossibilitato a pagare ai crociati e ai veneziani quanto aveva promesso e dopo l’uccisione del giovane regnante per mano dei suoi cortigiani, il nuovo imperatore Alessio V rinnegò gli accordi presi dal suo predecessore. L’esercito del Dandolo attuò allora un nuovo assedio, conclusosi con il saccheggio che portò a Venezia oro, marmi e opere d’arte a cui abbiamo già fatto cenno.

Dicono alcune fonti che in quei tumultuosi giorni la corona d’imperatore venne offerta proprio al doge novantenne, il quale però decise di rifiutare lasciando campo libero a Baldovino di Fiandra: non è compito di questo articolo esaminare la ragioni di questa scelta, ma certo è che senza Dandolo Venezia non sarebbe quello che divenne, cioè non avrebbe assunto quel potere imperiale, quel dominio marittimo e terrestre su vari territori e popoli diversi per etnia e cultura. Un imperatore senza corona verrebbe da dire.

Anche i nemici di Costantinopoli hanno però una parte in questa storia: se ci lasciamo alle spalle il Florian, dove abbiamo visto il ritratto del Dandolo, e giriamo a destra ci appare in tutta la sua maestosità rinascimentale la Biblioteca Marciana di Jacopo Sansovino, che deve le sue origini (per vie traverse) a Maometto II, imperatore ottomano. Fu sotto i suoi ordini infatti che l’artiglieria turca abbatté nel 1453 le imponenti mura teodosiane di Bisanzio, permettendo l’ingresso in città alle truppe musulmane e costringendo alla fuga le più alte cariche della città e i suoi maggiori esponenti ecclesiastici, che ricevettero l’aiuto del loro conterraneo cardinale Bessarione: questo presule è passato alla storia come il salvatore della cultura bizantina, in quanto si premurò di riunire i libri fuggiti dal sacco ottomano di Costantinopoli che gli esuli avevano portato con sé; non si dimentichi infatti che prima della stampa, un libro era un bene di grande valore e poteva essere venduto a cifre molto elevate. Fu su questo fondo personale, nato dall’amore per la cultura e dalla decisione di un imperatore di dare il colpo di grazia ad un potenza decaduta, che venne costruita la Biblioteca della Serenissima, che in seguito sarebbe stata arricchita dalle opere dello stampatore per eccellenza, Aldo Manuzio.

L’imperatore che più ha segnato la storia di Venezia e della sua piazza fu però Napoleone Bonaparte, che conquistò Venezia nel corso della sua campagna militare italiana: questo accadde nel 1797, ben prima di essere incoronato imperatore dei Francesi nel 1804, ma fu dopo quest’ultimo evento che la piazza risentì maggiormente della nuova connotazione del potere politico napoleonico e del suo “stile impero”. Tra il 1807 e il 1810 il principe di Venezia nominato da Napoleone, Eugenio di Beauharnais (figlio di primo letto di sua moglie Giuseppina), volle chiudere la piazza con una nuova ala delle Procuratie per ospitare un palazzo reale proprio nel cuore della città, ceduta agli Austriaci con il Trattato di Campoformio, ma poi ripresa dalle armate francesi. Per compiere l’impresa fu abbattuta l’antichissima chiesa di San Geminiano, esattamente posta dove oggi si trova l’Ala Napoleonica, e furono seguiti i dettami dell’arte di propaganda imperiale: non a caso le statue che intervallano il fregio della struttura sono quelle di quattordici imperatori romani. Altri sovrani che si affacciano sulla nostra piazza.

Oggi l’edificio ospita il Museo Correr, ma durante il dominio asburgico su Venezia fu la sede degli appartamenti della coppia imperiale formata da Francesco Giuseppe ed Elisabetta di Baviera. Molti probabilmente si ricorderanno della scena del film con Romy Schneider “Sissi. Destino di un’imperatrice”: la protagonista ed il marito arrivano in una Venezia chiusa e che volge loro le spalle, ma quando i due giungono in piazza San Marco e l’imperatrice abbraccia la figlia che le corre incontro, dimostrando così di essere una madre come ogni altra, la città si commuove e si profonde in applausi e apprezzamenti. La realtà era alquanto diversa. I Veneziani infatti, per quanto poterono avere una certa simpatia per la bella sovrana, detestarono sempre gli invasori austriaci e le loro truppe occupanti, a cui non mancarono mai di ribellarsi; Sissi invece, quantomai sensibile ai climi umidi e malsani, non amava Venezia, dove infatti soggiornò pochi mesi.
Sarebbe giusto ricordare anche altri piedi imperiali che hanno calpestato i lastroni della piazza: quelli di Giovanni V Paleologo e di suo figlio Manuele II, degli zar Pietro il grande, che si dice prese spunto da Venezia per la costruzione di San Pietroburgo, o di Nicola I; quelli di Vittorio Emanuele III, imperatore d’Etiopia dopo il 1935, o ancora quelli del Kaiser Guglielmo II. Quello che è importante ricordare è che questo luogo non solo è stato visitato da sovrani, ma da essi è stato plasmato, ne reca le testimonianze. E Piazza San Marco è simbolo del potere passato della Serenissima, un dominio che si può definire imperiale poiché esteso in luoghi diversi ed eterogenei e governati da una salda amministrazione centrale.