Tempo di lettura: 8 minuti
Hong Kong è una città complessa, che vive un periodo storico che ne sta radicalmente cambiando, di nuovo, le radici. Hong Kong è conosciuta per essere un centro finanziario internazionale, porto e luogo di scambi commerciali, hub tecnologico e di innovazione. Ma c’è posto anche per l’arte, a Hong Kong?

Prova a raccontarcelo Laura, che ha trentadue anni, è originaria del lago di Como e vive a Hong Kong da più di due anni e mezzo. Personalità eclettica e amante dell’arte fin da piccola, inizia a viaggiare durante gli studi universitari e non smetterà più. Si trasferisce prima negli Stati Uniti, dove vive un’esperienza di scambio accademico nel corso dei suoi studi in lingue. Dopo la laurea, trova lavoro in Germania presso un’azienda di videogiochi, impara il tedesco e si adatta ottimamente allo stile di vita berlinese. Dopo tre anni e mezzo però sente di nuovo il bisogno di partire, di ricominciare una nuova vita da capo. Si mette alla ricerca di un lavoro e dopo pochi mesi riceve un’offerta da Twitter a Dublino per il ruolo di Localization Project Manager. Da Twitter gestisce un team incaricato di tradurre piattaforma, app e sito internet in 42 lingue. Nonostante i successi professionali e le comodità della vita a Dublino, Laura avverte nuovamente il bisogno di mettere tutto in discussione e cede al richiamo dell’ignoto, direzione Hong Kong questa volta. Qui trova lavoro in un’azienda che si occupa di cybersecurity e data protection.
Ma che ne è stato della passione di Laura per l’arte nel corso degli anni?

Sono sempre stata appassionata di arte, fin da quando ero piccola. Quando si è trattato di scegliere il mio percorso di studi, ero indecisa fra le lingue e l’arte. Ai tempi avevo scelto di orientarmi verso le lingue perché pensavo mi avrebbero dato più opportunità di viaggiare e di vivere all’estero o come una nomade, e che avrei avuto più sbocchi professionali. Ero convinta che avrei potuto sempre seguire la mia passione per l’arte come hobby, non come carriera… Le cose però non sono andate così. Durante gli studi universitari prima e poi con il lavoro a Berlino, ho del tutto smesso di disegnare e di dipingere; finché, circa quattro anni fa, a Dublino, mi sono resa conto che molte persone attorno a me si identificavano con il loro lavoro, non con le proprie passioni. Ci si chiedeva a vicenda, ‘sei da Google, sei da FB, sei da Twitter?’. Io invece mi identificavo ancora come un’artista, ma quando ho constatato quanto tempo passassi a dipingere… ho capito che questa parte di me si stava perdendo. Prendere coscienza di questo è stata davvero una wake-up call per me. Ho deciso quindi di rifare dell’arte una priorità e il centro della mia vita.
Mi sono unita ad un gruppo di artisti di strada – Urban Sketchers[1]. È una community globale di artisti che opera in tutto il mondo. Fanno prevalentemente outdoor sketching, schizzi dal vivo. In Irlanda questo gruppo era molto attivo. Ci si trovava ogni domenica per ritrarre vari punti della città e poi si andava insieme a bere un caffè per dare un’occhiata ai nostri taccuini e a quello che ciascuno aveva disegnato. Devo molto a questo gruppo – mi hanno accolta benissimo e sono stati come dei mentori per me, mi hanno insegnato tantissime cose e mi hanno incoraggiato a continuare. Nel giro di un anno ho pubblicato il mio sito internet[2]; ho creato una serie di illustrazioni sull’Irlanda; ho iniziato a organizzare workshop di pittura all’interno di Twitter; partecipato ad una mostra di gruppo in Irlanda – People’s Art Exhibition. Per me è stata una delle cose più gratificanti che potessi mai fare. È stato incredibile come in un solo anno sia passata dall’aver quasi perso questa passione fino a trovare persone disposte ad apprezzare qualcosa che avevo creato io, con il mio stile.
A proposito del tuo stile, come è nato e come lo hai sviluppato, negli anni?
Ho tratto molta ispirazione da alcune illustrazioni giapponesi, ad esempio Hokusai. Il Giappone mi ha sempre affascinato come Paese (ho studiato lingua giapponese all’università).

La verità, però, è che il mio stile è nato per caso. Un giorno, nel fare un disegno che pianificavo di colorare in pieno, mi sono resa conto che lasciando il primo piano in bianco e nero e lo sfondo (il cielo) colorato – era perfetto così. Mi piaceva in quel modo, quasi incompiuto, senza aggiungere altri colori. Da allora, la maggior parte dei miei disegni è caratterizzata da questo stile. I soggetti, solitamente in primo piano, sono in bianco e nero e molto dettagliati. Uso molto la tecnica del dotwork, con una china sottilissima. Quella è la parte che occupa più tempo perché richiede tantissima attenzione al dettaglio. Per quanto riguarda la parte superiore dell’immagine, utilizzo sfondi che dipingo ad acquerello e sui quali non ho molto controllo.

Quello che mi piace di più di questa tecnica è come i soggetti, così dettagliati e definiti, si uniscano e complementino con lo sfondo che invece è molto più fluido e colorato. Questa caratteristica rappresenta per me l’equilibrio fra il controllo e il lasciarsi andare, fra l’istinto e la razionalità – che è un po’ quello che è la mia vita adesso. Lavoro come project manager e la pianificazione fa parte del mio lavoro e anche di me… però al di fuori di questo contesto sono un’artista e qui mi posso lasciare andare, ho meno controllo, sono più spontanea… i miei lavori rappresentano un po’ questa dicotomia nella mia vita.
Per quanto riguarda i temi, buona parte dei miei soggetti sono punti iconici delle diverse città in cui vivo, in questo stile mio, oppure tratti dal mondo naturale, o ancora soggetti che vengono dall’arte giapponese.
Com’è per un’artista vivere ad Hong Kong, città che solitamente attrae persone che sono totalmente al di fuori del campo dell’arte?

A dire il vero, inizialmente il confronto con Hong Kong è stato traumatico da questo punto di vista. Mentre in Europa trovavo terreno fertile per i miei lavori, qui è stato più difficile. Trovavo meno interesse dalle persone rispetto all’arte e a quello che producevo. Ho trovato che l’ambiente artistico qui ad Hong Kong non fosse altrettanto valorizzato. Qui l’arte è vista principalmente come un oggetto di lusso, un investimento – qualcosa che un domani si potrà rivendere con profitto. Contano tanto i grandi nomi degli artisti e le gallerie dove le opere vengono esposte – spesso sono gli artisti stessi che pagano per avere i loro lavori esposti. La situazione per un’artista emergente non è facile ad Hong Kong – non posso negarlo. È stato difficile stabilirmi qui e farmi conoscere. Sono riuscita però piano piano ad entrare nella comunità artistica locale, che è piuttosto piccola (ci si conosce un po’ tutti fra noi artisti). Adesso faccio parte di un collettivo – Hong Kong Arts Collective.[3] Tramite questo gruppo, ho partecipato ad alcune mostre, sia da sola sia con altri artisti. Dato che lavorare con le gallerie è difficile qui, le mostre che ho fatto sono state principalmente con ristoranti o attività che mettono a disposizione alcuni dei loro spazi per esporre. È stata comunque una soddisfazione – anche in una città come questa sono riuscita a portare un po’ della mia arte alle persone.
Che cosa rappresenta per te e come vivi l’esperienza dell’arte, dunque?
Per me l’arte è un percorso introspettivo, quasi come se fosse una forma di meditazione, di ricerca. Lo faccio principalmente per me. È qualcosa che non smetterò mai di fare. Per me che lavoro in un’azienda tech, è bello, tornando a casa, poter fare qualcosa di manuale e creativo. Continuerò a farlo a prescindere da tutto il resto. Come missione ho sicuramente quella di poter ispirare, tramite le mie opere, più persone a seguire le loro passioni, perché siano connesse con sé stesse, piuttosto che con il pubblico attorno a loro.
In questo momento storico particolare ad Hong Kong, l’arte viene utilizzata anche come veicolo di messaggio politico?
Sicuramente nel 2019, durante le proteste, ci sono stati tanti artisti che hanno utilizzato l’arte per veicolare il loro messaggio di protesta contro la National Security Law. Io, da parte mia, non mi sono concentrata tanto su questo aspetto perché, come dicevo, per me l’arte è qualcosa di personale. Tuttavia, rispetto e ammiro tanto gli artisti locali che hanno fatto dell’arte uno strumento per veicolare un messaggio anche politico. Anzi, ritengo che si tragga ispirazione più dalle cose tristi che dalle cose felici. E in questo senso, c’è tanta ispirazione ad Hong Kong.

Quali sono i tuoi piano per il futuro?
Non mi dispiacerebbe un domani diventare artista a tempo pieno, lasciare il mio lavoro e dedicarmi unicamente all’arte. Non so quanto mi fermerò ancora ad Hong Kong, mi piacerebbe riprendere a viaggiare. Nel lungo termine penso che tornerò in Europa per stare più vicina alla mia famiglia.
Non hai paura che fare di questa passione per l’arte il tuo lavoro tradirebbe il senso originario per il quale hai deciso di fare arte?
È sicuramente una preoccupazione che avverto e che ho avvertito già in passato quando ho avuto la possibilità di lasciare tutto per dedicarmi all’arte. Ho avuto il timore di dover cambiare il mio stile per adattarlo ai gusti del pubblico, di dover dedicare più tempo a vendere le mie opere piuttosto che a crearle. È una decisione che, se prenderò, dovrò ponderare molto bene e che non è imminente.

di Andrea Gallucci
[1] http://www.urbansketchers.org/