Il passaggio dalla Chiesa dei Carmini all’omonima scuola è molto breve e quasi angusto, ma percorrendolo si può chiaramente vedere la particolare posizione di questa struttura, che mostra chiaramente la travagliata e articolata storia dell’associazione che ha accolto e accoglie tuttora.
La Scuola dei Carmini probabilmente derivò da un gruppo autogestito e ben organizzato di donne chiamate pinzochere, che, dalla fine del XIII secolo, cuciva gli scapolari (pezzi di stoffa recanti l’immagine della Vergine e simbolo per eccellenza della devozione alla Madonna del Carmelo). L’esistenza di aggregazioni riservate esclusivamente alle donne, simbolo della vitalità associativa del Medioevo, è alquanto interessante, ma non deve stupire: monasteri di clausura, ordini di terziarie mendicanti e conventi di beghine sono alcuni degli esempi di “associazionismo” femminile religioso”.
Presto però le donne degli scapolari vennero soppiantate da un gruppo di uomini che decise, dopo la fondazione ufficiale della scuola nel 1594, di trovarsi una sede propria. Dopo aver faticosamente ottenuto il terreno attraverso compravendite, liti e processi, si iniziò la realizzazione della costruzione, che, nella pianta e nell’organizzazione degli spazi, è identica a tutte le scuole della città: da una cappella al pian terreno partono due rampe che arrivano ad un pianerottolo su cui si affacciano la sala del tesoro e dei paramenti; dal mezzanino invece si accede, attraverso una sola scalinata (qui molto ripida visti gli spazi ristretti), alla sala capitolare, su cui si affacciano la sala dell’albergo e dell’archivio. Questa comune costruzione venne presto ad arricchirsi, prima di tutto esternamente, grazie al lavoro di Baldassarre Longhena, ideatore delle facciate marmoree in stile rinascimentale decorate con teste di putti, che ben rispecchiano la grandezza e la ricchezza di un’istituzione che stava diventando sempre più potente e importante. Dorsoduro accoglieva, infatti, un gran numero di abitanti, molti dei quali non abbienti, che diventavano confratelli sia per assicurare un aiuto economico a sé stessi e alla propria famiglia, sia perché si riconoscevano in un’istituzione nuova e diversa che si rifaceva ad una chiesa mendicante e non a basiliche prestigiose o ad ordini più importanti. La popolarità e l’importanza della Scuola dei Carmini è attestata anche dal fatto che venne elevata al titolo di “scuola grande” nel 1767.
Dopo questi primi interventi si iniziò a decorare l’interno con un programma iconografico ben preciso e basato sugli elementi che caratterizzavano la religiosità della Scuola e il culto della Madre di Dio: Maria, lo scapolare, le virtù mariane e quelle teologali sono visibili nelle decorazioni di ogni singolo ambiente. Vi sfido, nel caso visitaste questo piccolo gioiello nascosto della Venezia minore ed spesso estranea ai circuiti turistici, a contare tutti gli angeli e gli scapolari che vedrete dipinti o scolpiti: è molto facile perdere il conto.
La cappella, al pian terreno, è decorata con un pala di Sante Piatti, raffigurante la Madonna reggente lo scapolare, e con una serie di dipinti monocromi (rarissimo esempio giunto fino a noi di pittura in bianco e nero) di Niccolò e Giovanni Bambini, che raffigurano scene della vita di Maria e le tre virtù teologali che la caratterizzarono: Fede, una donna dal capo velato che regge una croce ed un calice, Carità, una donna con dei bambini, e Speranza, una figura femminile con accanto un’ancora. Una piccola nota: questi dipinti, insieme alle loro cornici di argento, sono appena stati restaurati e quindi sono visibili nel pieno del splendore.
Le tre figure delle virtù teologali decorano anche gli scaloni, adornati da splendidi stucchi bianchi e dorati che recano alcune mutilazioni causate dall’invasione napoleonica, un evento calamitoso che portò molte strutture, come anche la chiesa della Misericordia, alla rovina. Sul pianerottolo, come già detto, si affacciano l’antica sala dei paramenti sacri (ora adibita ad ufficio) e la sala del tesoro, recentemente resa visitabile: dopo essere passati dalla pesantissima porta di piombo, si possono ammirare le pareti lignee originali del Settecento e i resti di quello che era uno dei tesori sacri più ricchi di Venezia.
Lo scalone finale conduce alla maestosa sala capitolare, un tempo adibita alle riunioni degli organi direttivi della confraternita. È qui che si può ammirare il gioiello artistico della costruzione: il meraviglioso soffitto decorato dalle opere di Giambattista Tiepolo, che la scuola riuscì ad assumere per questo incarico strappandolo per un po’ ai sovrani europei. Il dipinto centrale raffigura il beato Simone Stock, generale dell’ordine carmelitano, mentre riceve lo scapolare dalla Vergine, il cui sguardo serio e potente che si staglia nel cielo tipicamente tiepolesco è ammansito dal gesto della mano sinistra con cui accarezza un piccolo angelo. Si tratta di un’allegoria nascosta che raffigura Maria come madre della Chiesa universale istitutrice del culto, ma anche come madre “terrena” colma di amore. Del resto, le allegorie abbondando in questo soffitto, che presenta ai quattro angoli, intorno alla tela centrale, le personificazioni delle virtù mariane, solitamente declamate nelle litanie del rosario: la Prudenza, la Temperanza, la Purità, la Giustizia, la Fortezza (appoggiata ad una colonna, recante il leone di San Marco, mentre si avvicina alla Giustizia, che si ritrae ad indicare il giusto rapporto tra le due), la Penitenza, l’Umiltà, la Castità e le virtù teologali. A queste si aggiungono numerosi altri simboli, come gigli e scapolari, che completano l’insieme allegorico.
Spostandosi poi nella Sala dell’archivio si potranno notare gli stupendi intarsi lignei che decorano gli armadi dove un tempo erano custoditi i documenti. Un altro elemento degno di nota è il soffitto, anticamente ornato con foglie d’oro, in cui sono incastonati dei dipinti raffiguranti i profeti Elia ed Isaia, tradizionalmente ritenuti fondatori dell’ordine sulla base di alcuni documenti (la cui falsità venne poi dimostrata nel ‘600) e le Sibille, profetesse dell’antichità che avrebbero predetto la venuta del Cristo, credenza testimoniata dal loro inserimento nella volta della Cappella Sistina.
L’ultima sala è quella dell’albergo, così chiamata perché un tempo vi erano ospitati i pellegrini, decorata da un tela del Padovanino e da dipinti di autori vari raffiguranti scene della storia di Maria e dell’ordine carmelitano.
Di fronte al visitatore si trova un vessillo rosso: questa bandiera era un tempo issata su di un palo vicino alla scuola ed era presente nelle vicinanze di ogni scuola grande, ma veniva anche portata in processione durante le celebrazioni religiose. Queste ultime sono ancora momenti fondamentali della vita della scuola, che celebra la sua devozione con solenni processioni e importanti messe non solo il giorno della Madonna del Carmelo, ma all’Immacolata Concezione e al “Mercoron”, il primo mercoledì dopo Pasqua.
Vi è un ultimo aspetto, quantomai importante nel divenire storico di questa istituzione, da sottolineare: la componente femminile. L’intero complesso è dedicato ad una donna, il cui culto è andato evolvendo nei corso dei secoli, differenziandosi nei luoghi in cui venne a trovarsi e trovando sempre il sostegno di varie componenti della società, che videro nella sua figura o un elemento di legittimazione oppure un fattore di unificazione collettiva. L’ordine carmelitano è poi strettamente legato alla figura di un’altra donna, Santa Teresa d’Avila, che nel corso del ‘600 attuò una riforma dell’ordine e che, con le sue visioni, diede una forte impronta alla vita religiosa del secolo post-tridentino. Infine non possiamo dimenticare che la Scuola stessa è nata grazie all’opera di un gruppo di donne che, al fine di esprimere la propria religiosità in un’epoca che ben poco spazio lasciava al genere femminile, si mise a praticare l’arte della tessitura con un nuovo significato ed un nuovo obiettivo: produrre un oggetto che a prima vista può sembrare solo un piccolo pezzo di stoffa, ma che in realtà racchiude al suo interno secoli e secoli di religiosità.