In domo Foscari – Le elezioni

10 marzo 1423, Palazzo Ducale

Perché alcuni dicano di voler eleggere Messer Francesco Foscari io non so, poiché detto Ser Francesco Foscari diffonde menzogne e altre affermazioni senza fondamento, e si libra e si avventa come uno sparviero o un falcone. E se voi, Dio non voglia, lo farete doge, vi troverete presto in guerra; e chi ha diecimila ducati se ne ritroverà mille soltanto, e chi ha dieci case ne avrà solo una, e chi ha dieci vestiti, mantelli e camicie avrà difficoltà a trovarne una…”

Restate in silenzio, siamo riusciti a infilarci in una delle sale di Palazzo Ducale durante un momento estremamente importante: l’uomo che sta parlando si chiama Tommaso Mocenigo, ed è l’attuale doge della Serenissima, mentre quello che sta pronunciando è il suo testamento politico, frutto di ottant’anni di vita, di cui quasi dieci passati alla guida di Venezia. Di fronte al Mocenigo sta il governo della Repubblica, la Signoria (formata dai sei consiglieri ducali del Minor Consiglio e dai tre capi della Quarantìa), testimone di quello che in futuro sarà un importante documento per conoscere la prosperità di Venezia all’inizio del ‘400: a noi però non interessa quella parte del testamento, ma quella che abbiamo appena ascoltato, in cui il doge nomina un altro importante patrizio veneziano, Francesco Foscari.

Egli è uno dei più promettenti patrizi della Repubblica, con alle spalle una carriera formidabile: a ventisette anni è senatore, a trentuno membro del Consiglio dei Dieci e a quarantacinque procuratore di San Marco, la seconda carica più importante della Repubblica; ha pure ricoperto varie volte il ruolo di ambasciatore, oltre ad altre cariche minori. Questo ne farebbe un candidato perfetto al dogado, dopo il Mocenigo, dunque perché egli gli è così ostile? Non è nulla di personale, sia chiaro, si tratta di qualcosa di più profondo, legato alla politica della Repubblica: da un lato, il Mocenigo rappresenta la tradizionale politica isolazionistica veneziana, concentrata sul mantenimento della pace e sullo sviluppo dei commerci con l’Oriente; quella del Foscari è invece una politica nuova, espansionistica, spinta verso la terraferma, verso i confini con il ducato milanese di Filippo Maria Visconti. 

Due mondi opposti, due diversi modi di pensare la politica rappresentati quasi da due partiti veri e propri, all’interno delle istituzioni veneziane: e non manca molto perché questi due partiti si scontrino. Ascoltate bene il Mocenigo, mentre parla: la sua voce, per quanto forte e decisa, è la voce di un vecchio, che sente sulle sue spalle ottant’anni di fatiche, di imprese e di incarichi. Non ne ha davanti altri, è ormai giunto alla fine della sua strada. Morirà tra poche settimane, il 4 aprile, lasciando il campo all’elezione del suo successore.

Saranno elezioni, come vi anticipavo prima, molto combattute, e anticipate tra l’altro dalla soppressione dell’arengo, antico simbolo del Comune medioevale e vecchia assemblea un tempo deputata all’elezione del doge, la cui fine verrà decisa anche con il contributo del Foscari, al momento correttore della Promissione ducale. Allora spostiamoci nel tempo, e andiamo direttamente a quelle elezioni: tra i quarantuno elettori finali del doge, Francesco Foscari è il più giovane, con già alcuni figli, una moglie pronta a dargliene altri, e quindi il sospetto dei suoi colleghi che possa aspirare a un maggiore potere personale. Inoltre su di lui incombe l’anatema del suo predecessore, che costituisce quindi un ulteriore e importante fattore contrario alla sua possibile elezione. 

Il favorito è invece nel partito opposto: si chiama Pietro Loredan, ricopre al momento la carica di procuratore, ma è soprattutto un famoso generale, eroe della vittoria ottenuta a Gallipoli contro la flotta turca sette anni fa; è però proprio la sua fama ad affossarne la candidatura, perché Albano Badoer, del partito del Foscari, riesce a convincere i suoi colleghi che, dopotutto, la Repubblica non può ancora privarsi del suo comandante migliore. Eliminato il Loredan dai giochi, Francesco Foscari ha quasi la strada spianata: i nove voti che sembrava avere all’inizio sono aumentati e al decimo scrutinio, il 15 aprile 1423, i quarantuno lo eleggono doge.

È relativamente giovane, vi dicevo, non ha ancora cinquant’anni e davanti a sé lo aspettano probabilmente molti anni di governo: di questi, però, riparliamo tra due settimane. Per ora, lasciamo che il nuovo doge si goda il suo grande trionfo.

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