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Una delle maschere più famose e caratteristiche della commedia dell’arte è sicuramente Pantalone: il ricco e avaro mercante, emblema del ceto mercantile di Venezia, che vorrebbe sempre essere il più furbo di tutti ma che finisce con l’essere gabbato dall’Arlecchino di turno. L’origine del nome di questo personaggio è ignota; alcuni la rimandano ai pantaloni indossati dalla maschera insieme a una giubba e alla maschera dal naso aquilino, mentre altri sostengono che il nome proverrebbe dall’espressione “pianta leoni”, nomignolo che veniva affibbiato a tutti coloro che avevano fatto fortuna “piantando le bandiere di San Marco” (ovvero fondando colonie) in giro per il Mediterraneo.
Esiste però un’altra possibile origine, che fa riferimento al nome di San Pantaleone, venerato a Venezia come San Pantalon in una chiesa poco dopo l’attuale auditorium universitario di Santa Margherita. Questi sarebbe stato un importante medico di Nicomedia, così bravo da diventare il medico personale dell’imperatore Galerio, uno dei membri della tetrarchia istituita da Diocleziano. Questi, dopo aver scoperto la conversione del medico al cristianesimo, cercò prima di farlo apostatare e poi, bollando le sue guarigioni come atti di magia, lo fece decapitare. Ben presto però il suo culto si sparse nel Mediterraneo e molte città affermarono di possedere sue reliquie: tra queste ci fu Venezia, che sin dall’epoca medievale conserva un braccio di questo santo, ora patrono dei medici e delle ostetriche.
Proprio nel Medioevo fu fondata la chiesa di San Pantalon, che però venne notevolmente modificata intorno alla fine del Settecento: l’assetto venne girato di novanta gradi e la facciata venne spostata da est a sud, dove si trova tuttora, per essere oggetto di un eventuale rifacimento secondo lo stile barocco, che però non avvenne mai.
Arrivando da Campo Santa Margherita, infatti, si scorge solo una modesta struttura in mattoni rossi senza alcuna decorazione di sorta. Come sempre a Venezia, tuttavia, bisogna stare attenti a non farsi ingannare dall’apparenza e provare a entrare anche in edifici che non ispirano molto, perché è proprio lì che molto spesso si possono ammirare degli autentici capolavori. Dopo essere entrati in questa chiesa, se si alza la testa lo spettacolo che si può vedere è imponente: 443 metri quadrati di dipinti, 40 tele unite tra loro, centinaia e centinaia di figure ognuna diversa dall’altra che vanno a formare il “Martirio e Gloria di San Pantaleone”, il più grande dipinto su tela mai realizzato.
Non stupisce sapere che l’autore di questo capolavoro, Giovanni Antonio Fiumani, fosse uno scenografo, visti lo slancio delle figure, la tensione mistica degli angeli, la complessità della finta architettura e il verticalismo che il soffitto sfondato riesce a creare. Era infatti necessario stupire i fedeli e dissipare in loro ogni possibile dubbio riguardo la Chiesa Cattolica, contro cui molte voci si erano levate da quel giorno del 1517 a Wittemberg. La Chiesa doveva sembrare, attraverso le opere commissionate, la fonte di ogni bellezza, il ricettacolo di ogni gloria, e troppo potente per essere passibile di qualsivoglia critica. Ma di questo parleremo di più quando visiteremo la chiesa di San Moisè.
Descrivere ogni singola scena del dipinto è impossibile e inutile, visto che solo una veduta complessiva può far veramente capire la potenza del quadro; mi limiterò quindi prima di tutto ad invitarvi ad andare a visitare questo capolavoro (le cui scene possono essere individuate dalle descrizioni presenti nella chiesa) e poi a concentrarmi su un altro aspetto molto importante della religiosità veneziana, qui ben visibile: le reliquie.
Quello delle reliquie divenne nel Medioevo un mercato floridissimo per le potenzialità che questi oggetti avevano: erano fonte di prestigio per chi le possedeva, arricchivano le chiese che le custodivano attraverso le donazioni dei pellegrini e fornivano, almeno secondo la logica dell’epoca, un aiuto alla popolazione nei momenti difficili e agli eserciti nelle imprese militari, assicurando l’appoggio di Cristo, della Madonna o di un santo. Le reliquie potevano essere di varie tipologie, come quelle legate alla Passione di Gesù (chiodi, spine della corona, pezzi della croce), quelle che rimandavano alla figura di Maria (pezzi della veste, ampolle con il latte del suo seno) e quelle inerenti alla vita di un santo o di una santa (pezzi del corpo, oggetti terreni a loro appartenuti).
Venezia divenne presto un centro fondamentale di questo commercio e del business legato ai viaggi che i pellegrini compivano per vedere questi oggetti miracolosi e riceverne protezione spirituale, a cominciare dal corpo di San Marco, trafugato da Alessandria, e da tutte le reliquie che l’esercito del Doge portò in città dopo le crociate. Durante la prima i Veneziani approdarono a Myra, in Turchia, e prelevarono alcuni resti ossei appartenuti a San Niccolò e tuttora conservati nell’omonima chiesa al Lido, mentre nella quarta, grazie al sacco di Costantinopoli, arrivò a Venezia una quantità immensa di questi oggetti sacri, tra cui spicca il presunto corpo di Santa Lucia.
Ma perché parlare di reliquie per l’epoca medioevale mentre si descrive la chiesa di San Pantalon a Venezia? Perché in questo luogo è stata custodita fino a qualche anno fa, oltre al braccio di San Pantalon, un chiodo della crocifissione arrivato a Venezia seconda modalità a dir poco particolari e raccontate nel ‘500 dalla badessa suor Maria Felice della Vecchia. Ella racconta che in una notte del 1262 un pellegrino bussò alla porta del suo convento veneziano e consegnò alla madre portinaia un cofanetto che, disse, le monache non dovevano mostrare a nessuno che non portasse un anello come quello che il viandante recava al dito. Gli anni passarono, ma nessuno si presentò a reclamare quella scatola che tanto incuriosiva le suore. Quando alla fine lo aprirono, dopo aver constatato che vi erano contenuti tre scrigni uno dentro l’altro, trovarono un chiodo e una pergamena che spiegava come quello fosse uno dei chiodi della crocifissione (in particolare quello usato per inchiodare i piedi del Cristo) e come il misterioso pellegrino non fosse altri che Luigi IX re di Francia, morto durante la sua seconda crociata. Venerato nel monastero, il sacro chiodo fu poi trasportato nel 1830 a San Pantalon, da cui è stato trafugato pochi anni fa.
Questa, certo, è una storia a cui è difficile credere, ma ci porta a fare delle considerazioni su quanti segreti non noti ai più siano nascosti nelle chiese di Venezia, e su quanto le reliquie fossero fondamentali nella vita religiosa del Medioevo e dell’Età Moderna: tanto improtanti da essere oggetto di fantasiose leggende come questa, da diventare la maggiore fonte di lucro per alcune istituzioni, da essere al centro di un mercato internazionale e, infine, da essere uno delle realtà contro cui si scaglierà Martin Lutero, giovane frate agostiniano venuto a Roma per ammirarne gli esempi più famosi.