A Spasso per Bangkok

‘Finirai per trovarla la Via… se prima hai il coraggio di perderti.’
“Un altro giro di giostra”, T. Terzani

Ci sono tanti modi di viaggiare: lo si può fare da soli o in compagnia, in luoghi vicini o molto lontani, per lunghi mesi o pochi giorni. Ma, in ogni caso, un viaggio richiede sempre la voglia (e il coraggio) di percorrere una via sconosciuta che ci porterà fuori dal nostro ordinario per aprirci a nuovi orizzonti.

Questa volta, questa via mi avrebbe portato a Bangkok, capitale della Tailandia, per  svolgere un tirocinio. Qui, non solo avrei avuto l’opportunità di acquisire delle competenze e di fare nuove amicizie, ma anche di svelare le diverse sfaccettature di questa terra lontana e ancora troppo poco conosciuta in Occidente.

Messi in valigia sogni e paure, partii verso l’Oriente. Una volta atterrata, seguendo minuziosamente i programmi sviluppati durante mesi di preparativi, mi diressi dritta dritta verso la stazione della ferrovia sopraelevata che mi avrebbe portato nel centro di Bangkok e nei pressi dell’ostello in cui avrei alloggiato per i primi giorni. Dopo circa mezz’ora di viaggio ero arrivata alla mia fermata: come indicato sulla mappa del mio smartphone, l’ostello non doveva essere lontano.

Ma non appena misi piede fuori dalla stazione, fui sommersa (come speravo) da mille colori, odori e rumori che mai avevo incontrato prima. Incuriosita e affascinata, cominciai a camminare.

Fra commercio, persone e suoni, le strade di Bangkok sono il cuore pulsante della città e diventano la scenografia della vita quotidiana dei suo abitanti. Intorno a me, ogni piccola cosa solleticava la mia curiosità, anche quei gesti che, come avrei capito qualche giorno dopo, qui erano parte della vita di ogni giorno: una donna anziana che cucina dei noodle e del pollo ai bordi della strada, un bambino che gioca con lo smartphone senza curarsi troppo di chi gli sta intorno, un uomo che spinge un pesante carretto pieno di frutti esotici e una ragazza che, maliziosamente, sorseggia un matcha tea ghiacciato scendendo le scale della stazione.

Tutto mi appariva nuovo e ammaliante, grande e misterioso. Ma sfortunatamente tutta questa magia scomparve all’improvviso. Non appena realizzai che presto sarebbe stato buio ed io ero sola per le strade di una grande metropoli asiatica, fui presa da un sussulto: mi ero lasciata trasportare da tutte quelle sensazioni e, senza  accorgermene, avevo camminato per molto più tempo del previsto. Ora non sapevo proprio dove fossi o dove stessi andando. In che direzione sarà stato il mio ostello? Destra o sinistra? Dovevo continuare a camminare in quella direzione o dare retta a uno dei tanti autisti di tuk-tuk che ai bordi della strada mi offrivano i loro servizi?

Un po’ disorientata e affaticata dal peso dei bagagli, decisi che l’idea migliore era quella di prendersi una pausa e fermarsi in uno dei tanti piccoli ristoranti che costellavano le strade di Bangkok. Mi guardai intorno, ma la scelta non era facile: da ogni parte arrivavano piatti e profumi invitanti. Alla fine, però, la mia scelta ricadde su un piccolo ristorante sull’angolo della strada in cui una signora anziana stava cucinando. Mi avvicinai e una volta entrata capii che quel ‘ristorante’ non era solo un luogo pubblico, ma era anche il garage della famiglia che lo gestiva e dava accesso diretto al salotto della loro casa, in cui tre bambini si rotolavano sul pavimento mentre guardavano la televisione. Sorpresa e incuriosita, decisi di restare.

Subito fui avvicinata dall’anziana signora che, sorridendo, cominciò a parlare in thai. In inglese, cercai di spiegarle che non parlavo la sua lingua, ma visto che ogni sforzo era vano, sorrisi e, ingenuamente, dissi: “Noodles!”, ovvero l’unico cibo asiatico di cui conoscevo il nome e la cui pronuncia, probabilmente, rimaneva invariata. Fortunatamente funzionò: la signora, dopo avermi fatto appoggiare i bagagli nel salottino, sgranò gli occhi e mi condusse verso il suo cucinino che dava sulla strada per farmi scegliere un condimento. Non sapendo bene cosa scegliere, puntai il dito sulla ciotola al centro, in cui c’erano dei funghi e delle altre verdure. A quel punto, mi fece cenno di mettermi a sedere in uno dei piccoli tavoli appoggiati al muro del garage mente lei cucinava.

In pochi minuti, cucinò i noodles in una vecchia pentola e aggiunse il condimento che avevo scelto e del peperoncino. Poi, sempre con un grande sorriso mi porse il piatto fumante facendo un piccolo inchino, come è tradizione fare qui. Nonostante all’inizio fossi un po’ scettica in quanto non sapevo cosa avessi ordinato, devo ammettere che si trattò solo del primo di una lunga serie di ottimi pasti che ho consumato in Tailandia. Affamata, mangiai il tutto sotto gli occhi attenti della donna e degli altri ospiti, che si comportavano come amici di famiglia.

Alcuni di loro, essendo più giovani,  parlavano un po’ d’inglese e, incuriositi, mi chiesero da dove venissi e dove stessi andando. Anche se un po’ timorosa, dissi loro che ero italiana e chiesi se sapessero dove si trovava la viuzza (qui chiamate soi) che stavo cercando. Non solo la conoscevano, ma mi aiutarono anche a capire in che direzione dovevo andare, visto che il mio smartphone, in mancanza d rete Wi-Fi, non riusciva a localizzarmi.

Dopo aver pagato e ringraziato, più a gesti che a parole, seguii le loro indicazioni e mi diressi verso l’ostello, prestando attenzione a non lasciarmi distrarre troppo da tutto ciò che mi circondava. O almeno, non in quel momento. Capii che non solo non ero troppo lontana come pensavo, ma che, per raggiungere qual ristorantino, ero anche dovuta passare di fianco alla viuzza che stavo cercando. 

Mentre camminavo, ripensai al motivo per cui avevo cominciato a camminare senza meta una volta uscita dalla stazione: perché non mi ero diretta subito verso l’ostello?
La verità è che quei sorrisi gentili e quei frammenti di vita erano stati degli ottimi motivi.
Certo, non avevo scelto la strada più facile, ma ce l’avevo fatta.

Mi ero persa. Avevo trovato la Via.

di Deborah Scaggion

 

 

 

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