“How to Be Both”: un genere irrilevante

How to be both: come essere entrambi? È questa la domanda che ci ha spinti a creare questa serie di articoli. In un momento storico in cui il dialogo tra generi sembra al suo picco ma inizia anche a sembrare sempre meno un dialogo, la redazione ha deciso di affrontare il tema del rapporto tra maschile e femminile cercando di trovare i casi in cui i due si incontrano, si mescolano, si (con)fondono. Il nostro percorso ci porterà attraverso la letteratura, la cultura classica, la danza, le fiabe e i manga, la contemporaneità e il passato. 
tempo di lettura: 5 minuti

smith

Pochi titoli, secondo chi scrive, esemplificano le difficoltà traduttologiche quanto How to Be Both, titolo del romanzo del 2015 della scrittrice scozzese Ali Smith. Reso dignitosamente in italiano con L’una e l’altra (traduzione di Francesca Aceto per SUR, 2016), il titolo originale è infatti di ben più ampia interpretazione. “Both“, in inglese, è infatti scevro di chiare attribuzioni di genere grammaticale. Ciò permette al titolo di risultare, a prima vista, più ambiguo, facendo riferimento, per menzionare solo alcuni esempi, non soltanto all’essere sia una cosa sia l’altra, sia una donna sia l’altra, ma anche all’essere a un tempo in vita e non, materiale e immateriale, presente e non, soprannaturale e banale, prosa e poesia, arte visiva e letteratura, realtà e finzione. Tutte diramazioni che “L’una e l’altra” inevitabilmente riduce, a prima vista, a una questione legata a un femminile.

Data la direzione di questa rubrica, si è deciso di concentrarsi proprio sulla tematica del genere all’interno di questo romanzo, anche se il genere sembra uscire irrilevante dalle pagine di Ali Smith. Il senso del libro, come indica chiaramente il titolo, sembra fondarsi proprio sulla capacità di essere both a un tempo, sulla capacità di vedere che l’esistenza, sebbene apparentemente costituita da opzioni aut… aut, è il risultato di uno stratificarsi che sfuma le definizioni nette. Come ha sostenuto la stessa autrice in un’intervista per il Guardian: “si tratta della forma artistica dell’affresco […] Sotto la ‘pelle’ dell’affresco vero e proprio c’è la prima versione di quest’ultimo. C’è dunque un affresco lì, sulla parete; lo guardiamo, lo vediamo dritto di fronte a noi. Al di sotto vi è però un’altra versione della storia, che potrebbe essere legata alla superficie o meno. Ed entrambe le versioni sono di fronte ai nostri occhi, ma se ne può vedere solo una, o se ne vede una sola per prima. Quindi [il mio libro è] sulla understory, la storia ‘al di sotto’. Ho l’impressione che tutte le storie viaggino con una propria understory”. Come la narrativa in generale, così anche le narrative individuali sembrano avere, nel romanzo, la stessa struttura fondamentale. Vi possono essere parti di noi o della nostra esperienza che paiono irrilevanti a come ci presentiamo al mondo, quando invece vi è sempre un rapporto tra le diverse versioni che ci compongono e quella di superficie che mostriamo a un primo sguardo. E il significato ultimo è nel rapporto tra questa understory e la nostra story, non tanto in distinzioni binarie come quella tra uomo e donna. In questo senso, il personaggio a un tempo storico e immaginato di Francesco del Cossa costituisce forse l’esempio migliore dell’essere both. Vivo e morto, uomo e donna, materiale e immateriale, artista di pregio o non sufficientemente bravo da essere pagato adeguatamente, autodidatta e allievo dei grandi (l’Alberti, per esempio), tradizionale e immaginifico, Francesco narra orgogliosamente in prima persona, dimostrando come l’ambivalente stratificazione sia la cifra costitutiva di una vita piena.

La prima persona narrativa di Francesco diventa, in inglese, chiara dimostrazione del fatto che la tradizionale distinzione tra maschile e femminile non abbia poi un significato così rilevante. L’io narrante, combinato agli aggettivi inglesi, privi di genere grammaticale, immerge infatti il lettore nella understory di Francesco, che risulta così sempre ambivalente e coglie di sorpresa il lettore nei suoi preconcetti grazie agli interventi dei personaggi circostanti, per cui queste distinzioni contano, che portano all’attenzione di chi legge alcuni particolari. Ciò che importa davvero, però, è il fatto che a Francesco, di queste distinzioni, non importi. Il suo uso della prima persona nel modo appena descritto ne è un chiaro esempio: nel rapporto tra la sua story e la sua understory, maschile e femminile sono un unicum in costante dialogo che lo rendono sempre di nuovo se stesso. Questo approccio è reso possibile, probabilmente, dalla precoce lucidità di visione di Francesco, che lo rende capace di prendere decisioni per altri molto difficili con serenità e di vivere con coerenza. Questa lucidità, però, non si limita all’autoconsapevolezza, ma si estende anche al mondo esterno. Come l’identità non è fissata da distinzioni manichee, per Francesco è chiaro che ogni cosa abbia “essenza” e che essere “a painter of things” significhi essere capaci di sentire quest’essenza, una capacità empatica che arriva alla consapevolezza che, in realtà,

“nobody’s the slightest idea who we are, or who we were, not even ourselves
-except, that is, in the glimmer of a moment of fair business between strangers, or the nod of knowing and agreement between friends.
Other than these, we go out anonymous into the insect air and all we are is the dust of colour, brief engineering of wings towards a glint of light on a blade of grass or a leaf in a summer dark.”

Ogni cosa è in realtà anonima, non determinata da concetti inamovibili, ma costituita invece di singoli istanti di significato potenzialmente traducibili in forma, “polvere di colore” che può concretizzarsi in infinite possibilità e ancora cambiare. È forte di questa consapevolezza che Francesco può vivere così pienamente e coerentemente la propria esistenza.

A dimostrazione del fatto che la sua vita di intersezione sia consapevolmente libera e piena vi è l’episodio in cui egli sceglie lucidamente non soltanto i propri abiti, ma anche il proprio nome, una nuova identità che si compone di maschile e femminile (la combinazione sesso-abbigliamento), di passato (per esempio gli echi del nome di sua madre nel suo nuovo nome) e ciò che non lo è, presente (l’atto i rinascita in sé) e futuro (“I would paint my own walls”). L’episodio è rappresentativo proprio del fatto che le opzioni non si escludono a vicenda, ma che, anzi, ciò che è stato cambiato o cui sembra di aver rinunciato rimane come strato sottostante dell’affresco, apparentemente slegato dalla versione finale ma in realtà parte del percorso che vi ha condotto, e quindi a essa indispensabile.

“Girl : do you hear me?
cause although it seemed to be the end of the world to me –
it wasn’t.
There was a lot more world : cause roads that look set to take you in one direction will sometimes twist back on themselves without ever seeming anything other than straight, and [he] and I were soon friends again : no time at all : many things get forgiven in the course of a life : nothing is finished or unchangeable expect death and even death will bend a little if what you tell of it is told right”.

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