Jennifer Egan (USA) – INCROCI DI CIVILTÀ 2018

Jennifer Egan è stata ospite di Verso Incroci, una serie di incontri che ha anticipato il festival letterario Incroci di Civiltà, dove ha conversato con la professoressa Pia Masiero, direttrice del Festival.

Parafrasando il titolo dell’ultimo show di David Letterman, Jennifer Egan è un’autrice che non ha bisogno di presentazioni. Nata a Chicago nel 1962, dopo il divorzio dei genitori si trasferisce a San Francisco, dove stando ad alcuni rumors ha anche intrattenuto una relazione con un appassionato di computer che poi sarebbe diventato anche piuttosto famoso, e che di nome faceva Steve Jobs (pare anche che una sera Jobs si sia presentato alla porta della Egan con un Macntosh nuovo di zecca, e l’abbia installato personalmente nella di lei camera).

Gossip a parte, la Egan frequenta dapprima la University of Pennsylvania, e in seguito il St. John’s College di Cambridge. Il suo primo romanzo, The Invisible Circus, viene trasposto in un film con Cameron Diaz nel 2001, ma il suo maggiore successo al momento rimane A Visit from the Goon Squad (Il tempo è un bastardo), con cui nel 2011 vince il Premio Pulitzer, il National Book Critics Circle Award for Fiction e il LA Times Book Prize. L’ambientazione del romanzo è proprio quella della città sulla baia, dove i due protagonisti – Bennie e Sasha, un ex-musicista convertitosi a produttore musicale e la sua assistente affetta da cleptomania – si muovono sullo sfondo della scena post-punk anni ’80. È la musica infatti il fil rouge che unisce i vari personaggi, dai due protagonisti fino a Stephanie, l’ex-moglie di Bennie, ora sposata con Scotty (che naturalmente è un amico di Bennie) e impegnata a riportare in auge Bosco, un leggendario chitarrista ormai in declino. Come è già si può intuire, tutti i personaggi sono legati tra loro, e la musica, prima parte integrante della vita dei personaggi e diventata ora soltanto un elemento di sfondo, serve anche da analogia per i cambiamenti e lo svendersi a cui prima o poi tutti loro sono stati costretti. Come da titolo, è infatti il tempo il grande protagonista del romanzo, il suo perenne scorrere che accompagna le degenerazioni dello star- system; in un passaggio a mio parere emblematico, la Egan scrive:

C’è ancora tutto: la piscina con le piastrelle portoghesi azzurre e gialle, l’acqua che zampilla come una risata lungo un muro di pietra nera. La casa è identica, però silenziosa. Quel silenzio non ha senso. Gas nervino? Overdose collettiva? Una retata?, mi domando, mentre seguiamo una domestica lungo una curva di stanze moquettate, con la piscina che ammicca da ogni finestra. Cos’altro potrebbe aver messo fine alle feste che non finivano mai?

Niente di tutto questo. È che sono passati vent’anni.

Ciò che però davvero contraddistingue il romanzo, e che lo distanzia da altre opere post-/postmoderniste talvolta concepite come meri esercizi di stile, è la sua stessa struttura. Il tempo è un bastardo si presenta infatti come una sorta di concept album richiamando quindi il secondo macrotema, con temi e personaggi che vengono ripresi col passare del tempo e la cui profondità si arricchisce con ogni apparizione: è dunque possibile godersi ogni singola storia come una narrazione a sé stante, ma che se legata alle altre lascia emergere una meditazione di stampo proustiano sul tempo perduto.

di Marco Galzignato

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