Sergej Gandlevskij (Russia) – INCROCI DI CIVILTÀ 2018

Sergej Markovič Gandlevskij appartiene al novero di poeti russi contemporanei individuabili in quella che Annalisa Allevi, nell’antologia Poesia russa oggi da lei curata, ha definito “generazione dei cinquantenni” (adesso sessantenni; per citare la sola componente moscovita: M. Ajzenberg, T. Kibirov, O. Sedakova, E. Schwarz, S. Stratanovskij, E. Ušakova). Nasce infatti nel 1952 a Mosca, dove completa gli studi presso la Facoltà di Lettere dell’Università statale e, con Aleksandr Soprovskij ed altri studenti della facoltà, costituisce il gruppo Moskovskoe Vremja, che nei quattro numeri dell’omonima rivista di pubblicazione clandestina raccoglie poesie ed articoli critici. Tale momento di aggregazione è conseguenza del bisogno di ritrovare una voce, individuale ancor prima che collettiva, maturato in seno ad una generazione – forse la prima – nata e cresciuta nel segno di un’Unione Sovietica tentacolare e pervasiva, rispetto alla quale è stata ormai assimilata dai letterati la pratica dell’autocensura.

Nel contesto della Russia brežneviana, pur alla luce del decennio chruščëviano con le sue modeste e temporanee aperture ad occidente grazie a cui lo stesso Gandlevskij avrà la possibilità di pubblicare alcune opere in tamizdat (“pubblicazione all’estero”, da tam, “lì”, izdat’/izdatel’stvo, “pubblicare/casa editrice”), molti intellettuali non allineati del tempo sono ridotti al silenzio e relegati ai margini della società, autorizzati a svolgere solo lavori umili ed il più possibile lontani da ogni impegno civile di sorta ma a un tempo “ricompensati” da una certa libertà personale. È questo il caso dello stesso Gandlevskij, che solo in epoca di perestrojka pubblica in patria la raccolta di poesie Rasskaz (“Racconto”, 1989) e già in un componimento datato 1986, Mne tridcat’, a tebe semnadcat’ let (“Ho trent’anni e tu ne hai diciassette”), rivendica l’appartenenza alla “generazione dei guardiani”, avendo svolto questo mestiere: la quiete di un cantiere al calar della notte, al pari di una vita vissuta per ampi tratti nel silenzio, è occasione di rivolgimento delle proprie riflessioni verso l’interno, alla scoperta di un’intima vitalità che rimane gioiosa anche nel contemplare tanto le piccole tragedie personali quanto i grandi interrogativi dell’umanità, la perdita e la morte, il rapporto con la memoria personale e collettiva. In tale ottica, quel Venedikt Vasil’evič Erofeev una quindicina d’anni più anziano e considerato precursore del postmodernismo, che si era dato a lavori ugualmente defilati e fu sostanzialmente homo unius libri con il “poema ferroviario” Moskva-Petuški, rappresenta invece la sola pars destruens di questo sistema, poiché tanto lui quanto la sua controparte letteraria (che sostanzialmente coincidono) negano di fatto se stessi e il mondo, preferendo un perenne stordimento e annebbiamento dei sensi indotto dall’alcol e inteso come fuga totale e definitiva, senza un conseguente momento positivo.

La poesia di Gandlevskij è profondamente radicata nel proprio contesto di riferimento, e ciò appare evidente anche solo ad una prima lettura dei suoi versi: essi sono infarciti di realia tratti dalla società sovietica, dalle pratiche quotidiane alla terminologia più o meno gergale, che in alcuni casi risultano addirittura invecchiati ed incomprensibili anche ad un lettore russo contemporaneo. Paradossalmente più comprensibile ed immediato, ma non per questo banale, è il rapporto con la cultura dei due secoli di letteratura precedenti: se lo stile a tratti “colloquiale”, che dota di una voce propria e riconoscibile l’io lirico, lo può da un lato avvicinare alla poesia sociale di Nekrasov, egli dimostra prima di tutto una piena conoscenza, consapevolezza e padronanza della lingua russa in tutti i suoi registri, delle forme metriche della poesia nazionale e della loro aura semantica; non prova in alcun modo a celare al lettore i propri modelli (Puškin, Lermontov, le Avanguardie di inizio XX secolo) e vi instaura piuttosto un onesto dialogo, li chiama per nome e cita, anche letteralmente, inserendoli a volte in un gioco metaletterario utile a definire e rappresentare se stesso e le proprie convinzioni circa la vita e la letteratura.

Sergej Gandlevskij non è ad ogni modo solo poeta, bensì letterato a tutto tondo: a fronte di varie raccolte di poesie apparse in epoca post-sovietica con ottimi riscontri della critica, tra cui Prazdnik (“Festa”, 1995), Konspekt (“Appunti”, 1999) e Najti ochotnika (“Trovare il cacciatore”, 2002, in cui ai versi si affiancano recensioni e saggi),  ha pubblicato il racconto Trepanacija čerepa (“La trapanazione del cranio”, 1996), le raccolte di saggi Poetičeskaja kuchnja (“La cucina poetica”, 1998) e Strannye sbliženija (“Strane convergenze”, 2004), il romanzo <NRZB> (2002) e la pièce teatrale Čtenie (“Lettura”, 2000).

Ancor prima di affrontare la lettura delle relativamente poche poesie di Gandlevskij tradotte in italiano – e tale penuria potrebbe avere una ragion d’essere nelle difficoltà di traduzione e resa di una lingua che, come già detto, si appoggia pesantemente ad un sostrato culturale e sociale in buona parte estraneo al lettore italiano medio –, vorrei consigliare la lettura del suo saggio “L’utilità della poesia”, incluso in Najti ochotnika e disponibile nella traduzione di Annelisa Alleva (da cui sono tratte le citazioni che seguono). Come il titolo suggerisce, si tratta di una riflessione per niente banale sulla natura stessa della poesia, con “aspirazioni finali, dirette, […] confuse ed enigmatiche” ed un’esistenza che si giustifica da sé, rientrando solo incidentalmente e quasi casualmente, peraltro malvolentieri, in calcoli di natura utilitaristica; la poesia plasmata dall’autore, che vi rappresenta il suo “io lirico” e da esso è a sua volta plasmato, “disciplinato”; la poesia che esalta i colori e le sfumature di mondi che sono stati, sono e sarebbero potuti essere, e nel farlo è atto di “riconoscenza disinteressata al mondo perché è stato creato”.

Sergej Gandlevskij sarà ospite a Incroci di Civiltà insieme a, Kathleen Jamie e Mohamed Moksidi venerdì 6 Aprile alle 9:30 (Auditorium Santa Margherita). Gli autori converseranno con le traduttrici Elisa Baglioni e Giorgia Sensi e con Simone Sibilo. Per maggiori informazioni sull’evento, potete visitare la pagina web di Incroci.

Per approfondire:

Alcune traduzioni:

  • La nuova poesia russa, a cura di P. Galvagni (Crocetti, 2003)
  • Poeti russi oggi, a cura di A. Alleva (Scheiwiller, 2008)
  • S. Gandlevskij, La ruggine e il giallo, antologia a cura di C. Scandura (Gattomerlino, 2014)
  • S. Gandlevskij, Festa e altre poesie, a cura di E. Baglioni (Passigli, 2017)

Bibliografia:

  • Poeti russi oggi, a cura di A. Alleva (Scheiwiller, 2008)
  • S. Gandlevskij, Festa e altre poesie, a cura di E. Baglioni (Passigli, 2017)
  • Кучина, Т. Г. (2014). Мотивы лирики М. Ю. Лермонтова в русской поэзии рубежа XX-XXI вв. Ярославский педагогический вестник, 1 (2), 199-202.
  • Штраус, А. В. (2004). Проза жизни и поэзия: случай Сергея Гандлевского. Филологический класс, (11), 101-104.

Sitografia: 

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