Tutta la città di Los Angeles è ormai paralizzata dal traffico, e la nostra ultima recensione chiude il tour de force di avvicinamento alla notte degli Oscar. È quindi il turno di Darkest Hour, diretto da Joe Wright, uscito all’inizio di settembre.
La Trama: 4,5/5
Winston Churchill è uno dei personaggi più iconici del Novecento. La vulgata anglosassone lo dipinge come un uomo risoluto, un politico fuori dall’ordinario, predisposto all’azione, in grado di trascinare una Nazione alla vittoria nella sua ora più buia.
Quello che la vulgata non dice, però, è stato sapientemente raccolto da Joe Wright, che è riuscito a restituirci un film che non tocca quasi mai le corde del patriottismo e che indaga con coscienza la psicologia di un uomo solo al comando, costretto dalla politica e dalla guerra a tenere sulle spalle il peso di tutto l’emisfero occidentale.
Il film ripercorre grosso modo le terribili settimane in cui la Gran Bretagna, da sola contro il nemico nazista, riuscì a salvare il grosso del proprio esercito di terra (300mila unità confinate a Dunkerque) unendo il popolo, la monarchia e la politica in un unico fronte di resistenza.
Più di una volta il film arriva sino al ciglio del puro pathos, ma non scade mai nel banale o nel romantico. Un puro equilibrismo cinematografico che lo rende incredibilmente scoppiettante. La pellicola ci restituisce infatti l’Inghilterra così come fu: titubante, debole, poco consapevole delle proprie forze. E lo fa meglio di un trattato sulla storia militare britannica, meglio del “Secolo breve” di Hobsbawm.
La Regia: 4/5
Il film di Wright può essere definito bozzettistico. Si riconosce una grande cura – da parte del regista e degli sceneggiatori – nella ricostruzione storica dei personaggi e degli ambienti. Gary Oldman, che ha interpretato Winston Churchill, ha passato oltre 200 ore nella sala trucchi; gli sceneggiatori, invece, hanno scritto quasi tutti i dialoghi basandosi su fonti storiche e aneddoti ricavati dalle memorie di chi visse realmente l’ora più buia.
Nonostante il film sia – ovviamente – calibrato sull’orizzonte culturale anglosassone, non ci è difficile cogliere gli aspetti meno noti della personalità di Churchill, il quale, per tutta la prima parte di film, riesce ad esserci persino detestabile, così come lo fu – leggere per credere – nei primi anni della sua presidenza. Un uomo burbero, incapace di scendere a compromessi; una vera e propria sibilla del Novecento, mai ascoltato dai suoi contemporanei.
Ma un ottimo lavoro è stato fatto anche nel montaggio e nella fotografia. Molto spesso si ha una vera e propria esperienza cromatica del film: il nero e il rosso sono le tinte dominanti, e ci sono alcune inquadrature d’antologia che ripercorrono la storia stessa del cinema (le lenti degli occhiali di Churchill che distorcono il primo piano, la costruzione delle sale, la simmetria di certe scene). Inoltre, la scena della catabasi nella metropolitana (dove Churchill, da vero nobile, non aveva mai messo piede…) è una cosa che raramente rivedremo in una pellicola hollywoodiana.
Abbiamo davanti un film ciclico: ci sono ben tre riprese aeree, che testimoniano i momenti decisivi della narrazione (il parlamento che chiede le dimissioni di Chamberlain, in apertura di film; l’ufficiale britannico di stanza a Calais che apprende di aver ricevuto l’ordine di una resistenza suicida; Churchill che scruta i cieli sopra Londra e si imbatte in uno stormo di aerei nel cuore della notte). Ma anche riprese a scorrimento laterale, che sono un unicum di questi tempi. Joe Wright ha ampiamente dimostrato di poter dire la sua persino in un film storico, dove, almeno teoricamente, la mano del regista dovrebbe passare in secondo piano.
Il Cast: 5/5
Il film è dominato dall’imponente performance di Gary Oldman, che si è calato nella parte di Churchill con una precisione storica che probabilmente rimarrà ineguagliata. Negli ultimi anni abbiamo assistito a molti Churchill, nel mondo del cinema (ad esempio in The Crown, serie televisiva sulla vita della Regina Elisabetta); ma mai nessuno è arrivato a incarnare così bene le complessità psicologiche e biografiche di un uomo che fu tutto tranne che semplice.
Il Churchill di Gary Oldman non è mai banale; abbiamo davanti a noi un serio candidato al Premio Oscar come migliore attore protagonista. Egli ha riprodotto fedelmente persino i tic linguistici del vecchio statista inglese; qualsiasi storico potrebbe complimentarsi per la precisione con cui la figura emerge nella pellicola. Di conseguenza, tutti gli altri attori ne vengono quasi migliorati per riflesso. Uno dei personaggi più interessanti è sicuramente Lord Halifax, esponente della british upper class che cercò sino all’ultimo di opporsi alla guerra; a suo modo affascinante anche Neville Chamberlain, ex primo ministro, che è un personaggio che si determina nell’assenza; tutte le sue decisioni non vengono prese a parole, ma a gesti. e questo lo rende il perfetto contraltare di Churchill, che è invece uomo di grandi orazioni.
Il massimo voto per il cast è dunque determinato dalla piramide di attori che dipendono da Gary Oldman e rendono incredibilmente efficace questo film.
Conclusione
La pellicola non scade mai nel sentimentalismo; il pathos è genuino, i silenzi desolanti funzionano a meraviglia. Ci sono alcune scene memorabili che non scompariranno dalla nostra memoria; Darkest Hour è un invito alla coerenza, tanto in politica quanto nella vita. Perché Gary Oldman ha impersonato (a meraviglia) un uomo che, sino a sessant’anni, non aveva fatto che pagare dazio per la propria coerenza, e che poi si riscattò proprio quando nessuno aveva il coraggio di prendere la situazione in mano.
Darkest Hour esalta lo storico ma anche lo spettatore comune. La precisione dei dialoghi (molte delle parole che Churchill pronuncia sono registrate nei verbali dei vari organi di potere d’Inghilterra) danno un tocco genuino alla ricostruzione. La pellicola si colloca agli antipodi di Dunkirk, che pure tratta – grosso modo – gli stessi eventi, dimostrando come i tentacoli del cinema possano davvero sorprenderci di continuo.
Complimenti dunque a Joe Wright, e soprattutto un bravo gridato da tutta la platea per Gary Oldman, che ci ha probabilmente regalato la performance migliore della sua vita.