Un limbo tra “aldiquà” e “aldilà”: ecco come Yu Hua, scrittore contemporaneo cinese, decide di raccontare la Cina di oggi ne Il settimo giorno. Lasciato il mondo terreno, Yang Fei si ritrova nel “limbo” dei morti senza sepoltura, persone senza una tomba, dimenticate dai vivi. Nell’arco di sette giorni (in cinese 七 qi, omofono di 起 “sorgere” e 气 “essenza vitale”), Yang Fei ascolta le storie di vita e di morte di vari personaggi: è proprio questo l’espediente narrativo che permette all’autore di evidenziare con una tecnica diretta ed efficace le contraddizioni di una civiltà in costante sviluppo e cambiamento ma pur sempre legata alla tradizione.
Yu Hua non si esime dal riprendere in chiave romanzesca gravi casi di cronaca a partire dalle demolizioni forzate di aree residenziali fino al traffico di organi e agli innumerevoli suicidi. Troviamo quindi i genitori di una bambina rimasti seppelliti sotto le macerie del loro stesso appartamento oppure un giovane ragazzo che per acquistare una tomba alla sua fidanzata suicida decide di vendere un rene al mercato degli organi procurandosi un’infezione. Il tutto è condito dal preciso e sprezzante realismo di Yu Hua che, anche con una trama che ha del surreale, riesce ad emergere, lasciando il lettore sconcertato di fronte alle assurde contraddizioni della Cina contemporanea, ma allo stesso tempo lasciando speranza di amore e solidarietà nell’oltretomba.
Proprio questo sentimento di amore e attaccamento profondo alla vita è alla base del rapporto tra Yang Fei e suo padre, figura chiave della tradizione cinese e della vita di Yang Fei stesso. La penna di Yu Hua si trasforma quindi in uno strumento di denuncia sociale nonostante, come egli stesso sostiene, la Cina non sia assolutamente solo questo: accanto agli innumerevoli scandali appare infatti una riflessione profonda sull’armonia di questo popolo e sul destino degli uomini che, alla fine, termina con amore e fratellanza.
di Linda Pietrasanta
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