Impressioni dell’8 marzo

Scorrendo tra i miei ricordi, complice l’aiuto di Facebook, ho passato in rassegna i miei “8 marzo” degli ultimi anni: qualche post condiviso, pensieri di poche righe sul diario, forse qualche discussione tra i banchi di scuola. Nulla di più, nessun corteo, mai un’assemblea – forse anche per colpa della mia età troppo giovane.
Partecipare ad una manifestazione, quest’anno, mi è allora sembrato strano, tanto che ero perfino indecisa su quali aspettative me ne dovessi creare. Sul treno, mi chiedevo se sarei andata incontro ad un revival nostalgico del ’77 – le stesse manifestanti con quarant’anni di più addosso – o magari ad un tentativo stentato di evento messo in piedi da una manciata di studenti neanche troppo convinti loro stessi. Mi domandavo se qualcuno, e chi, sarebbe sceso in piazza. Soprattutto, continuavo a sperare di non stare andando incontro ad un buco nell’acqua.
Soltanto sul treno del ritorno, ormai rinfrancata dall’aver visto la piazza affollata, ho capito che il fatto che qualcuno avesse organizzato la manifestazione sarebbe stato già da solo un motivo per festeggiare, in questo presente dove per tante, troppe ragazze è normale non sentirsi chiamate in causa dal tema dell’uguaglianza di genere, dove una sola donna in una posizione di responsabilità è per molti un valido esempio della raggiunta parità di accesso alla vita civile.
Questo gioco dei contrari – la paura di dichiararsi femministe perché troppo demodé, la ripetizione ossessiva che il gender gap è un’invenzione pretestuosa per attaccare briga – mi si è rivelato nella sua pochezza in confronto alla moltitudine variegata, rumorosa, vitale che si era raccolta in Piazza dei Signori a Padova, poi rinominata piazza Non Una di Meno nel corso dell’evento.
Intorno a me ho visto non soltanto studentesse giovani e signore attempate ma donne e uomini di tutte le età: era sceso a manifestare il cuore della città, della società civile. Se mai l’avevo dubitato, ho avuto la conferma che l’8 marzo è, prima di tutto, un esercizio di cittadinanza attiva.
All’ostinato schivare la discussione sul ruolo delle donne, la piazza ha risposto con il trambusto di piatti, pentole, mestoli, trombe e fischietti, al grido di “un minuto di rumore contro anni di silenzio”; alla cultura degli stereotipi di genere che ha relegato le donne ai margini, intitolando per un giorno le vie del centro a figure femminili che hanno sfidato e fatto a brandelli i ruoli loro imposti.
Ho imparato che queste rivendicazioni sono tutt’altro che ridondanti e amarcord: i giornali, la televisione, mille episodi della vita quotidiana me lo ricordano in continuazione. Quello che invece non sapevo, e che questo otto marzo “di lotta” mi ha insegnato, è che in molte e molti siamo ancora disponibili e pronti a portarle avanti.

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