Sono arrabbiata. Sono arrabbiata perché non capisco. Non capisco che cosa pensare. Apnea, sospensione, incomprensione, stupore, incredulità, incertezza. Non perché le strade son deserte, dato che non è vero. Ma nemmeno perché il centro è controllato da fucili carichi. Sono arrabbiata perché privata della possibilità di muovermi liberamente fra il mare delle mie emozioni, di ponderarle con il giusto peso, ed esternarle o nasconderle a mia scelta. Vorrei solo sapere se c’è qualcosa di vero, o se è tutto studiato, colto al volo per guidarci verso decisioni non nostre. Vorrei solo capire se è tutto vero, o se stiamo solo ricevendo forzate richieste di supporto e di giustificazioni per poter poi fare qualcosa di già deciso. Capire se è vera la mia paura, o se sto solo lasciando agire manipolazioni che vogliono la mia paura, la cercano, la necessitano per poterla poi prendere a bandiera di una guerra che io non volevo. Vorrei poter avere un po’ di paura, ma quella vera, quella sana, quella che mi aiuterebbe a riflettere e rielaborare il lutto che inevitabilmente ognuno di noi sta vivendo. Magari crescerei, se riuscissi a trovare il tempo e lo spazio di elaborare la mia paura, e non quella indotta dai media, pompata, esaltata, epocale. Sono arrabbiata perché ho visto la mia testimonianza, timida, delicata… presa, divisa in tanti pezzi, sbrindellata e poi ritoccata qua e là. Nulla di falso, per carità, tutte cose dette da me. Eppure sul giornale ieri ho letto la testimonianza di una Francesca Palombo che non conoscevo: vittima di un incubo, miracolata dal caso, che arriva in ufficio correndo. Mi sono spaventata io stessa a leggere quelle righe, che, con il mio nome, trasmettevano un messaggio non mio. Sono arrabbiata per questo, perché mi sfinisce il dover lottare contro un’informazione che è terribilmente allenata a distorcere le notizie, tanto da riuscire a farlo senza dire nulla di falso… questo mi costringe a minimizzare, a cercare a tutti i costi di tranquillizzare, dire che non è così, non è così! Ma com’è allora? Non lo so, non mi hanno dato il tempo per pensarci. Credo che non sia giusto fare straccio di emozioni che dovrebbero invece essere lasciate emergere con delicatezza per poter essere governate, ponderate, e soprattutto contestualizzate. Sento il bisogno di poter contestualizzare la mia paura, che c’è, certo che c’è, ma non può e non deve essere lasciata prendere il sopravvento. Vorrei solo ricevere consigli, e non allarmi. Indicazioni, e non catastrofismi. Penso che dovremmo tutti riconoscere che il dolore delle famiglie coinvolte ha il diritto di essere vissuto nel calore e l’intimità che solo la verità può offrire. Dateci il vero, e così forse anche noi potremo avere lo spazio di capire, e scegliere cosa pensare e come comportarci. Non fate delle nostre emozioni strumento per i vostri ideali, incanalandoci nell’odio, nel terrore, nella sfiducia. Lasciateci lo spazio per poterci leccare le nostre ferite.
Questa sera gli elicotteri rombano sopra il mio tetto, e il dover andare in aeroporto domani mi mette inquietudine. In questi giorni se posso preferisco spostarmi a piedi e se posso, preferisco stare a casa. Certo, sono tesa. Ma più che paura provo dispiacere, perché qui avevo deciso di sentirmi a casa, almeno per questi sei mesi di stage. E ora si sta cercando di non farmi più sentire al posto giusto, di convincermi di aver fatto il solito errore “dei giovani” a lasciare la propria casa per andare nel tanto celebrato “estero”. Ma io non provo odio per questo posto, non voglio scappare. Mi dispiace solo che il tutto ora sarà velato da preoccupazione e da un innaturale affidamento alla fatalità e certo, sono arrabbiata per questo. Sono arrabbiata con chi ha reso queste strade potenzialmente pericolose, tutte, dalla prima all’ultima. Con chi per i propri estremismi mi costringe ora a guardare con sospetto tutti gli altri, e inconsciamente soprattutto quelli diversi da me. Proprio quelli da cui invece avrei sicuramente qualcosa di nuovo da imparare.
Sono arrabbiata. Sono arrabbiata con tutto questo. Ma nei miei piani Bruxelles doveva essere casa mia fino a fine giugno. E qui, fino a fine giugno, io ci rimango.
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