Eccoci qui un’altra volta a discutere un tema ampio, difficile ma anche troppo appassionante e stimolante per essere tralasciato: la libertà e le libertà. In questo periodo penso sia non solo doveroso, ma forse anche incoraggiante soffermarsi un secondo a riflettere su quali siano i diritti garantiti dall’ordinamento e provare a ripeterli, quasi come una filastrocca; penso che una riflessione di questo tipo ci possa aiutare ad uscire per un attimo dal buio nel quale vogliono farci credere sia caduto il mondo. Con questo articolo vorrei quindi introdurre una rubrica nella quale affrontare il concetto di libertà -che oggi più che mai sembra essere minacciato da eventi, paure, raccomandazioni o minacce mediatiche- prendendo spunto da ciò che più ci dovrebbe rappresentare in quanto cittadini italiani: la nostra Costituzione.
In ogni epoca si è dimostrato come sia indispensabile ragionare sul concetto di libertà e di come sia altrettanto inaccettabile non recepirne le elaborazioni prodotte negli ordinamenti giuridici. Laddove infatti questo processo non venne svolto (sia per la prima che per la seconda parte), ci siamo trovati davanti a periodi che in maniera sommaria potrebbero essere definiti “bui”. La nostra Costituzione dedica un’intera parte alle c.d. “libertà” al fine di evitare che il patrimonio della nostra storia in merito a tale tematica venisse disperso e disgregato nel tempo.
È importante notare come il concetto di libertà venga definito (e così in tutti i processi storici dei vari stati) in primo luogo in contrapposizione ad un potere. Il potere del tiranno che deteneva il monopolio della legge e della forza, e che poteva comprimere la sfera individuale dei sudditi in maniera del tutto discrezionale in presenza di propri interessi. Grazie alle rivoluzioni del ‘48 il tiranno è stato in un certo senso spodestato e al suo posto è nato quello che comunemente si chiama lo “stato di diritto”, ossia un’entità governata da un sovrano (il Re nel caso italiano) che dovesse tuttavia colloquiare con i cittadini (non più sudditi) e riconoscerne l’autonomia. In quest’alveo si formarono i primi nuclei di diritti di libertà, concepiti come sfera di intangibilità nei confronti del potere sovrano. Una sorta di spazio negativo che non poteva essere eluso da nessuno: né dai cittadini (o, per usare un termine più tecnico: consociati) né dal sovrano stesso. Un po’ come quando da adolescenti ci chiudevamo in camera, accendevamo la musica ad alto volume e non accettavamo l’intromissione di alcuno in quel momento. Sì, si potrebbero figurare proprio così i diritti di libertà di matrice liberale nati in fondo come estremo strascico della rivoluzione francese: una sorta di “non rompere” urlato in faccia al sovrano.
Ma di che diritti stiamo parlando? Quali sono gli oggetti di un tale tassativo divieto? Nella nostra costituzione si sono recepiti come tali i diritti di libertà personale, di domicilio, di circolazione, di riunione, di professione del credo religioso, di libertà di manifestazione del pensiero, di libertà economica e altri ancora. Spero che con ciò abbiate inteso l’importanza di una tale “evoluzione”. I nostri diritti di libertà sono dei veri e propri capolavori alla stregua del colonnato del Bernini o di una qualsiasi opera di Caravaggio, perché nel contemplarli e nel viverli quotidianamente noi ci innalziamo a qualcosa di più elevato: noi, con le nostre libertà, siamo cittadini, siamo membri pensanti di una comunità, siamo in senso lato qualcosa di più grande. Pensateci durante la giornata. Magari quando fuori piove e siete annoiati: “io sono qui e sono parte integrante di una comunità” con l’obbligo e l’onere di migliorarla se possibile (e mi sembra che lo si debba rendere tale).
Nella prossima puntata affronteremo una delle più nobili libertà: quella di manifestazione del pensiero. Non mancate.
Contributo esterno di Marco Busetto