“Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” è il titolo del film di Roy Andersson da poco nelle sale italiane, vincitore del Leone d’Oro alla 71ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Se ne sta appollaiato su un ramo il piccione, come nel dipinto “I cacciatori nella neve” di Bruegel il Vecchio che ha ispirato il regista svedese Roy Andersson; sta seduto, e osserva. Il piccione non comprende tutto ciò che vede – o forse, per quanto si sforzi, non capisce alcunché della vita e dell’uomo. Proprio come un casuale spettatore di questo film, forse.
“Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” (En duva satt på en gren och funderade på tillvaron) lascia molto spazio ai dubbi e alle interpretazioni ipotetiche con il suo apparente (o reale) nonsense, forse in quanto visione conclusiva di una trilogia – composta da “Canzoni del secondo piano”(2000) e “You, the Living” (2007)- che vuole indagare “l’essere un essere umano”. E’ così che il film si apre con tre “incontri con la morte”: incredibilmente banali, totalmente verosimili e, probabilmente proprio per questa loro macabra prossimità, esilaranti nel loro dissacrare la tragicità della fine di una vita. Perché cosa caratterizza di più l’essere umano se non la morte, il tentativo di fuggirla, esorcizzarla, trovarne consolazione o averne consapevolezza? E’ una presenza che aleggia beffarda per gran parte della pellicola dai colori spenti, piatti, nel pallore dei personaggi tanto da farci chiedere: e se fossero già tutti morti? E’ questo il motivo dell’irruzione del re di Svezia Carlo XII (morto in battaglia nel 1718) nel bar di un’attualissima Göteborg? O Andersson sta forse insinuando che è così che l’uomo vive il suo “essere un essere umano”, come un morto, con l’”entusiasmo” dei due protagonisti nel presentare scherzi di carnevale che paradossalmente non fanno ridere nessuno, nemmeno loro, ma portano solo debiti; come un morto con valori morti, assurdi, inumani?
Andersson si fa così piccione e filosofo insieme, tratteggiando 39 vignette senza apparente legame fra loro; accomunate solamente da quell’incomprensibile homo sapiens, intrappolato nella tragica commedia della sua esistenza che sembra costruirsi da sé giorno dopo giorno.