Un giorno incontrai un signore con la barba bianca e la pancia grossa, vestito di verde con una cravatta marrone e la camicia bianca infilata a forza dentro i pantaloni. Avendomi vista vagare sola e sorridente per la piazza e avendo notato, con disappunto, che mi sorprendevo di solo metà delle meraviglie che stavano intorno, mi fece segno di fermarmi. Non potevo assolutamente continuare a girare in quel modo. Con occhio vispo e dito alzato mi rimproverò di non aver con me una guida, una guida come si deve. Era gentile e amava la sua città. Iniziò a raccontarmela, quella magica città, in ogni suo dettaglio, svelandomene in sussurri tutti i segreti. Io, incapace di seguire i percorsi che mi stava suggerendo, ne ascoltavo la voce roca e ne inseguivo i gesti nell’aria. Parlava della sua Venezia come del profilo di una donna, ne descriveva i tesori, le calli e le luci con un tale desiderio da far figurare nella mia mente solo forme sinuose e profumi seducenti. Allora capii che Venezia era inafferrabile. Persino lui, con segni profondi sulle mani e pelle così dura sulla fronte, non riusciva a mostrarmi i contorni della sua amata. Come potevo io credere di coglierla con alcune passeggiate senza meta? Mi avevano insegnato che a Venezia bisogna perdersi, provo a dire. Le sue guance diventate rosse mi sarebbero bastate come risposta. Certo che bisogna perdersi per campi e ponti e lasciar volare lo sguardo tra i canali, fin sulle altane e i balconi fioriti. Ma in quel vagare non potevo, non dovevo perdermi niente! Ecco perché la guida. Una buona guida da leggersi seduti in un angolo, vicino ai gabbiani. Non per guidarmi verso calli affollate e percorsi scontati, ma per guidare il mio sguardo verso la storia che ogni pietra lì intorno avrebbe potuto raccontarmi. Ho capito, è vero. Venezia non è solo pizzi di marmo e trifore che galleggiano sull’acqua, Venezia è storia. Come concederci il lusso ingenuo di perderla, accecati da flash scontati? Venezia soffoca, e non perché strozzata dall’acqua, ma perché calpestata ogni giorno da sguardi avidi del suo corpo e indifferenti verso la sua anima. Me compresa, me compresa mi ripetevo ascoltando pentita quell’inaspettato signore. Era un bel signore, lo si vedeva dall’espressione degli occhi. Aveva un tesoro dentro di sé e voleva a tutti i costi condividerlo, insegnare anche a me la maniera giusta per cercarlo e trovarlo. Venezia, come poterti fare mia? Lasciarsi trasportare non basta, dunque. Ti devo cercare e conoscere tutta, in ogni dettaglio e imperfezione, ti devo toccare e esplorare. Mi guarda, ancora con una nota di raccomandazione, ma stavolta soddisfatto. Arrivederci e buona serata, altrettanto. Davvero un signore insolito, penso guardando le sue spalle affaticate allontanarsi: mi ha insegnato come diventare amante della sua stessa amata, Venezia.