Ed io?
Cosa dice Parigi a me?
Come posso stare davanti a questa inaccettabile violenza?
La vita di ciascuno di noi sembra (anzi, è!) attaccata a un filo.
Possiamo essere uccisi mentre andiamo a teatro, mentre usciamo al ristorante il sabato sera, mentre andiamo allo stadio per vedere la partita. È realtà, è successo. E quindi l’inevitabile provocazione: perché vale la pena vivere? Cosa può dare un senso alla vita, un senso che regga di fronte alla violenza, all’ingiustizia, alla morte?
Parigi mi spinge a rituffarmi nella vita con rinnovata consapevolezza e impegno.
Alla luce delle 160 vittime la mia responsabilità diventa infinita. Occorre vivere anche per loro, il tempo ora ha un valore molto più profondo, è il tempo che loro non possono più vivere. Il significato di vita si amplifica. Di fronte alla paura che ci assale, questa deve essere la risposta: un rilancio nella vita.
Sono inutili la rabbia, la violenza, le minacce. Ritorniamo a casa, abbracciamo i nostri genitori, diventiamo più consapevoli di ciò che davvero vale, riprendiamo la routine, sì, ma con maggiore impegno e coscienza.
Ero in biblioteca quando ho ricevuto le prime notizie di Parigi e il numero delle vittime certificate cresceva di minuto in minuto. Io e le mie compagne ci siamo fermate e confrontate. Regnava un profondo senso di impotenza e disarmante incomprensione. Cosa possiamo fare noi? Dopo un po’ abbiamo riabbassato gli occhi sui libri. Questo. Questo è quello che per ora possiamo fare. Impegnarci dove la realtà ci chiama ora. Nello studio, nella società, nella famiglia, nella nostra piccola-grande dimensione. Interessarci del mondo che ci circonda, capire il contesto in cui ci troviamo. Non per un semplice interesse sociologico, ma per comprendere la natura della testimonianza che siamo chiamati a dare. Ognuno di noi ha infatti una missione, ognuno di noi è chiamato a qualcosa, a dare il suo contributo.
Questo pensiero si è concretizzato mercoledì sera in Piazza San Marco durante la commemorazione per la morte di Valeria. Centinaia di persone raccolte in una fredda sera di novembre per far sentire una voce. Centinaia di persone impegnate ad accendere ognuno la propria candela. C’era vento e la fredda aria invernale ha spento la mia candela per 5 volte. C’è sempre stato qualcuno accanto a me che prontamente mi ha aiutato a riaccenderla. Abbiamo avvicinato i due lumini … e di nuovo luce. Tutti eravamo impegnati a proteggere con le nostre mani la flebile fiamma della candela dal gelido vento invernale che minacciava di farci piombare nel buio della notte. Solo in questo modo siamo riusciti ad illuminare tutta la piazza … tenendo ognuno accesa la propria candela. Questo è il nostro contributo. Quello a cui siamo chiamati adesso.
Con questa consapevolezza possiamo riprendere la nostra vita alla luce dei tristi avvenimenti di Parigi. Ciascuno con una ragione in più per tornare al lavoro domani mattina, per riprendere lo studio in vista dei prossimi esami; con la consapevolezza che solo impegnandoci nel nostro piccolo, cioè tenendo accesa la nostra candela, possiamo continuare a costruire un mondo all’altezza della nostra umanità e con la certezza della speranza che è in noi.