IN PRIMA LINEA
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A metà Ottocento, l’Europa stava vivendo anni di grandi cambiamenti. Da un lato, era un periodo di crescita e di ottimismo: la rivoluzione industriale avanzava a passi da gigante e l’entusiasmo per il progresso era un sentimento condiviso. Pochi decenni prima, nel 1825, era stata inaugurata in Inghilterra la prima ferrovia al mondo. Nel 1851 venne aperta la Great Exhibition, la prima esposizione universale, ideata dal principe Alberto, nel Crystal Palace costruito interamente in ferro e vetro nel bel mezzo di Hyde Park.
La locomotiva a vapore, la nuova architettura in ferro e tante altre mirabilia tecnologiche esposte nelle luminose sale del Crystal Palace facevano sobbalzare ed esclamare di meraviglia moltissimi spettatori dell’epoca.
Quelli, però, non furono solamente anni di pace e progresso. Le rivolte dell’anno 1848, brutalmente soppresse, avevano scosso i governi europei installati a seguito della Restaurazione. Tra chi chiedeva l’indipendenza, chi l’unità e chi la costituzione, si comprendeva un messaggio unico: la richiesta di cambiamento, di governi più aperti e liberali che riconoscessero i diritti dei sudditi.
In questo periodo di contrasto fra progressismo e conservazione, l’obiettivo principale dei governi europei era mantenere l’equilibrio. Nella mente dei politici cresciuti durante l’epoca napoleonica era fondamentale evitare che una potenza soverchiasse il delicato equilibrio stabilito dopo il congresso di Vienna tramite una conquista di troppo, quindi si auspicavano di sedare conflitti e pacificare contendenti tramite la diplomazia e i trattati.
In realtà, non tutte le grandi potenze condividevano questo principio.
In Russia, all’epoca un impero in espansione, regnava lo zar Nicola I. Egli, profondamente reazionario, autoritario e fedele ai principi di ortodossia, autocrazia e spirito nazionale, aveva inaugurato un regime in cui non si poteva nemmeno pronunciare la parola “riforma” senza dover temere per la propria vita.
Il suo obiettivo era quello di espandere i territori e i commerci del suo impero verso sud, nel mar Nero e nel Mediterraneo, a scapito del “malato d’Europa” (espressione da lui stesso coniata).
L’infelice epiteto indicava l’Impero ottomano e non si allontanava troppo dalla verità. L’Impero stava attraversando un periodo di rinnovamento e di riforme atte a renderlo più vicino all’Occidente, ma il sultano Abdülmecid I, da molti considerato come un debole, non riusciva a imporsi al di sopra della lotta tra progressisti e conservatori.
In generale, l’Impero dei sultani faticava a tenere il passo con l’Occidente: il suo potere nei Balcani era stato scosso da una serie di rivolte, aveva perso la Grecia nel 1830, e in più il suo esercito non era all’altezza di quello delle altre potenze, quindi costituiva una facile preda per le mire espansionistiche russe.
Tra gli osservatori della questione orientale si collocava anche la Francia, governata dal novello imperatore Napoleone III, la quale, interessata ad espandere la sua influenza e a ristabilire il suo grandeur, ne vide un’opportunità proprio in questo conflitto.
L’Inghilterra, che da decenni osservava l’Europa dalla sua isola, pronta a intervenire in caso qualcosa non le andasse a genio, guadagnava assai dai commerci con l’Impero ottomano e temeva che le mire russe si estendessero fino all’India, già colonia britannica; di conseguenza, i politici inglesi decisero di schierarsi a favore della Turchia.
Il pretesto del conflitto fu la disputa per il controllo sulle comunità cristiane in territorio ottomano: la Russia si poneva a difesa delle comunità ortodosse, la Francia di quelle cattoliche, così Abdülmecid si trovò in mezzo allo scontro tra le due nazioni concedendo privilegi prima a una parte, poi all’altra.
Dopo un’intensa lotta diplomatica che vide la Russia da un lato e la coalizione di Inghilterra, Francia e Impero ottomano dall’altro, scoppiò finalmente la bomba: il 30 novembre 1853, la flotta russa del mar Nero attaccò e distrusse alcune navi della flotta ottomana ormeggiate al porto di Sinope.
Così iniziò la guerra di Crimea, ritenuta necessaria per mantenere l’ordine europeo e per salvaguardare ognuno i propri interessi: c’era chi proteggeva i propri commerci e chi espandeva la propria influenza col pretesto di difendere un alleato pressoché insolito.
Insolita fu anche la partecipazione di uno stato piuttosto insignificante rispetto ai grandi imperi: l’Italia, o meglio, il Regno di Sardegna, che colse l’occasione per farsi notare dalle grandi potenze e infine attirare la loro attenzione sulla questione del Risorgimento.
Questa guerra fu la prima dopo quasi 40 anni di pace e fu caratterizzata da molti elementi di modernità, tra cui armamenti e metodi di comunicazione più efficaci, la nascita dell’infermieristica, la presenza del primo fotografo di guerra e l’importanza centrale dei giornali e dell’opinione pubblica. Ma, nonostante le innovazioni, fu una guerra disastrosa, segnata dall’incapacità dei generali, dalla cattiva gestione logistica e dalle epidemie di colera tra le truppe.
Dopo lo scontro a Sinope, la flotta inglese e quella francese salparono verso il mar Nero e sbarcarono in Crimea, sulla baia di Kalamitskij, nel settembre del 1854. Il loro obiettivo principale era il porto di Sebastopoli, principale base della flotta russa.
Dopo uno stallo iniziale data la disorganizzazione degli eserciti e il presentarsi dei primi casi di colera, le truppe iniziarono a marciare verso sud.
Il primo scontro avvenne presso il fiume Alma, che vide la vittoria degli alleati, ma la battaglia più famosa di tutta la guerra è quella seguente: la battaglia di Balaklava.

La battaglia di Balaklava è conosciuta soprattutto per la celebre carica della brigata leggera, anche detta “dei 600”, ovvero l’avanzata della cavalleria britannica contro i cannoni russi.
Questa mossa, che si rivelò inutile e disastrosa, scaturì sostanzialmente da un errore di interpretazione di un ordine.
Il comandante delle truppe britanniche lord Raglan aveva ordinato alla cavalleria di attaccare i russi, che stavano rimuovendo i cannoni dalla strada di Voroncov (fondamentale per gli alleati perché collegava Balaklava alle fortificazioni attorno a Sebastopoli), ma dalla posizione del comandante della cavalleria, lord Lucan, non si poteva scorgere la posizione indicata da Raglan.
Infine, Lucan ordinò al comandante della brigata leggera lord Cardigan di condurre i suoi cavalieri verso la valle. Ma dietro questa valle era posizionata una batteria di cannoni russi, e la cavalleria di Cardigan venne decimata dalle cannonate.
Questo fatale errore causò la distruzione della brigata leggera, e la mancata conquista della strada di Voroncov causò problemi di approvvigionamento per gli eserciti alleati.
Le controversie scaturite da questo avvenimento furono numerose e coinvolsero in primis i comandanti britannici: nessuno di questi voleva assumersi la colpa dell’accaduto e i loro litigi non portarono a nessuna conclusione utile. Lord Raglan, il comandante in capo delle truppe britanniche, era un mutilato di guerra (gli mancava il braccio destro) e un veterano delle campagne contro Napoleone, di cui si ricordava bene, forse fin troppo bene, perché si riferiva continuamente agli alleati francesi chiamandoli “i nemici”. Egli era in cattivi rapporti con lord Lucan, che a sua volta detestava, ricambiato, lord Cardigan.
L’episodio di Balaklava, se affiancato con la gestione disastrosa degli approvvigionamenti, può dare un quadro piuttosto eloquente della disorganizzazione generale della guerra.
Seguì la battaglia di Inkerman, tentativo dei russi di liberare Sebastopoli dall’assedio. Questo scontro portò a una situazione di stallo senza il vantaggio di nessuno dei due schieramenti.
Seguirono altre battaglie e altri difficoltosi tentativi di assedio a Sebastopoli. L’8 settembre, dopo un lungo bombardamento della città, il bastione di Malachov, fondamentale per la difesa russa, venne fatto saltare in aria dai francesi. I russi non riuscirono a riconquistare il bastione e il giorno seguente iniziarono a lasciare la città.
La presa di Sebastopoli, anche se non mise subito fine agli scontri, fu il colpo di grazia che permise agli alleati di vincere la guerra.
Il congresso di pace si tenne a Parigi dal 25 febbraio al 16 aprile 1856. Infine, la Russia entrò in un periodo di crisi, il che giovò agli alleati, ma tra loro, l’Impero ottomano non riuscì più a rialzarsi a causa delle enormi spese e della continuata crisi.
In generale, l’equilibrio europeo che si voleva mantenere era stato leggermente incrinato, ma alla fine del conflitto tutte le potenze, escluso l’Impero russo, avevano ottenuto quello che desideravano.
La guerra di Crimea è considerata una delle guerre più inutili combattute nell’Ottocento. Come per tutte le guerre, si auspicava uno scontro breve e glorioso, si diceva, per la difesa di una nazione da un aggressore ingiusto. In realtà, a nessuna delle nazioni europee importava particolarmente dell’integrità dell’Impero ottomano, se non per mantenere i propri interessi. Non importava all’Inghilterra, a cui interessava contenere l’Impero russo ed evitare che sconfinasse ed arrivasse a minacciare le proprie colonie in India. Non importava a Napoleone III, che desiderava accrescere il proprio prestigio per guadagnare consenso in patria. Non importava al primo ministro del Regno di Sardegna Cavour, che voleva soltanto portare la questione italiana all’attenzione europea.
Infine gli ussari inglesi, come gli zuavi francesi o i pochi bersaglieri italiani che hanno preso parte al conflitto, se non sono periti in battaglia o (più probabilmente) a causa delle furiose epidemie di colera, sono tornati in patria dopo aver combattuto in terra straniera, per un alleato che non stimavano.
Questa guerra è stata in primis il fallimento della diplomazia europea di quell’epoca, ma per certi versi ne è stata anche la continuazione: a seguito dello scontro in Crimea, i Paesi europei hanno continuato sulla stessa scia di accrescimento nazionale e di protezione dei propri interessi fino al culmine, all’esplosione finale, raggiunta nel 1914.
Head of Harbour, Balaklava; Ashley van Haeften
A morning conference for the allied commanders Lord Raglan, Omar Pasha and Marshal Pelissier; Roger Fenton