Andor: non c’è un modo “pulito” di vivere dentro al conflitto

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Tempo di lettura: 4 minuti

Prima di iniziare a leggere un piccolo disclaimer: la serie è parte integrante della galassia narrativa di Star Wars, ma se ne discosta stilisticamente per una lunga serie di motivi e scelte narrative. Non è necessario, pertanto, aver visto i film o le altre serie della saga per riuscire a seguirla e apprezzarla. Per chi invece conosce (anche sommariamente) gli eventi della galassia lontana lontana: Andor si inserisce tra la prima e la seconda trilogia, una quindicina d’anni dopo la formazione dell’Impero e prima della costruzione della Morte Nera; esattamente cinque anni prima degli eventi di Rouge One, di cui la serie è infatti un prequel.

Andor è soltanto una serie TV, ma non è la solita serie TV: ha qualcosa che la rende particolarmente coinvolgente, efficace e potente. Credo che gli elementi che ne hanno determinato la buona riuscita siano essenzialmente due: il conflitto e la contemporaneità.

Partiamo dal primo elemento: nelle dodici puntate seguiamo le vicende che porteranno alla nascita dell’Alleanza Ribelle dal punto di vista del protagonista Cassian Andor, un giovane non nuovo al mondo della micro-criminalità, che vive alla giornata e che, fin da ragazzo, odia a morte l’Impero. Il conflitto è il terreno in cui, fin dal dirompente inizio in medias res, germoglia e fiorisce la storia. Un terreno sul quale la serie si muove magistralmente proprio perché – e qui veniamo al secondo elemento – lo fa avendo cura di adattarsi ai (brutti) tempi che corrono. Tony Gilroy e gli altri sceneggiatori hanno pensato, per una società individualista, di raccontare le vicende di un giovane individualista: non c’è più (o sarebbe meglio dire “non c’è ancora”) spazio per le grandi narrazioni dell’epocale scontro tra Bene e Male che troviamo nelle trilogie cinematografiche di Star Wars (così come in altre grandi epopee contemporanee come quella de Il signore degli Anelli). Gli eroi classici, come i Jedi, lasciano posto alla gente comune, che si trova a dover affrontare la propria quotidianità, in quello spazio grigio che separa gli ultimi ipocriti giorni della Repubblica dai fasti della lotta per la libertà della Ribellione, vivendo con una rabbia estremamente spontanea il rapporto con l’opprimente potere costituito. Lungi dal farsi abbindolare da facili perbenismi e ipocrisie relativistiche, i creatori evitano di squagliare i confini tra Bene e Male. La tendenza a sottolineare la complessità introspettiva dei personaggi più malvagi, che spesso – troppo spesso – si traduce nell’impossibilità di identificare qualcuno come veramente “cattivo”, non è cosa che troverete in questa serie: il Male c’è ed è spietato, totale, senza alcuna possibilità di redenzione. Piuttosto è il Bene che stenta a vedersi, sembra non esserci un gruppo identificabile come “i buoni”. Andor è dunque una storia di ribellione individuale per una società individualista; un racconto brutale e – in prima battuta – disilluso per un presente che è brutale e – appare – senza uscita. Quando si dice essere al passo coi tempi…

Vorrei tornare ancora un attimo alla dicotomia buoni/cattivi per aggiungere un elemento dirimente: quanto detto fino ad ora è tutto vero, ma rappresenta solo  il punto di partenza, non certo quello di arrivo: conquistati gli spettatori con qualcosa che parli di loro, del loro presente, Andor si prefigge l’ambizioso compito di indicare anche una via di uscita. Come si è detto, ci sono i cattivi e sappiamo da subito chi sono, ma si fatica ad accettare chi siano i buoni: non c’è alcuna organizzazione, alcun gruppo di eroi o flotta ribelle che possa salvare la situazione. C’è solo un branco di cani sciolti, che agisce per rabbia o per i propri fini personali contro un potere totalitario, smisurato e soffocante. Nell’incedere della narrazione vedremo che questi cani sciolti giungeranno  a riconoscersi in una causa comune, a comprendere che non esiste alcun interesse personale al di fuori della lotta collettiva e che la rabbia, se solitaria, è breve guaito destinato a essere soffocato nell’oblio. E chi non lo vuole capire si becca un colpo di blaster dritto al cuore. A questo proposito è curioso notare come, in ogni puntata, il tema musicale della sigla sia leggermente diverso e che, se unite tutte insieme, queste variazioni producono una vera e propria sinfonia. 

Noi, insieme ai personaggi, siamo portati ad accettare, infine, quanto intuivamo in cuor nostro fin dall’inizio: i buoni, “i nostri” ci sono eccome, anche se facciamo fatica a riconoscerli perché sono quelli che mentono, quelli che uccidono a sangue freddo, quelli che sacrificano il prossimo senza troppe esitazioni. Verrebbe da chiedersi: e chi non lo vuole accettare? C’è un colpo di blaster anche per loro?

L’unico metro di giudizio con cui si possono osservare i personaggi risulta il perché e il per cosa si combatte. Sarebbe infatti vile attaccare chi si sporca le mani in un conflitto di cui non ha la responsabilità, un conflitto che subisce e al quale sceglie di reagire. Chi è integro nella sua bontà è inevitabilmente solo chi sta al di fuori della lotta e che quindi non fa nulla (e non si ritengano al sicuro costoro: per chi cerca semplicemente di farsi gli affari propri il potere imperiale ha comunque – puntualmente – un destino di ingiusta sofferenza in serbo).

Oltre a ragionare sul tema del conflitto, queste righe si propongono anche di rappresentare uno stimolo, per tutte e tutti coloro che non l’avessero ancora fatto, ad andare a guardarsi la serie. Inutile, pertanto, scendere nello specifico dell’analisi di alcuni passaggi o iniziare a commentare le varie caratterizzazioni di personaggi e situazioni. Piuttosto, per concludere, è interessante tornare a quanto si diceva all’inizio dell’articolo: Andor è solo una serie TV, ma non la solita serie TV. Mai prima d’ora si era visto un prodotto che riuscisse a coniugare la qualità e la diffusione di massa garantite da una piattaforma come Disney+ con una radicalità di contenuti così esplicita. Per certi versi, la dinamica sembra ricordare la scelta di Zerocalcare di lavorare con Netflix, tuttavia la differenza è significativa: laddove per il fumettista italiano la serie rappresenta un tramite per raggiungere un pubblico amplissimo, cui tornare a parlare con lavori a fumetti di spiccato impegno sociale; per quanto riguarda Andor il messaggio è nella serie stessa, la radicalità è sullo schermo di un prodotto Disney.
 

di Luthen Blissett

Frame da “Andor”

Frame da “Andor”

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