San Servolo e la laguna meridionale

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Una volta qui erano tutti monasteri: così scriveva, più o meno, John Ruskin, parlando della “Laguna Sud”, dove per “laguna” si intende, ovviamente, la laguna italiana per antonomasia, quella di Venezia.

Tutti monasteri, dunque, a partire da quella nostra isola che è San Servolo, sede di un monastero benedettino da prima dello spostamento della capitale del Ducato di Venezia a quella che è oggi la città omonima da Metamaucus, leggendario primo centro abitato lagunare in senso proprio.
Ma andiamo con (un altro) ordine, quello a cui sarebbe andato incontro un qualunque navigante risalente i tre canali che, in continuità l’uno con l’altro, attraversano la zona di nostro interesse, partendo dalla bocca di porto di Malamocco: quello, appunto, di Malamocco, quello di Santo Spirito e, ultimo, il canale Orfano.

Prima troviamo l’isola di Poveglia, la cui storia è in verità molto meno spaventosa e macabra di quanto viene solitamente fatto intendere, almeno ai suoi albori: nasce, infatti, come centro abitato che ospita le popolazioni fuggite alle invasioni longobarde della terraferma veneta. Evacuati gli abitanti per proteggerli dagli antichi genovesi durante la guerra di Chioggia, alla fine del XIV secolo, l’isola muta profondamente: prima stazione marittima, poi lazzaretto a partire dalla fine del ‘700, assumerà progressivamente la fama che ora le spetta. 

Subito dopo troviamo l’isola di Santo Spirito, sede di un importante monastero fino alle soppressioni napoleoniche del 1806. L’isola dava il nome al canale che le passava di fronte: questo fu, per circa un secolo, dal tardo 1600 agli inizi del 1800, il principale accesso a Venezia, ingrandito per consentire il passaggio delle grandi imbarcazioni che non potevano più utilizzare la bocca di porto di San Nicolò, resa inagibile dall’accumularsi di detriti. 

Ancora successiva, Sacca Sessola è un’isola artificiale, creata dall’accumularsi dei materiali di scavo per il porto di Santa Marta, realizzato a metà ‘800. Inizialmente utilizzata per coltivazioni agricole, è poi diventata un ospedale pneumologico a partire dagli anni ‘10 del secolo scorso. Abbandonata alla fine degli anni ‘70, oggi è un hotel. 

San Clemente ha ospitato un altro dei tanti monasteri della laguna meridionale, arrivando ad accogliere gli ospiti illustri del governo veneziano tra il 1400 e il 1600. Chiuso con i decreti napoleonici del 1810, diventerà poi manicomio femminile del Veneto a fine secolo, per chiudere, insieme a San Servolo, a seguito della legge 180 del 1978, la famosa “legge Basaglia”. Anche San Clemente, oggi, è un hotel. 

Troviamo poi Santa Maria della Grazia, altra sacca, creata nel medioevo e sede di un convento di suore Cappuccine fino alle soppressioni napoleoniche, poi polveriera e ospedale.

Ultima isola del nostro viaggio prima di arrivare all’incrocio con il canale di San Nicolò è poi San Lazzaro degli Armeni, prima monastero benedettino, a partire dal IX secolo, poi lazzaretto e rifugio per gli abitanti di Creta in fuga, diventa il monastero fondante della Congregazione mechitarista, parte della Chiesa armeno-cattolica, nel 1716, dopo l’abbandono a fine ‘500. 

All’uscita del canale Orfano, all’incrocio con il canale di San Nicolò, sta l’isola di San Servolo. Nata, come si diceva, come monastero benedettino, in una fortunata posizione all’incrocio delle principali vie d’ingresso alla città lagunare, San Servolo resta però poco abitata, a causa di difficoltà economiche per gli abitanti e del poco spazio disponibile sull’isola. A partire dalla fine del X secolo, sembra che il governo veneziano inizi ad usare l’isola come sede di incontri diplomatici segreti. Nel 1109, visto il progressivo spopolamento del nucleo originario degli insediamenti lagunari, Metamaucus, le monache che si trovavano lì vengono spostate a San Servolo, ma le condizioni “insalubri” dell’isola fanno sì che resti semi-abbandonata fino al 1615: per diversi secoli, vi resteranno soltanto alcuni custodi, a presiedere sul convento, l’orto, la chiesa e il campanile.

Nel 1647, però, la conquista ottomana dell’isola di Candia, oggi Creta, porta un gruppo di monache fuggitive ad insediarsi qui. Dopo quasi settant’anni, però, vista la sua posizione, il convento viene trasformato in un ospedale militare, gestito dai Fatebenefratelli.
Dieci anni dopo, nel 1725, inizia la storia manicomiale di San Servolo: il primo “maniaco” viene internato, sostenuto dalla famiglia. Questo modello si ripeterà per anni, tanto da portare i Fatebenefratelli prima a costruire un nuovo convento, a sud-ovest, per incrementare gli spazi a disposizione dei pazienti, e poi, nel 1792, a chiedere al Senato della Repubblica di costruire un manicomio in città. La richiesta non sarà adempiuta: anzi, il governo austriaco, subentrato con il trattato di Campoformio del 1797, farà assorbire al manicomio sanservolino anche i pazienti poveri, prima di allora ospitati nelle “fuste”, galee senza vela ancorate in diversi punti della laguna. Presto, però, lo stesso imperatore Francesco Giuseppe I si renderà conto dell’errore commesso: lamentando la “promiscuità dei sessi” e la “mancanza di spazio” farà spostare alcuni pazienti, i “pazzi tranquilli”, all’Ospedale Civile.
Nel mentre, la direzione isolana disegnerà una prima planimetria dell’isola, che evidenzia chiaramente la netta separazione tra gli ambienti conventuali, ospitalieri e manicomiali: i pazienti del manicomio, non soltanto isolati dal resto della cittadinanza, vivono isolati persino dal resto degli abitanti dell’isola. I già citati problemi di spazio, intanto, portano a un’espansione dell’isola verso San Lazzaro e allo spostamento delle pazienti di nuovo al Civile.

Tra il 1846 e l’unificazione d’Italia, nonché nei vent’anni successivi, pesanti ristrutturazioni colpiranno l’isola, ma la netta separazione che già esisteva non solo non verrà abolità, ma verrà ancor più rimarcata, creando più ingressi. Dal 1873, tutti i pazienti dell’ospedale vengono spostati a Venezia: San Servolo risponde ora esclusivamente alla funzione di manicomio, conseguente alla neonata necessità di isolare i “pazzi” in quanto “pericolosi […] per l’ordine pubblico”. Si tratta della prima volta, almeno a Venezia, che “l’ordine pubblico” viene utilizzato come motivazione per l’allontanamento di una certa categoria di persone. 

Con il nuovo secolo una serie di demolizioni viene eseguita nel nucleo storico dell’isola, collegando i diversi ambienti in maniera più diretta. Intanto, però, viene edificata la palazzina al centro dell’isola, che servirà ad ospitare i pazienti, alla quale seguiranno presto, negli anni ‘30, altre due palazzine residenziali per i pazienti e una per i lavoratori, insieme alle nuove officine, in sostituzione del vecchio corridoio che si estendeva dal vecchio convento al centro dell’isola. Altre demolizioni colpiscono l’edificio storico, unendo i suoi due cortili interni e aprendoli al resto del giardino dell’isola: si manterrà, però, la separazione con i vecchi spazi conventuali, ancora divisi rispetto al resto dell’isola dal grande salone-corridoio che era stato dell’ospedale militare, la “manica lunga”.
Dopo queste ultime espansioni, il manicomio resterà attivo fino al 1978, anno della legge 180: solo allora, i principi sostenuti da Franco Basaglia sembreranno trovare applicazione, con la fine della rigida separazione fra manicomio e città.


È però Basaglia stesso a dirci di prestare attenzione: nel 1979, a un corso di aggiornamento degli infermieri di Trieste, avvisa che “aprire l’istituzione non è aprire le porte”, che superare la separazione fisica non basta per cambiare il concetto di salute, di malattia, per ridare dignità a chi soffre, ma che ci si deve porre “in una dimensione totalmente altra”, oltre l’istituzione, chiusa o aperta che sia. Oggi ci siamo riusciti?

Consigli di lettura
Franco Basaglia, Se l’impossibile diventa possibile. Edizioni di Comunità
Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione. Einaudi

di Andrea Chiurato

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