Stop Paiting: commenti sulla curatela di Peter Fischli alla Fondazione Prada di Venezia

Stop Painting è stata una mostra collettiva concepita da Peter Fischli, un’artista svizzero che per molti anni ha lavorato nel panorama dell’arte contemporanea insieme in coppia con David Weiss, scomparso nel 2012. La mostra ha avuto luogo nel palazzo storico di Ca’ Corner della Regina (sede veneziana della Fondazione Prada) dal 22 maggio al 21 novembre 2021,  con il sostegno del gruppo BMW. 

La riflessione di Fischli ruota attorno ai momenti di rottura individuati dal curatore nella storia della pittura degli ultimi 150 anni. Si tratta in particolare di cinque momenti, che corrispondono ai mutamenti di paradigma nel mondo dell’arte. Il primo è ravvisabile con la nascita della fotografia, che mette in crisi il concetto di unicità dell’oggetto artistico (che senso ha ricercare una pittura naturalistica quando con uno scatto si possono ottenere più copie di un soggetto riprodotto fedelmente?). Il secondo momento invece corrisponde alla nascita del readymade e del collage, che esaspera la dicotomia fra illusione e rappresentazione: ossia, quanto è necessario riprodurre un determinato oggetto se esso stesso può essere considerato opera artistica in sé? O se può essere direttamente reso parte dell’opera? Il terzo momento di rottura coincide invece con il dibattito intorno al concetto di autorialità, che investe non solo il campo artistico, ma anche quello letterario e cinematografico durante gli anni Sessanta. Tale concetto è riconducibile a quello di “morte dell’autore” teorizzato dal semiologo Roland Barthes. Il quarto momento viene individuato invece alla fine degli anni Sessanta, quando l’opera d’arte viene considerata come merce in quanto oggetto mobile con un valore simbolico e di facile conservazione. La quinta ed ultima rottura si focalizza sulla crisi tardocapitalista, in cui il concetto di avanguardia risulta obsoleto e si dissolve. Questi sono dunque i punti di partenza a partire dai quali il curatore ha sviluppato la mostra.

Nel realizzare “Stop painting”, Fischli aveva collocato un modello in scala 1:8 del palazzo Ca’ Corner e della mostra allestita al suo interno: un’opera che il curatore ha definito “una scultura di una mostra di pittura”. La disposizione delle opere all’interno della riproduzione non corrispondeva però a quella reale.

La disposizione delle opere nelle sale inoltre non era di tipo cronologico bensì tematico: ogni sala veniva infatti introdotta da un titolo evocativo, come ad esempio “When paintings become things” o “Let’s go and say no”, al quale le opere si ricollegavano.

L’allestimento della mostra è consistito in una serie di pareti temporanee che attraversano gli spazi espositivi, creando un netto contrasto con la struttura storico-artistica del palazzo. L’intento di Fischli era infatti quello di unire in questo modo le stanze, per mostrare una continuità negli intenti degli artisti. Il curatore ha voluto far in modo che non tutte le opere fossero di immediata ricezione visiva, infatti alcune di esse erano state poste al di fuori dei pannelli: in questo modo si viene a creare nel visitatore, che entra in una nuova stanza, la ricerca di quelle opere che sembrano sfuggire alla tradizionale esposizione.

Il progetto espositivo è risultato quindi molto interessante ma si presentava con qualche criticità come ad esempio il contrasto intrigante creato dai pannelli espositivi e l’architettura e pittura del luogo che rischiava però di far perdere visibilità ad alcune opere.

La riflessione di Fischli sviluppata nella mostra vuole dimostrare che, in ogni momento in cui la pittura sembrava ormai essere prossima alla fine, essa ha trovato il modo di reinventarsi, riuscendo a sopravvivere e a prendere nuova forza. Un interrogativo però resta: può la rivoluzione digitale in cui viviamo oggi essere fonte di un altro momento di rottura per la pittura, oppure può rivelarsi utile ai fini di un suo rinnovamento?

di Eleonora Balcon

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