Golfo di Corinto, 7 ottobre 1571
Il vento continua a colpirci il volto, mentre gonfia le vele delle galee ottomane che si stanno avvicinando a noi. La loro formazione è simile alla mezzaluna che campeggia sulle loro bandiere; di fronte a loro, invece, le navi cristiane sono poste quasi come una croce, con le tre schiere a formarne un braccio e la riserva alle spalle del centro. Davanti, le sei galeazze, due per parte.
Ecco, le galeazze sono un elemento di cui non vi ho ancora parlato, in effetti: sono navi particolari, che i Veneziani stanno per usare in battaglia per la prima volta. Da lontano potrebbero sembrare delle navi da carico, alte e grandi come sono, ma dietro a quelle murate praticamente inabbordabili si nascondono centinaia di uomini e, soprattutto, più di trenta cannoni, accompagnati da altri pezzi minori e capaci di colpire quasi tutti i lati del vascello. Se vi pare poco, considerate che tutte le altre galee hanno solo un cannone principale, frontale, e qualche bocca da fuoco più piccola: niente di comparabile alla potenza di fuoco di queste fortezze galleggianti.
Per ora, queste grandi navi sono lì, di fronte a noi, quasi ferme mentre le navi ottomane avanzano: però, se guardiamo oltre, anche le loro vele sembrano iniziare a sgonfiarsi, ora che sono quasi a tiro per i cannoni della Lega Santa. Provate a controllare con un dito: c’è bonaccia, e questo è un bel vantaggio per le navi cristiane, perché quelle turche ora sono costrette a far vogare i propri rematori, stancandoli più di prima. Ora ricominciano ad avanzare, e ci muoviamo anche noi verso di loro: i Turchi superano perfino le galeazze, diretti alla formazione principale, senza sapere cosa li aspetta…
I cannoni delle galeazze tuonano tutto intorno, e mentre si innalzano le urla di dolore degli equipaggi coinvolti, l’aria inizia a riempirsi dell’odore intenso della polvere da sparo, e del fumo, che ricopre le navi nascondendo la mischia ai nostri occhi: attenti però, ora tocca a noi, perché le navi turche, per quanto sconquassate e disunite, non hanno assolutamente intenzione di sottrarsi allo scontro, ma anzi vogliono provare ad accerchiare la flotta cristiana.
È proprio sul corno sinistro che inizia la mischia tra le galee, con il Barbarigo che cerca di impedire a Scirocco di infilarsi tra le sue navi e la costa per aggirarlo, senza riuscirci però completamente: lo scontro è molto duro, e richiede l’aiuto della riserva, guidata dal Marchese di Santa Cruz; ad un certo punto, il Barbarigo apre la celata del suo elmo, per poter osservare meglio la situazione e incitare i suoi uomini, ma una freccia lo colpisce in un occhio, facendolo cadere sul ponte. Rialzatosi, continua a combattere, per poi affidare il comando a Federico Nani e ritirarsi nella sua camera, dove si toglie la freccia dalla testa e attende la fine della battaglia. Morirà poco dopo aver avuto notizia della vittoria.
Nel frattempo, Federico e i suoi uomini continuano a combattere ferocemente contro Scirocco: uno di loro, Giovanni Contarini, riesce persino a prendere l’ammiraglia nemica e a decapitare con un fendente il corsaro; un’altra galea, quella di Marco Cicogna, pur con il proprio capitano gravemente ustionato riesce a resistere all’attacco di sei galee avversarie, prima di essere soccorsa, mentre Benedetto Soranzo decide di far saltare in aria la propria nave, non potendo ormai difenderla. L’esplosione arriva fino a noi, al centro della formazione.
Neanche qui la situazione è delle più tranquille. Tutti cercano di raggiungere e colpire le navi ammiraglie nemiche, con l’obiettivo di porre fine velocemente al combattimento, confidando nello scoramento che può provocare negli equipaggi la vista della testa del proprio comandante appesa sul pennone di una galea avversaria. Anche qui gli episodi di eroismo non si contano, da entrambe le parti, con navi che vengono prese e riprese di continuo, e ponti sui quali l’acqua di mare si mescola col sangue dei combattenti. Ecco, se magari vi spostate un po’ più a destra, quel giannizzero evita di tagliarvi un braccio.
VIA DA LÌ, INSOMMA!
Dicevamo: guardate la nave di Don Giovanni, con lo stendardo della Lega che sventola in alto. La galea è praticamente incastrata tra la Sultana di Alì Pascià, che l’ha speronata, e altre navi ottomane e cristiane (tra cui quella di Marcantonio Colonna e quella del Venier, su cui ci troviamo noi): ormai quella che era una battaglia navale è diventata uno scontro terrestre, con uomini di ambo le parti che manovrano quasi, tra i ponti delle imbarcazioni, cercando possibilmente di non finire in acqua.
Tra di loro c’è anche il nostro ammiraglio, Sebastiano Venier, con al suo fianco il prode nipote Lorenzo: i due combattono come leoni, l’uno sparando palle di ferro in faccia ai Turchi con una balestra (cosa credevate, che sparassero solo verrettoni?), l’altro ricaricandogliene un’altra, in modo da averne una sempre pronta. Come loro, anche Don Giovanni d’Austria si tuffa nella mischia, venendo ferito ad una gamba, e pure gli altri ammiragli, intenzionati a dare un valido esempio ai propri uomini. Un equipaggio, quello della della galea toscana Fiorenza, dell’Ordine di Santo Stefano, viene quasi interamente ucciso, mentre a un certo punto un grido fende l’aria, vicino a noi: è il Venier, che si è preso una freccia su un piede (la scelta delle pantofole non ha pagato molto), e sta riversando la propria rabbia sui nemici, chiedendo a Lorenzo (che pure è stato colpito da tre dardi) di darsi una mossa a ricaricare quella balestra.
Resta da parlare dell’ultimo corno della flotta, quello destro guidato da Gianandrea Doria, ma dall’inizio della battaglia sembra che si stia allontanando con il suo avversario, Uluč Alì, allargandosi sempre più verso il mare aperto e lasciando indietro anche le due galeazze, incapaci di tenere il passo del resto della flotta. Cercheremo di capire più tardi cos’è successo là in fondo, intanto però spostiamoci da qui e proviamo a trovare un punto un po’ più riparato: ci sono troppe scimitarre e spade che girano qui intorno, e non vorrei vedermi il naso tagliato perché qualcuno mi ha preso per un marinaio veneziano.