20 luglio 2019, la prima volta che ho partecipato ai festeggiamenti del Redentore a Venezia. Devo dire la verità, l’idea di passare una notte intera in un’affollatissima (ancora più del normale) Venezia sotto il sole cocente di luglio a bere bibite riscaldate e seduta per terra non mi entusiasmava più di tanto. Dopotutto, i fuochi d’artificio illuminano ogni nostro Ferragosto italiano (quando puntualmente piove e sei in spiaggia al freddo ad aspettare per ore) e Capodanno (quando hai mangiato così tanto che i fuochi li vedresti anche se non esistessero), quindi perché rompersi la schiena per delle banali lucette nel cielo?
Ma l’entusiasmo dilagante delle persone a me vicine per questa fantomatica festa unica a Venezia mi ha tentato, quest’anno, e ho deciso (quasi) spontaneamente di unirmi al migliaio di persone armate di borse freezer, infradito e coperte colorate sulle fondamenta della Giudecca, dove si sarebbero dovuti vedere meglio i fuochi (a meno di non avere la sfortuna di posizionarsi dietro un gruppo di persone che, contro ogni logica, restano in piedi tutto il tempo e ti impediscono la vista).
Sette di sera, in fondamenta: Venezia è diventata un enorme simposio di Pasquetta, riso freddo, vino riscaldato e musica di dubbio gusto compresi. E per quanto possa non sembrare il sunto di una serata perfetta, ascoltatemi e cambierete idea. Non c’è niente di più umano di mangiare: la festa del Redentore si basa sul cibo, sulle polpette di melanzana a 2€, sui panini con salsiccia venduti dalla signora dell’angolo appoggiata ad un tavolo barcollante. Non c’è niente di più umano di stare in compagnia (e giuro che non vi annoierò con la solita citazione Aristotelica): il Redentore, che piaccia o meno, è un enorme accumulo di persone tra di loro estranee che per una sola sera decidono che sì, vale la pena non sentirsi più le gambe dallo stare tanto seduti.
Ore 22: cominciano a dilagare dei sentimenti di malessere e impazienza, anche tra i più motivati. Le playlist diventano ripetitive, ormai tutti hanno salutato tutti e anche le patatine sono diventate mosce (sì, l’umidità veneziana). Però ci facciamo coraggio tra di noi: è da un anno che aspettiamo questo momento.
Ore 23:30: finalmente, cominciano i fuochi d’artificio. E, devo ammetterlo, anche se non sono i fuochi d’artificio più elaborati o più grandiosi che io mai abbia visto, hanno certamente una connotazione storica quasi pesante. Nel momento in cui parte il primo botto, in cui i volti delle persone cominciano a essere illuminati ad intermittenza, mi sono resa conto dell’importanza storica di questa celebrazione, che va ben oltre il semplice vino aspro e il patè di olive: è un momento di unione, di riconciliazione tra la parte appestata e confinata della città e la parte “salva”, sana, privilegiata. E il ponte fatto di barche esplica questo messaggio, e ci ricorda che ogni tanto, anche se ci viene il mal di mare a camminare sopra l’acqua, è necessario per ricongiungere i due cuori di Venezia.