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La città metropolitana di Venezia, dal 1 Dicembre 2018, può vantare la presenza di un complesso museale dedicato ad uno dei secoli più densi della storia occidentale: il Novecento. Tra i grigi edifici di Mestre e i palazzi contrassegnati dai marchi di catene alberghiere, a pochi passi dal Duomo, si è conclusa infatti la costruzione del distretto M9. Un distretto che raccoglie al suo interno, oltre al vero e proprio museo del Novecento, ampi spazi espositivi polivalenti, un auditorium-cinema in risoluzione 4K, ristoranti e locali adibiti al retail effettuato tramite modalità innovative. È espressione dell’ambizioso progetto della Fondazione di Venezia che da anni opera per lo sviluppo civile e culturale del territorio veneziano, nel quale progetto ha investito più di 100 milioni di euro.
Lo studio d’architetti anglo-tedesco Sauerbruch Hutton ha rivisitato gli spazi adiacenti al convento cinquecentesco delle monache Cistercensi realizzando l’edificio principale, ricoperto da una policromia in ceramica di 13 diversi colori pertinenti alle colorazioni dell’ambiente urbano. Le linee e le diagonali rigide che contraddistinguono lo stabile sono una reinterpretazione della sensibilità del movimento futurista; lo stesso chiostro è stato munito di una copertura dal gusto moderno che lo ha reso fruibile per eventi di varia natura in qualsiasi stagione. L’idea era nata ormai più di 8 anni fa, con l’intenzione di creare un luogo della memoria che valorizzasse la terraferma veneziana e ne costituisse un prospetto di rigenerazione urbana. Il tutto doveva avvenire con una visione innovativa ed eco-sostenibile e, probabilmente, con l’ottica di «far capire ai mestrini– riprendendo le parole dell’architetto Louisa Hutton – che la loro città è bella»
L’aspettativa di trovare all’interno, come accade abitualmente, una successione di teche contenenti oggetti o opere d’arte viene per la maggior parte disattesa; il secolo scorso, infatti, è qui presentato in maniera eccellente soprattutto da proiezioni, touch screen, pannelli e visori di realtà aumentata ad alta tecnologia che conducono il visitatore in un’esperienza attiva e coinvolgente. Così scontata non è neppure la tematica trasmessa dal museo che solitamente, parlando del Novecento, risulta nell’immaginario collettivo ricondotta strettamente ai terribili fatti delle due guerre mondiali, mentre qui viene proposta dal punto di vista del cambiamento dell’Italia, degli italiani e dei suoi comportamenti. Tale concezione è riflessa nella suddivisione delle 8 aree tematiche, frutto del lavoro di 47 curatori e smezzate tra i primi due piani dell’edificio, che riguardano: la demografia, i costumi, la scienza, l’economia, gli insediamenti urbani, la politica, la formazione e l’identità italiana.
Nel primo piano – oltre ad osservare come la popolazione italiana è cambiata nel corso del Novecento, a livello fisico ma anche relazionale, e a simulare gli abiti dell’epoca sul proprio corpo – è possibile introdursi tramite una postazione di visori a realtà aumentata in una cucina del 1930, scoprendone gli utensili e i cibi che ne facevano parte. Salendo al piano superiore si vede invece come le istituzioni politiche si siano trasformate e come gli italiani si siano spostati nel mondo, con un focus particolare sul nord-est e sulla città di Mestre. Incluso è inoltre un rapporto sulle comunità presenti su questo territorio dagli ultimi decenni e della loro integrazione nel tessuto sociale che le ospita, fino ad arrivare a storie legate alle esperienze, anche recentissime, frutto della nuova concezione europea dei giovani d’oggi. Un piccolo spazio ricrea invece le luci e le atmosfere di una sala da ballo del XX secolo con musiche twist, boogie-woogie e rock’n’roll. Nonostante siano presenti solo limitatamente – o attraverso rappresentazioni olografiche – oggetti di vita quotidiana del secolo scorso (come il telefono fisso, la Vespa e la macchina da cucire Singer) non si ha l’impressione di essere staccati dalla realtà ma sempre ben a contatto con la concretezza quotidiana.
Il terzo ed ultimo piano, un enorme open space di 1400 m2, è dedicato invece alle mostre temporanee. Fino al 16 giugno 2019 lo spazio ospiterà la mostra L’Italia dei fotografi. 24 storie d’autore: gli scatti di 24 fotografi italiani che hanno fatto della loro passione opere attraverso le quali trasmettere le proprie emozioni e percezioni nel corso del Novecento. Tra i nomi più noti vi sono, per esempio, quello di Ferdinando Scianna e di Letizia Battaglia, fotografa siciliana che ha usato il suo talento per raccontare gli aspetti differenti di una città dai tratti contrastanti come la Palermo degli anni di piombo.
Non di minor importanza è la sfida legata alla sostenibilità, vero principio cardine per una visione volta al futuro e all’innovazione. Con 276 pannelli solari posizionati nella copertura del tetto l’edificio si garantisce una quasi totale autonomia energetica e di tutti i consumi compreso il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti. Concorrono a tale efficienza energetica la tecnica costruttiva eco-sostenibile e le sonde geotermiche sotterranee a 110 metri di profondità che intercettano il calore del sottosuolo. Ciò che concorre al miglioramento della qualità di vita dei cittadini è inoltre la creazione, con tale distretto, di una piccola smart city che dovrà gettare le basi, nel lungo periodo, per un’espansione di pratiche ‘intelligenti’ in tutta la città. All’interno del concetto di smart city e sostenibilità non vi è racchiusa soltanto la riduzione dell’inquinamento o la comodità di connettersi a hotspot Wi-Fi, ma anche, e soprattutto, il fare in modo che l’interrelazione tra servizi pubblici e capitale umano, grazie alle nuove tecnologie, sia ottimale: indirizzata, cioè, al miglioramento del benessere degli individui e dell’utilizzo delle risorse in armonia con il potenziale attuale e delle generazioni future. Ciò si attua per esempio nei 9 totem interattivi posti nell’area e nei sistemi di monitoraggio per la sicurezza e per l’assistenza sanitaria posti nelle isole digitali.
La collocazione relativamente periferica al centro storico di Venezia non è certamente un elemento di opposizione alla città lagunare ma è tesa piuttosto a un posizionamento strategico in un nodo infrastrutturale importante come quello di Mestre. A testimonianza di questo approccio ‘non rivale’ con la città di Venezia vi sono le già numerose collaborazioni con le istituzioni dell’area metropolitana veneziana, in particolare con l’Università Ca’ Foscari attraverso il progetto dei mediatori culturali (che diventano qui anche tecnologici) e la possibilità in futuro di collegarsi con eventi di rilievo come la Biennale. Pare dunque che M9 si sia avviato col piede giusto verso la sua natura di polo culturale multiforme come ‘fabbrica del sapere’ per creare – così come si proponeva di fare il popolo italiano secondo uno degli uomini più influenti del Novecento europeo, Alcide De Gasperi – «un mondo più giusto e più umano».
Foto e articolo di Omar Nappini