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È una piccola fattoria, quella in cui vivrò per le prossime tre settimane: poco più di una trentina di mucche adulte e venti vitelli. Ci sono anche le pecore, ma durante l’estate sono a pascolare sulle montagne: a settembre bisognerà andare a recuperarle, prima che arrivi l’inverno. Il fattore si chiama Gulli e non parla una parola di inglese, ma sorride molto e si fa capire perfettamente con l’Islandese e con i gesti. La moglie, Annika, parla inglese benissimo: lei viene dalla Svezia, si è trasferita qui un po’ di anni fa. È arrivata in Islanda come au pair, si è innamorata del posto (e di Gulli) e ha deciso di restare.
I loro figli sono grandi e se ne sono andati di casa, ma con loro c’è il nipotino: si chiama Gulli Junior, ha due anni e mezzo e una parlantina fenomenale. La prima sera mi parla in islandese a raffica per tutta la cena, incurante del fatto che non capisca una parola. Indica la mela che sto mangiando: “appli”. Fin lì ci arrivo. Ma poi si lancia in una disquisizione di dieci minuti su questa appli, che prende in mano per mostrarmi cosa intende dire. Non capisco, ma non gli importa.
Ci sono altre due volontarie come me: la mia compagna di stanza, Flavie, è francese, e si è presa un anno di pausa dal lavoro per viaggiare. È qui da un mese, starà altri dieci giorni; dopo l’Islanda andrà in Sud America e in Asia. L’altra volontaria è tedesca: si chiama Inka e ha intenzione di rimanere in Islanda fino alla prossima estate. È qui con workaway da mesi: prima di Annika e Gulli stava su una minuscola isola privata, completamente sostenibile, senza elettricità, internet né acqua corrente. Ce ne parla con entusiasmo, come di un piccolo angolo di paradiso lontano dalla civiltà.
Ci svegliamo alle 8, alle 9 siamo pronte per il primo turno di lavoro. Il nostro compito è semplice: arriviamo alla stalla poco prima di Gulli e spaliamo il letame che le 30 mucche hanno prodotto durante la notte. Seconda lezione: le mucche fanno più cacca di quanta sembrano capaci di contenere. Poi puliamo le tettine delle mucche da eventuali sporcizie prima che Gulli le munga: ci chiniamo accanto alla mucca da dietro, e delicatamente ci abbassiamo, restando sempre vicine ai suoi fianchi ma a debita distanza dal posteriore per evitare spiacevoli sorprese. Dopo un paio di turni, impariamo a riconoscere esattamente che mucca stiamo pulendo: ce n’è una che ha un capezzolo più piccolo degli altri, una che si sporca sempre tanto, una che mentre la pulisci volta la testa e ti sbuffa in faccia con disappunto. Mentre Gulli munge, canta in islandese: ha una bella voce potente e chiara, e le sue canzoni sono sempre molto allegre. Presto prendiamo l’abitudine di cantare anche noi alle mucche mentre le puliamo: a volte cantiamo insieme qualche canzone dei Beatles o qualche grande classico, altre volte ognuna di noi canta piano qualcosa nella sua lingua. “Who run the world? Cows” è la grande hit dell’estate. Le mie mucche sembrano apprezzare anche Battisti e De André.
Infine, diamo il latte ai vitellini. Questa è la mia parte preferita in assoluto: oltre a essere meravigliosi, come tutti i cuccioli di questo mondo, i vitelli sono affamatissimi. Quelli più piccoli sono legati vicino alla propria mamma, mentre quelli con più di sei mesi hanno un recinto tutto loro: una specie di asilo nido. Le dinamiche sono molto simili a quelle che ci sarebbero in una scuola: ci sono quelli più coraggiosi e forti, che riescono sempre a mangiare per primi, e c’è lo sfigatello mingherlino che viene sistematicamente escluso in un angolino (ovviamente, il mio preferito). Quando Gulli ha finito la mungitura, accompagniamo le mucche ai prati. Annika e Gulli possiedono tutti i terreni nei dintorni della fattoria, a perdita d’occhio: in Islanda, quasi tutta la terra è proprietà privata di contadini e fattori. Questo fatto è stato utile al Paese un paio di volte, come quando una determinata contadina intraprese una causa legale contro una ricca compagnia inglese che voleva sfruttare l’acqua della SUA cascata, Gullfoss (una delle più potenti d’Islanda) per scopi decisamente poco sostenibili: la contadina vinse la causa e la cascata rimase libera.
Le mucche camminano da sole verso i prati, conoscono la strada. Rimangono nella stalla solo i vitelli e una vecchia mucca, a cui portiamo il fieno perché fatica a camminare tanto. La sera, verso le 20, riuniamo le mucche disperse per i prati e le riportiamo alla stalla per la mungitura serale. A volte sono vicine al cancello, altre volte dobbiamo camminare per più di venti minuti per trovarle tutte e trenta e riportarle a casa, ma il panorama è così bello che una passeggiata non pesa affatto. Per condurle, gridiamo “kosha kosha” e “kome kome”: Gulli ci ha fatto capire che significano “qui” e “vieni” in islandese. Una volta capito che è ora di tornare alla stalla, le mucche si dirigono spontaneamente lungo il sentiero; una volta che sono entrate nella stalla, Gulli porta ogni mucca al proprio posto, e lega ogni mamma accanto al suo vitello. Finito il turno di lavoro, arriva il nostro premio: un bicchiere di latte freschissimo, dolce e saporito, nulla a che vedere con quello a cui sono abituata.
Tra i due turni, tra le 11:30 e le 19:30, possiamo esplorare l’Islanda Meridionale.
Stimo il tuo coraggio e la determinazione! Brava!
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