DONNA HARAWAY: il racconto per sopravvivere su un pianeta in pericolo

Donna Haraway è una studiosa statunitense importantissima nel campo della scienza e della tecnologia. Più conosciuta dai profani per le teorie cyborg femministe che rivoluzionano il rapporto tra individuo, identità di genere e tecnologia. Col suo Cyborg Manifesto scuote l’intero pensiero occidentale dalle fondamenta ripensando al concetto di corpo e portandolo oltre i confini delle categorie binarie a cui siamo abituati a pensare. (Uomo/donna, naturale/artificiale, corpo/mente).
Questo è un estratto di un’intervista del 2016 in cui Donna Haraway risponde alla domanda “come sopravvivere in un mondo profondamente danneggiato” con una narrazione fantascientifica che distrugge i preconcetti di famiglia comunità e individuo per portarli in maniera giocosa e fresca a un livello nuovo. Un inno alla sperimentazione e al cambiamento che sfida la contemporaneità con ironia sagace.

Nel ventunesimo secolo, varie comunità in tutto il pianeta sentirono il bisogno di disfare e cambiare il loro modo di vivere e di morire. Era un cambiamento che riguardava gli umani e tutte le creature, nella fibra più profonda del loro vivere insieme sulla terra. Così, un’ondata di sentimenti, azioni, pensieri e movimenti cominciò a scuotere la terra in modo molto particolare.

Si formarono delle comunità composte dalle 150 alle 500 persone. Erano sia persone che si trovavano già assieme in un posto ma che si riunivano con una rinnovata intensità, sia persone che si spostavano da un posto a un altro. Tutte queste comunità però si formarono grazie a un’intensità particolare di sentire un bisogno, una sete, un desiderio e un progetto di vivere per la guarigione delle creature della terra, umane e non umane. Volevano imparare a coltivare l’arte di vivere su un pianeta danneggiato, di essere quelle comunità che sarebbero andate a recuperare e restaurare quello che potevano.

Erano comunità che vivevano già in una regione devastata o che si stabilivano lì apposta per donare cure attente alla terra.

Camille 1 nacque in una comunità che aveva deciso che sarebbero stati necessari almeno tre genitori per ciascun nuovo bebè. E avere un bambino non era una decisione individuale, ma una decisione collettiva. Quindi le persone che desideravano avere o mettere al mondo un bambino potevano dover aspettare o potevano non averlo mai. Potevano però partecipare come genitori ad una famiglia che stava crescendo un nuovo bambino.

Camille 1 aveva così dei fratelli e delle sorelle ma non necessariamente nella stessa famiglia. I bambini che nascevano in questa comunità avevano come fratelli e sorelle altri bambini con cui spesso, però, non condividevano un legame biologico.

La persona che portava in grembo il bambino fino alla sua nascita, all’inizio del processo, effettuava un tipo particolare di scelta riproduttiva. Sceglieva un simbionte, un’altra creatura che sarebbe stata in simbiosi col piccolo umano per tutta la sua vita.

La donna che portava in grembo Camille 1, dopo un sogno che fece durante la sua gravidanza, scelse per Camille 1 la simbiosi con una farfalla Monarca.

Le farfalle Monarca frequentavano la regione dove la comunità si era stabilita.

Camille 1, grazie alla simbiosi, al momento della sua pubertà poté fare molte cose. Camille 1 poteva decidere di modificare il suo corpo, diventare maschio, transgenere, femmina o altro. Camille 1 poteva tenere il corpo ricevuto alla sua nascita o modificarlo parzialmente, mettendo un po’ di questo o un po’ di quello.

Alcune modifiche potevano essere irreversibili, bisognava imparare a viverne le conseguenze. La comunità non aveva paura di questo genere di sperimentazione morfologica e pensava che fosse una cosa che gli adolescenti avevano il diritto di fare.

Camille 1 fece la scelta di mantenere la simbiosi e di approfondirla.

La vera storia comincia con la prima erede di Camille 1, Camille 2.

Camille 2 nacque femmina, ma durante la sua adolescenza decise di avere una barba. All’epoca di Camille 1 la relazione simbiotica non riguardava ancora il livello molecolare. Ma le scienze tecno-biologiche della comunità si erano sviluppate e alla nascita di Camille 2 era possibile, e anzi auspicabile, per la comunità, che i simbionti e gli umani condividessero delle sostanze biologiche e delle sostanze genetiche.

Così, con la pubertà, Camille 2 decise di impiantarsi una barba per mezzo di cellule staminali che producevano le antenne delle farfalle.

Camille 2 aveva la faccia coperta di antenne di farfalla, e le antenne potevano annusare, sentire l’aria, assaggiare i cibi. Camille 2 aveva una sensorialità aumentata e sviluppò dentro di sé la capacità di occuparsi della possibilità di continuazione della specie delle farfalle monarca.

I giovani della generazione di Camille 2 facevano degli impianti di cellule staminali per riprodurre sulla loro pelle i motivi indossati dagli insetti che erano i loro simbionti.  Danzavano, preparavano cocktail di droga, avevano una moltitudine di spettacoli di luce.

Quelli che erano legati simbioticamente alle piovre e ai calamari avevano dei cromatofori sulla loro pelle e se diventavano sessualmente eccitati si mettevano a pulsare alla maniera dei calamari, delle seppie e delle piovre e potevano fare degli spettacoli sbalorditivi con la loro pelle. C’era una dimensione ludica attorno a questo lavoro di prendersi cura della terra.

Nel 21° secolo fare delle famiglie senza bebè era diventato auspicabile, vista la sovrappopolazione, e spesso l’adozione riguardava dei cinquantenni. Le famiglie si facevano e si rifacevano e magari assieme ri-ristrutturavano la loro casa e riscrivevano il contratto di co-responsabilità finanziaria. Si capiva che formare una famiglia non era l’affare di una vita e che le famiglie avevano bisogno di essere capaci di sperimentare e di cambiare. Gli impegni presi per la vita erano molto seri, ma potevano assumere delle forme diverse.

Era chiaro che si aveva bisogno di riti e di un sostegno al fine di celebrare la rottura delle relazioni amorose e il rinforzare l’amicizia dopo una rottura. E certamente potevano esserci degli errori terribili. Si sapeva che si poteva avere molta sofferenza. Ma le comunità si sentivano come dei figli del compost. Vivevano nel disordine, erano là, in un modo o nell’altro, per costruire nuovi giochi al fine di rendere possibile una continuazione feconda sulla terra.

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